Ceis: spesa sanitaria -17,6% di quella Europea. Prospettive nere per i disavanzi di regionali
La spesa sanitaria italiana inferiore del 17,6% a quella dell’Europa a 15. Per il 2010 e 2011 in vista forti disavanzi di gestione per Asl e Ospedali. Cresce anche l’impoverimento delle famiglie per spese sanitarie non coperte dal Ssn e 5 milioni di italiani hanno avuto problemi nell’accesso alle cure. Questi i dati più eclatanti del VII Rapporto Sanità del Ceis Tor Vergata, presentato stamani presso la Camera dei Deputati.
15 GIU - La spesa sanitaria italiana può considerarsi ormai sotto controllo. Forse anche troppo, considerando congiuntamente che, per effetto degli interventi di contenimento attuati negli ultimi anni, la nostra spesa pro-capite è oggi del 17,6% inferiore a quella dell’Europa a 15 e addirittura di quasi il doppio più bassa se nel confronto ponessimo anche paesi extraeuropei come il Canada, il Giappone e gli Usa, ma anche che persiste la carenza di tutela per la non autosufficienza (
vedi Tabella 1 allegata a fondo pagina).
È forse questo il dato più significativo del Rapporto Ceis – Sanità 2009, presentato oggi a Roma. Giunto alla sua settima edizione, il lavoro del Centro studi economici ed internazionale afferente alla Facoltà di Economia dell’Università Tor Vergata di Roma, fotografa anche le ripercussioni di questo evidente gap di finanziamento del sistema sanitario, ancor più evidente in considerazione della crisi economica esplosa nel 2008, sul budget familiare destinato alla salute.
Tre dati su tutti: 338.000 nuclei familiari (pari ad oltre 1 milione di persone) sono stati soggetti a fenomeni di impoverimento a causa di spesa sanitarie o sociali (soprattutto per problemi di non autosufficienza); altre 992.000 famiglie (per un totale di circa 3 milioni di persone) sono state costrette a sostenere spese per la sanità molto elevate rispetto ai propri redditi; in oltre 2.600.000 famiglie almeno un componente ha dovuto rinunciare a sostenere spese sanitarie per il peso economico che avrebbero comportato.
In tutto, quindi, si può presumere che siano oltre 5.000.000 gli italiani che hanno avuto problemi di diversa entità nell’accesso alle cure nel corso del 2009. Da sottolineare che la capacità delle Regioni di evitare tali fenomeni di impoverimento appaiono molto diverse (
vedi Grafico 1 allegato a fondo pagina), tant’è che l’analisi sull’equità in termini di impatto della spesa sanitaria sui bilanci familiari (out of pocket) indica una significativa differenza regionale con picchi di maggiore impoverimento relativo e quindi di minore equità nella soddisfazione della domanda di cure e assistenza, in Piemonte, Molise e Liguria e una minore incidenza di impoverimento e quindi di maggiore equità nella soddisfazione della domanda in Campania, Marche e Puglia.
Dal punto di vista economico finanziario si delinea uno scenario preoccupante, ovvero la necessità di un significativo intervento regionale a copertura della spesa. E ciò anche dopo l’ultima manovra economica attualmente all’esame del Parlamento, che appare sostanzialmente neutrale rispetto al finanziamento regionale per il 2010, e moderatamente incisiva per il 2011 (- 418 milioni per blocco contratto del personale).
Pertanto, secondo le previsioni del Ceis, le Regioni potrebbero quindi trovarsi a dover reperire risorse (con nuove tasse o nuovi ticket o tagli alle prestazioni) intorno ai 6 miliardi di euro per il 2010 e 7 miliardi nel 2011. La spesa sanitaria del Ssn per il 2010, sempre secondo le previsioni del Ceis aggiornate con i saldi della nuova manovra economica, dovrebbe infatti assestarsi sui 116,5 miliardi nel 2010 e sui 121 miliardi nel 2011.
A questo punto occorre rilevare che, qualora tali previsioni dovessero essere confermate, gli oneri del disavanzo e le relative coperture rischiano di pesare in modo disomogeneo tra le 21 Regioni e Province Autonome, con maggior incidenza nelle Regioni già oggi in dissesto finanziario e oggetto di Piani di rientro.
