La condivisione delle terapie nelle cure palliative a domicilio
di Daniele Rodriguez e Luciano Orsi
La pianificazione condivisa delle cure (PCC) può risultare particolarmente proficua nell’ambito delle cure palliative, tuttavia presenta problematiche peculiari, ma non esclusive, legate soprattutto al contesto, spesso domiciliare, in cui vengono erogate le cure. Si tratta di problematiche meritevoli di specifica analisi, al fine di prospettare soluzioni e formulare proposte operative
28 APR -
La pianificazione condivisa delle cure (PCC).
Fra le innovazioni della legge n. 219/2017, ve ne è una di particolare rilievo proprio in relazione alle cure nel fine vita, a quelle cure cioè che molti ritengono essere l’interesse fondamentale della legge stessa.
Si tratta della pianificazione condivisa delle cure (PCC), istituzione che mai in Italia, prima di questa legge, era stata disciplinata da alcuna norma e che ha suscitato – sia fra i professionisti sanitari sia fra gli utenti-pazienti – un interesse moderato, comunque inferiore a quello che era logico aspettarsi trattandosi di strumento volto alla tutela del paziente e in grado di dimostrare la trasparenza dell’opera dei professionisti.
Possibile spiegazione dello scarso successo della PCC è che, mancando nella legge una dettagliata indicazione di come questa procedura innovativa possa essere strutturata, sussiste ancora qualche incertezza sulle modalità di applicazione.
Eppure, come già indicato,
oltre un anno fa in questo medesimo QS, si tratta di uno strumento di facile applicazione, che valorizza la relazione di fiducia tra pazienti e parenti da un lato, e professionisti sanitari dall’altro, e che non è molto dissimile da attività già poste in essere in svariati contesti, attività in genere con obiettivi più contenuti e realizzate senza la corale partecipazione di tutte le parti interessate.
La PCC è istituto applicabile in tutti gli ambiti dell’assistenza sanitaria che comportino la presa in carico, da parte sia dei professionisti sanitari sia dei familiari, di persone con alterazioni patologiche croniche o comunque ingravescenti, comprese quelle necessitanti di cure palliative, espressamente richiamate nell’art. 5, comma 2, della legge n. 219.
La PCC e le cure palliative a domicilio: aspetti generali.
La PCC può dunque risultare particolarmente proficua nell’ambito delle cure palliative, tuttavia presenta problematiche peculiari, ma non esclusive, legate soprattutto al contesto, spesso domiciliare, in cui vengono erogate le cure. Si tratta di problematiche meritevoli di specifica analisi, al fine di prospettare soluzioni e formulare proposte operative.
Nelle cure palliative, è fondamentale l’obiettivo di fornire risposte adeguate alle aspirazioni della persona, con particolare riferimento alla scelta del luogo preferito per lo svolgimento delle cure e per la morte. La presente nota riguarda la PCC nell’ipotesi che il paziente indichi come luogo preferito la propria abitazione o l’abitazione di un familiare disponibile ad accoglierlo.
Secondo la nostra esperienza, non vi sono in genere validi motivi, di indole strettamente sanitaria, che contrastino tassativamente con questa aspirazione del paziente, che merita quindi di essere accolta. Con riferimento all’ambiente domiciliare, desiderato dal paziente e ritenuto congruo da parte dell’équipe curante, i problemi di peculiare interesse sono quelli connessi alla erogazione della terapia ed alla sua organizzazione complessiva.
L’articolo 5, comma 1, della legge n. 219 prevede che possa essere “realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico e l’equipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità”.
Stante il fatto che tutta l’équipe curante è vincolata a rispettare la PCC, è opportuno che ad essa partecipino tutti i componenti di detta équipe, in genere identificabili nel medico palliativista (per le cure palliative specialistiche) e nel generalista (per le cure palliative di base), nell’infermiere dell’assistenza domiciliare, nell’operatore socio-sanitario nonché, ove esistenti, nello psicologo e nel fisioterapista. Riteniamo pertinente la partecipazione, secondo i casi, anche dell’assistente sociale.
