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Carenza medici. Avruscio (Anpo-Aou Padova): “E’ anche colpa della mancata valorizzazione della professione”

Per il presidente dell’Associazione nazionale primari ospedalieri dell’Aou di Padova, le condizioni di lavoro sempre più critiche hanno portato a una fuga dalla professione. La prima migrazione da fermare, secondo Avruscio, è quella verso strutture private. Poi servono incentivi economici: “Se la salute è un bene primario ed essenziale, allora perché trattenere dallo stipendio dei medici ospedalieri quasi il 50% di tasse? Perché anche quest'ultimo contratto dopo 10 anni di stop, ha un aumento medio al mese di 190 euro lordi?”, domanda Avruscio.

di Endrius Salvalaggio
08 GEN - Secondo il dott. Giampiero Avruscio, Presidente Associazione Nazionale Primari Ospedalieri (ANPO), dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria di Padova, la carenza dei medici in Veneto non è imputabile ad una sola errata programmazione da parte del Miur ovvero da parte della Regione Veneto, ma anche ad una scarsa valorizzazione della professione del medico in generale. Secondo Avruscio, non ci sarà un capovolgimento nei numeri sulla carenza dei medici fintantoché non ci sarà un’inversione di tendenza sulle migrazioni dei medici. La prima migrazione riguarda i medici che preferiscono lavorare nelle strutture private piuttosto che prestare il loro servizio nel pubblico, la seconda migrazione, invece, interessa il progressivo ed inarrestabile spostamento di medici che dopo aver preso la laurea in Medicina e la specializzazione in Italia vanno poi a lavorare in altri paesi europei o addirittura oltre oceano.

Dott. Avruscio, da anni Lei si sta battendo sul tema della carenza degli organici dei medici, ma oltre a questo fatto, seppur vero, Lei ritiene che questa categoria. sia stata negli ultimi anni poco valorizzata. Dico bene?
Dice benissimo. La percentuale del PIL destinato alla spesa sanitaria totale nel 2017 vede l’Italia fanalino di coda insieme a Spagna ed Irlanda tra i paesi dell’Europa occidentale e la spesa pro-capite totale è inferiore alla media OCSE, posizionando il nostro Paese in prima posizione tra i paesi più poveri dell’Europa. Il costo del de-finanziamento è stato pagato soprattutto dal personale sanitario, determinando carenze negli organici, elevando l’età media, bloccando i rinnovi contrattuali e, complessivamente, demotivando la principale risorsa su cui si regge il sistema di tutela della salute. Nella Regione Veneto, a fronte di queste politiche, è peggiorata l’erogazione dei servizi sanitari, dando in qualche caso più spazio alla sanità privata che da complementare e/o integrativa è diventata, in molte parti, sostitutiva.

Perché ritiene che la categoria dei medici sia stata in questi ultimi anni tenuta poco in considerazione?
Le politiche sul personale sanitario soprattutto nei confronti dei Medici ospedalieri sono tali da non rendere più attrattiva la carriera in ospedale, ma al contrario ne favoriscono la fuga all’estero o verso le strutture private o private convenzionate. Soprattutto in alcuni settori a più elevato rischio clinico come le rianimazioni, le chirurgie, le pediatrie, i pronti soccorso, i bandi di concorso vanno deserti: non tanto o non solo per un’errata programmazione del fabbisogno del numero di specialisti, quanto per la scarsa valorizzazione di una professione, quella del medico ospedaliero, confermata purtroppo anche dalla delusione dopo 10 anni, derivante dall’ultimo contratto che non fa recuperare ai medici quanto perso del loro potere di acquisto.

Quando ci siamo incontrati Lei mi ha detto che, ancora una volta, chi ci governa ha intrapreso misure fino ad ora insufficienti. Perché?    
Dopo le delibere con le quali è stata riconosciuta dapprima la situazione emergenziale sulla carenza dei medici ospedalieri, la Regione Veneto ha cercato successivamente di risolvere il problema richiamando medici pensionati da assumere nei nosocomi con contratto da libero-professionisti, e poi di assumere neolaureati non specialisti nei pronti soccorso e nelle medicine specialistiche. Tutte queste risposte sono risposte miopi.