Un quadro caratterizzato anche da una forte disomogeneità nella distribuzione delle risorse, dovuta essenzialmente al criterio del riparto procapite in base all’età della popolazione che crea una forbice significativa tra il picco di 2.119 euro procapite del Trentino Alto Adige e il minimo di 1.636 euro pro capite della Calabria (
vedi Tabella 2 allegata a fondo pagina). Un gap giustificato dal presupposto che una popolazione anziana “consumi” più sanità ma che lascia certamente più di un dubbio sulla entità e sulla effettiva correttezza della redistribuzione, in relazione al fatto che è dimostrato l’età essere la principale ma non l’unica determinante dei bisogni sanitari, come anche l’evidenza che sia necessario garantire le dotazioni essenziali di personale e strutturali, indipendentemente dalla quantità delle prestazioni erogate.
Ma vediamo ora in sintesi i vari capitoli della ricerca.
SPESA SANITARIA, FINANZIAMENTO E "VALORE AGGIUNTO" DEL SISTEMA SALUTE
La spesa sanitaria totale in Italia nel 2008 (ultimo dato consuntivo disponibile) è stata pari all’8,7% del PIL (e certamente il dato del 2009 risulterà cresciuto ulteriormente, anche per effetto della recessione economica) ma, con l’indotto che crea, si stima che l’economia legata alla Sanità in termini di valore aggiunto superi il 12%, rappresentando la terza industria italiana dopo alimentari ed edilizia.
Malgrado l’importanza strategica del settore, rafforzata dall’elevato contenuto di ricerca e innovazione, e quindi di potenziale capacità competitiva sui mercati, assistiamo ad una netta prevalenza delle politiche sanitarie sul lato assistenziale rispetto a quelle sul lato industriale: è un dato di fatto che gli indici di specializzazione economica dell’Italia nel settore farmaceutico e dei dispositivi medici siano nel primo caso appena sufficienti e nel secondo del tutto insoddisfacenti, a dimostrare un’insufficiente attenzione del Paese per il settore; ne segue che la bilancia commerciale farmaceutica è positiva con un saldo di appena € +0,6 mld. se si considera il solo commercio di medicinali, ma è negativa di € 2,4 mld. allargando le analisi anche alle materie prime; quella dei dispositivi medici è invece ampiamente negativa: € 3,6 mld.
La prevalenza delle politiche sul lato assistenziale si spiega facilmente, essendo dettata dalle preoccupazioni sul lato dell’impatto sulla spesa pubblica, che indubbiamente è rilevante e pari al 6,7% del PIL (
vedi Tabella 3).
A ben vedere tali preoccupazioni sembrano scarsamente fondate: l’incidenza della spesa sanitaria totale in Italia è pari all’8,7% del PIL rispetto all’8,9% media dei Paesi OECD; lo scarto è poi decisamente inferiore alla media dei Paesi dell’Europa a 15 (9,2%); ma, ciò che più conta, le politiche di contenimento sembrano essere state vincenti: infatti dal 1990 ad oggi, la crescita di tale incidenza è stata in Italia inferiore agli altri Paesi, fermandosi ad un solo punto di PIL: solo Finlandia e Nuova Zelanda hanno fatto meglio, peraltro avendo registrato una crescita del PIL decisamente superiore.
Per effetto degli andamenti di cui sopra, ovvero una percentuale di spesa complessivamente destinata alla Sanità su livelli medio bassi, unita ad una perdurante scarsa crescita del PIL, la spesa totale pro capite italiana è oggi del 17,6% inferiore (pari a € 2.286) a quella dei Paesi EU 15 (e se si considerassero anche Paesi quali Canada, Giappone e USA tale scarto quasi raddoppierebbe); si noti che, nel tempo, il differenziale si è invertito e poi notevolmente allargato: infatti nel 1990 la spesa sanitaria italiana era dell’8,2% superiore rispetto all’EU15. In questo dato si riassume certamente una componente importante delle difficoltà registrate nel settore.
L’intervento pubblico, in termini quantitativi, si attesta al 76,5% della spesa totale: tale percentuale è sostanzialmente in linea con i livelli medi europei (77,4%). In termini di percentuale sul PIL, l’incidenza della spesa pubblica è cresciuta nel tempo, raggiungendo il 6,6% nel 2004, per poi rimanere sostanzialmente stabile intorno al 6,7%, anche se tale valore si prevede in crescita (7,0% del PIL) nel 2009 per effetto della scarsa crescita del PIL e secondo le previsioni contenute nel Rapporto potrebbe arrivare al 7,5% nel 2010 e al 7,7% nel 2011.
Mentre il finanziamento della Sanità in senso stretto (con i caveat sopra espressi) risulta in linea con i dati europei, quello per la non autosufficienza e la tutela sociale appare largamente carente (appena € 123 per anziano over 65) e frammentato (Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, Fondo per le Politiche sulla Famiglia, il Fondo per le Politiche relative ai Diritti ed alle Pari Opportunità, il Fondo per le Non Autosufficienze, il Fondo per l’Inclusione Sociale degli Immigrati) per quanto concerne la non autosufficienza e, in generale, il sociale.
