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Leucemia mieloide acuta negli anziani. Buone possibilità di successo con la chemioterapia

Lo rivela uno  studio a livello mondiale coordinato dallo Iov  Irccs di Castelfranco veneto condotto su 229 pazienti ultra 60enni, seguiti per un periodo di due decenni. La ricerca mostra come approccio intensivo porti a una sopravvivenza globale a 5 anni del 44,2% e una sopravvivenza libera da eventi a 5 anni del 32,9%


05 DIC -

La leucemia mieloide acuta è principalmente una malattia degli anziani. Tuttavia, finora i dati sui trattamenti nei pazienti con un’età più avanzata sono rimasti limitati.

Ora una ricerca coordinata dal dottor Michele Gottardi, direttore della Uoc di Oncoematologia e del Dipartimento di Oncologia dello Iov-Irccs, condotta su 229 pazienti ultra 60enni, seguiti per un periodo di due decenni - rileva come un approccio intensivo porti a una sopravvivenza globale a 5 anni del 44,2% e una sopravvivenza libera da eventi a 5 anni del 32,9%. Lo studio - che ha utilizzato dati raccolti da tutto il mondo in collaborazione con ospedali, enti e università ed è pubblicato da Haematologica - dimostra che la terapia intensiva, in pazienti anziani con leucemia mieloide acuta, porta a una sopravvivenza più lunga. L’analisi suggerisce inoltre che questi pazienti non devono essere esclusi dagli studi con terapie intensive.

“I pazienti anziani - spiega Gottardi - sono più fragili e quindi spesso esclusi dalla chemioterapia intensiva per elevato rischio di tossicità/complicanze. Inoltre molto spesso le leucemie mieloidi acute dell’anziano sono più resistenti alla chemioterapia. E’ logico quindi che trattare questi pazienti diventa uno sforzo privo di senso nel rapporto rischio/beneficio. In altre parole, tanti rischi, anche severi, e poche possibilità di successo”.

Nello specifico gruppo di leucemie mieloidi acute che sono state studiate (si chiamano “core binding factor-acute myeloid leukemia” o CBF-AML”), più frequenti nei giovani dove solitamente sono molto sensibili alle chemioterapie, il lavoro condotto dallo Iov di Castelfranco dimostra che mantengono la sensibilità alle chemioterapie anche nei pazienti anziani. Il messaggio finale è: nelle CBF-AML dell’anziano rischiare con le chemioterapie vale la pena perché i rischi sono controbilanciati da buone possibilità di successo.

“Nessuno finora, aveva mai dimostrato con rigore scientifico questo – aggiunge Gottardi – soprattutto perché la nostra è la casistica di CBF-AML più numerosa al mondo (229 persone) mai raccolta in un gruppo di pazienti (con età superiore a 60 anni) dove questo tipo di malattia è più rara. E i dati sono consolidati perché riguardano pazienti con un lungo monitoraggio clinico. Questo studio è frutto anche del grande lavoro del dottor Federico Mosna, dell’Ematologia di Bolzano, e della revisione statistica e delle correzioni della dottoressa Alessandra Sperotto, dell’Oncoematologia di Castelfranco. A loro va un grande ringraziamento per aver reso possibile il raggiungimento di questo traguardo.”

“La Uoc di Oncoematologia di Castelfranco dello Iov – commenta il Direttore Generale, Maria Giuseppina Bonavina – ha proposto e coordinato lo studio, cui hanno aderito i più prestigiosi centri italiani, europei ed americani: parliamo tra gli altri di Mayo Clinic di Rochester, Harvard Medical School di Boston, MD Anderson Cancer Center di Houston, Seattle, Chicago e molti altri. È molto prestigioso che lo Iov di Castelfranco sia riuscito a coordinare questa ricerca che conta 37 centri da ogni continente. I risultati evidenziati possono portare realmente ad un cambio dell’approccio terapeutico a queste malattie, particolarmente in popolazioni dove la percentuale di anziani è in forte aumento”.

05 dicembre 2024
© Riproduzione riservata

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