E se fosse data la possibilità ai medici ospedalieri e su base volontaria di restare nel proprio posto di lavoro fino ai 70 anni? Questa proposta le sembra possa essere una soluzione valida?
I colleghi ospedalieri non vedono l'ora di andarsene in pensione, spendendo molti dei loro soldi per far riconoscere laurea e specialità ai fini pensionistici, per continuare a lavorare sì, ma nelle strutture private convenzionate, al di fuori quindi dell'ospedale dove evidentemente le gratificazioni, la valorizzazione e la qualità della vita sono inferiori. La delibera regionale in Veneto che richiamava i pensionati a lavorare negli ospedali non ha avuto infatti successo. Stante le attuali condizioni, saranno quindi molto pochi i medici ospedalieri che vorranno restare fino a 70 anni.

E, la possibilità che le regioni possano assumeranno dei specializzandi già dal terzo anno a tempo determinato. Potrebbe essere una soluzione?
Ammesso che i giovani colleghi al III anno si assumano la responsabilità della dipendenza pubblica,  con tutto ciò che questo comporta fino a completamento del loro percorso formativo, quale giovane chirurgo, ortopedico, ginecologo, cardiochirurgo, neurochirurgo, pediatra, anestesista, pronto soccorsista  (la lista è lunghissima!) resterà a lavorare nella struttura ospedaliera pubblica, quando egli può offrire le proprie competenze al di fuori, all'estero o in strutture convenzionate, dove le gratificazioni sono migliori a parità di peso assistenziale e di rischio clinico? La riprova si ha nella constatazione che in Veneto e in Italia negli ospedali non ci sono medici inglesi, tedeschi, francesi, austriaci, americani...., mentre questi Paesi pullulano di medici veneti e Italiani!

E, aumentare il numero di borse riservate agli specializzandi, potrebbe essere una soluzione?
Aumentare il numero di borse e quindi il numero di specialisti porterà sicuramente grande beneficio all'Università che avrà maggiori fondi a disposizione e più insegnamenti da affidare a più professori, ma stante le attuali condizioni di "vita da medico ospedaliero" avremo più specialisti che, una volta formatisi, emigreranno all'estero o comunque sceglieranno altre vie più consone al loro lavoro, studio e impegno: e quindi al di fuori dell'ospedale pubblico. Attualmente un neo- specialista anestesista “a gettone” percepisce  dai mille euro in su per ogni singolo turno di guardia, contro uno stipendio mensile di un neo-specialista assunto in ospedale di 2.500/2.800 euro, con una reperibilità al netto valutata 1 euro anche dal nuovo contratto.  

Quale sarebbe quindi una risposta che aiuterebbe a risolvere la carenza dei medici?
Se si considera la salute un bene primario ed essenziale, come lo è il pane, la cui tassazione è bassa rispetto ai beni voluttuari come ad esempio l'alcol su cui esiste una tassazione più elevata, allora perché trattenere dallo stipendio dei medici ospedalieri quasi il 50% di tasse? Perché anche quest'ultimo contratto dopo 10 anni di stop, ha un aumento medio al mese di 190 euro lordi? La causa di tutto questo restano  le attuali condizioni di scarsa valorizzazione dei medici ospedalieri, e le nuove proposte sia regionali che di governo risultano essere sono sempre fatte a “tampone”.  Scelte che fanno scappare i nostri medici specialisti e i nostri giovani all'estero. Si ri-perpetua un’emigrazione in cui alla valigia di cartone dell'emigrante viene sostituita dalla borsa del medico... così si uccide il nostro futuro!

Endrius Salvalaggio

08 gennaio 2020
© Riproduzione riservata

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