L’intervento pubblico esercita una importante funzione di redistribuzione: il riparto delle risorse porta a garantire una quota capitaria pro capite pari in media a € 1.745, con un massimo di € 2.119 in Trentino Alto Adige e un minimo di € 1.638 in Campania, con un differenziale quindi del 23%. Tali differenze si spiegano con la pesatura delle quote capitarie in base ai bisogni: si stima che circa l’1% in più di over 65 porti un finanziamento maggiore del 2,2%.
La redistribuzione operata dal finanziamento pubblico è apprezzabile nel fatto che il finanziamento garantito in media alle Regioni, in rapporto al proprio PIL, si attesta al 5,7% nel Nord, al 6,0% nel Centro, sino al 9,3% nel Sud
(vedi Tabella 4).
Malgrado la redistribuzione, i disavanzi si concentrano nel Centro Sud: di fatto Lazio, Sicilia e Campania, in base ai risultati di esercizio, da sole rappresentano quasi il 77% del disavanzo complessivo del sistema nell’anno 2008
(vedi Tabella 5).
La maggiore peculiarità riferibile alla composizione della spesa nel sistema sanitario italiano rimane quella relativa alla componente di spesa sanitaria privata. Quella pro capite passa dagli € 292 in Basilicata, agli € 649 in Friuli Venezia Giulia, senza una evidente relazione con il reddito medio delle famiglie. Di questa spesa quasi l’86% (dati fermi al 2007) risulta spesa out of pocket, mentre in Europa molti Paesi sono sotto il 50% (32,5% in Francia).
La mancanza di un secondo pilastro di copertura sanitaria comporta effetti equitativi non desiderabili, che si riassumono nell’esistenza di oltre 338.000 nuclei familiari annualmente soggetti a fenomeni di impoverimento a causa di spese sanitarie o sociali (non autosufficienza), e quasi 992.000 nuclei familiari costretti, almeno in un mese nell’anno, a sostenere spese per la Sanità molto elevate rispetto alle proprie possibilità (spese cd. catastrofiche). Si stima inoltre che in oltre 2.600.000 nuclei familiari, almeno un componente abbia addirittura rinunciato a sostenere spese sanitarie, per il peso economico che queste avrebbero implicato.
L’ARCHITETTURA DEL SISTEMA
Da un punto di vita organizzativo il sistema da una parte vede alcune tendenze comuni (ad es. accorpamento delle ASL e riduzione dei Posti Letto per acuti), ma con velocità diverse e altrettante forze centrifughe a livello regionale, da ultimo accelerate per effetto del federalismo.
La dimensione media delle ASL sfiora oggi i 350.000 abitanti, ma con una variazione regionale molto accentuata: considerando i casi estremi, si passa da 1,5 mil. di abitanti della unica ASL della Regione Marche, ai 118.200 della Regione Basilicata, con un rapporto di 1 a 12; analogamente la dimensione media dei distretti passa dai 154.000 abitanti in media della Regione Lazio (superando di fatto la soglia dei 60.000 abitanti indicata dalle norme) a meno di 25.000 del Molise (con una rapporto di circa 1 a 6).
Le differenze sono ancora più marcate per altre forme di presidio che caratterizzano la primary care: i punti di guardia medica vanno dai 61.700 abitanti in media per punto di guardia medica della P.A. di Bolzano ai 4.200 della Regione Basilicata); i consultori dai 57.000 abitanti in media della P.A. di Trento ai 5.700 della Regione Valle D’Aosta; i Centri di salute mentale dai 118.200 abitanti in media nella Regione Basilicata ai 15.700 della Regione Valle D’Aosta.
Secondo i dati più recenti disponibili (2007) il personale dipendente delle ASL, al netto di quello impegnato nei presidi ospedalieri a gestione diretta di cui si dirà dopo, varia da 6,5 dipendenti per 1.000 abitanti della Valle d’Aosta, all’1,4 della Lombardia, con una media nazionale di 3,0; si noti la forte disparità di personale con cui si gestiscono le attività extra ospedaliere, e anche come nell’ultimo quinquennio per quanto la numerosità del personale (per quanto il dato potrebbe essere inficiato ad esempio dalle modificazioni nei rapporti libero professionali e dal ricorso alle forme di outsourcing) sia in media leggermente diminuita ( 3,6% nel quinquennio), le Regioni approssimativamente si equiripartiscono: poco più di metà hanno aumentato il personale, in particolare la P.A. di Bolzano, la P.A. di Trento e Basilicata (rispettivamente con +94,1%, +41,3% e +29,8%), mentre le altre lo hanno diminuito (in particolare in Lombardia 36,3%, e la Liguria 26,2%.