Il medesimo articolo 5, al comma 2, contempla che possano essere presenti, oltre al paziente, anche: “i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia”.
La composizione del gruppo chiamato alla realizzazione della PCC è dunque chiara. Una questione può sorgere qualora il paziente non sia cosciente o abbia comunque perso la capacità di autodeterminarsi. In tal caso, l’amministratore di sostegno, con mandato specificamente volto alla tutela della salute del paziente, potrà esprimere in nome e per conto del paziente stesso le aspirazioni di quest’ultimo, ove conosciute.
In mancanza di qualsivoglia forma di tutela legale del paziente, la pianificazione sarà necessariamente concordata con il familiare o i familiari che se ne prendono cura ed in particolare con quelli disponibili ad assisterlo.
Su questo aspetto, la legge n. 219 tace, ma la stessa legge tace in merito a tutte le situazioni in cui il paziente non abbia la capacità di esprimere una manifestazione di volontà valida.
Il ruolo significativo conferito ai familiari in molti passi della legge n. 219 induce a ritenere conforme al suo spirito una PCC condivisa tra équipe curante e caregiver, in caso di incapacità del paziente ad operare scelte consapevoli.
È opportuno che la PCC avvenga in una riunione appositamente organizzata, con la contestuale presenza di tutte le persone interessate. La PCC andrà poi modulata secondo l’evoluzione clinica e il mutare delle preferenze e delle volontà del malato.
Nella prima riunione il paziente manifesterà le proprie esigenze ed il medico palliativista e gli altri membri dell’équipe esporranno il proprio progetto, elaborato per dare risposta adeguata a queste esigenze, indicando in particolare le procedure connesse alla gestione del dolore e degli altri sintomi, nonché i servizi sociali e sanitari di cui il paziente potrà avvalersi per tutelare la propria identità culturale e religiosa e la propria dignità.
Dovrà essere altresì affrontata la questione dei futuri eventi acuti e delle situazioni di emergenza e del relativo comportamento appropriato. Ciò in piena coerenza con le informazioni che l’art. 5, comma 2, della legge n. 219 indica come doverose in capo al medico: “in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative.”
Il comma 3 dell’art. 5, in modo piuttosto asciutto, contempla: “Il paziente esprime il proprio consenso rispetto a quanto proposto dal medico ... e i propri intendimenti per il futuro”, laddove il sostantivo “intendimenti” ha un significato estensivo, riferendosi non solo alle opzioni per la cura ma anche alle globali aspirazioni connesse allo stile di vita e alle concezioni valoriali del paziente. In particolare, questi può porre limiti ad eventuali accertamenti o trattamenti che non ritenga opportuni.
È prevedibile che i familiari/caregiver chiedano come possono aiutare in pratica il paziente e come prendersi cura di lui in modo adeguato.
Della prima riunione finalizzata alla PCC è redatto apposito verbale ed integrazioni del verbale sono stilate tutte le volte in cui la PCC verrà ridiscussa ed eventualmente modificata con il procedere del percorso di cura.
I verbali entrano a far parte della cartella sanitaria relativa all’assistenza domiciliare del paziente. Il comma 5 dell’art. 1 della legge n. 219 prescrive annotazioni “nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico” e aggiunge che “la pianificazione delle cure può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia, su richiesta del paziente o su suggerimento del medico.”
La PCC e le cure palliative a domicilio: le prescrizioni dei farmaci.
Nell’ambito della PCC sono anche concordati i trattamenti terapeutici da erogare a domicilio e sono chiarite le competenze degli infermieri nella somministrazione dei farmaci e nelle medicazioni.
Il servizio di assistenza infermieristica pur variando nelle diverse sedi regionali non potrà mai coprire l’intera giornata, in particolare le ore notturne, soprattutto sotto il profilo della somministrazione di terapie. In occasione della PCC, è dunque da chiarire quale assistenza infermieristica sarà garantita e il necessario coinvolgimento dei familiari/caregiver, in campo assistenziale e di somministrazione terapeutica.
Risulta quindi fondamentale la loro formazione al fine di ottenere la necessaria abilità e competenza, nonché il sostegno che potranno avere quanti saranno impegnati nei trattamenti terapeutici. Nel corso della PCC saranno valutate le preoccupazioni dei familiari circa le loro responsabilità nella somministrazione di farmaci nella fase delicata del fine vita, chiarendo che la responsabilità è in capo al medico prescrittore delle terapie domiciliari.
Dovranno comunque essere loro garantiti una formazione efficace e un supporto continuo, eventualmente anche attraverso una specifica documentazione scritta, la possibilità di accedere a consulenze telefoniche, la valutazione della loro attività da parte dei professionisti sanitari.
La prima prescrizione di farmaci può essere riportata nel verbale di PCC, accertandosi che essa risulti comprensibile per i familiari che si prevede debbano somministrarli. Le ulteriori prescrizioni sono annotate nella cartella dell’assistenza domiciliare del paziente.
Una questione particolare delle cure palliative a domicilio riguarda i farmaci che gli Autori anglosassoni definiscono “PNR”, ricorrendo all’acronimo dell’espressione latina
pro re nata (al sorgere della circostanza) oppure “just in case”, e che nella nostra lingua possono essere tradotti con la locuzione “al manifestarsi”.
Si tratta in pratica di farmaci la cui somministrazione è indicata in presenza di segni clinici e sintomi ben precisi quali, per esempio, dispnea, nausea o vomito, secrezioni del tratto respiratorio superiore, dolore, febbre, agitazione psicomotoria, emorragie. È consuetudine ricorrere, per definire la prescrizione di questi farmaci nella previsione altamente probabile del manifestarsi di questi segni, all’espressione “prescrizione terapeutica anticipata”.
Si tratta di prescrizione congrua, idonea a dare risposta adeguata e tempestiva ai bisogni futuri e concretamente prevedibili dello specifico paziente, la cui realizzazione è affidata, in ambiente di ricovero, ad un professionista sanitario, l’infermiere, dotato di preparazione adeguata ad individuare i previsti segni e sintomi.
Anche se da sempre indispensabili in ogni assistenza domiciliare palliativa, è meritevole di approfondimento la questione dei familiari, opportunamente formati, che in situazioni di urgenza, ma anche nella normale quotidianità, procedono alla somministrazione di questi farmaci, in considerazione della impossibilità di disporre di assistenza infermieristica continua.
È implicito prevedere, nella pianificazione di un’assistenza palliativa domiciliare, il consenso del paziente alla somministrazione della terapia da parte di un familiare, anziché di un professionista sanitario, sia in gran parte della terapia quotidiana sia in rapporto alla previsione di una situazione di urgenza.
Va infine stigmatizzato che l’intervento del Servizio di Urgenza Emergenza (118/112, secondo le Regioni) è da limitarsi il più possibile, essendo indicato solo in situazioni imprevedibili in fase di cure palliative precoci e in accordo con l’équipe di cure palliative che ha in carico il malato.
L’intervento dei servizi di emergenza territoriali nelle fasi di fine vita è, in linea generale, clinicamente non appropriato ed eticamente illecito perché rischia di violare precedenti volontà del malato e di praticare trattamenti sproporzionati.
La letteratura internazionale e l’esperienza delle cure palliative dimostrano che la quasi totalità delle cure quotidiane e le urgenze prevedibili possono essere efficacemente affrontate a domicilio con la tempestiva somministrazione di terapie farmacologiche da parte di familiari/caregiver opportunatamente formati e supportati dai servizi di cure palliative, evitando accessi in Pronto Soccorso e ricoveri ospedalieri inappropriati e spesso fonti di ulteriori sofferenze per i malati e i loro cari.
Daniele Rodriguez
Medico legale
Luciano Orsi
Medico palliativista
28 aprile 2019
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