Passando ai presidi ospedalieri, la tendenza è a un riduzione degli stessi e anche dei posti letto, ma con velocità, modalità e livelli difformi fra le Regioni. Circa due terzi delle Regioni e Province Autonome hanno, nel periodo 2000 2007, ridotto contemporaneamente numero di strutture e di posti letto, e di queste circa metà hanno ridotto i posti letto in una percentuale maggiore rispetto a quella delle strutture. Ad oggi la densità di posti letto per acuti ogni 1.000 abitanti registra un valore medio nazionale pari a 3,8; le Regioni con minore dotazione di posti letto per acuti risultano la Campania e il Piemonte con, rispettivamente 3,3 e 3,4 posti letto per acuti ogni 1.000 abitanti. Per contro, la Regione che presenta la densità di posti letto per acuti più elevata è il Molise con 5,2 posti letto ogni 1.000 abitanti. La disomogeneità territoriale è significativa anche nel caso dei posti letto per riabilitazione e lungo degenza. A fronte di una media nazionale pari a 0,6 posti letto per non acuti ogni 1.000 abitanti, a livello locale si registrano dotazioni che variano da 1,3 posti letto nella P.A. di Trento sino alla completa assenza di tale tipologia nella Valle d’Aosta.
Il personale dipendente dei presidi ospedalieri pubblici, ivi comprese le aziende ospedaliere i policlinici etc, è pari a circa 2,6 unità per posto letto (media nazionale al netto degli universitari), passando da un minimo di 1,9 registrato in Molise, a un massimo di 3,1 del Friuli Venezia Giulia e della P.A. di Bolzano. Anche in questo caso gli organici medi risultano significativamente diversi: nel quinquennio 2002 2007 (ultimo dato disponibile) il personale assegnato alle strutture di ricovero e cura pubbliche (per quanto il dato potrebbe essere inficiato anche in questo caso dalle modificazioni nei rapporti libero professionali e dal ricorso alle forme di outsourcing) in metà delle Regioni sembra aumentare, in particolare in Molise e in Liguria (rispettivamente +14,9%, +13,3%), mentre diminuisce nel restante 50% delle Regioni, in particolare nella P.A. di Bolzano ( 6,6%), con una tendenza alla riduzione del 1,2% annuo.
PUBBLICO E PRIVATO
Come detto, anche la composizione dell’offerta pubblica e privata si sta rideterminando, e di conseguenza la composizione della spesa (quest’ultima, anche per effetto del ricorso a forme di outsourcing all’interno delle strutture pubbliche): la quota di spesa in convenzione passa dal 42,6% del 2001 al 37,1% del 2008; nelle Regioni Lazio, Lombardia, Puglia e Sicilia osserviamo il maggior ricorso alle strutture private con una quota di spesa convenzionata superiore al 40%; di contro, nelle Regioni Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e nella P.A. di Bolzano tali percentuali sono inferiori al 26%.
Osserviamo anche che tendenzialmente un maggior ricorso a strutture private accreditate si accompagna ad una offerta privata più frammentata: nel caso ad esempio della assistenza specialistica, i Laboratori di analisi del Friuli Venezia Giulia nel 2007 avevano una dimensione media di quasi 600.000 prestazioni per struttura, e servono in media 43.600 abitanti, mentre in Sicilia facevano in media meno di 85.000 prestazioni, servendo solo 6.000 abitanti. Analogamente, per quanto riguarda i Centri per la diagnostica, si passa da una dimensione media di quasi 34.000 prestazioni e di un bacino di utenza di 21.000 abitanti della Emilia Romagna, alle 10.000 prestazioni e di 11.000 abitanti della Sardegna.
La spesa diretta, per il 79% su riferisce a personale dipendente e beni, ma nel Lazio ci si ferma al 73%, mentre in Calabria si arriva all’86%: tale dato fornisce una indicazione seppure approssimata delle diverse politiche di ricorso all’outsourcing.
L’ASSISTENZA
Per quanto concerne l’assistenza, la variabilità regionale di quella ospedaliera è molto forte: i tassi di ricovero in regime ordinario passano da 109,5 per 1.000 residenti del Piemonte a 183,3 dell’Abruzzo. A livello di ricoveri degli anziani over 75, le differenze crescono ancora passando da 254,3 del Piemonte a 470,5 della P. A. di Bolzano. Risultano ampiamente difformi anche le degenze medie (da 5,5 giornate della Campania a 8,0 della Valle d’Aosta), la quota di ricoveri in regime diurno (dal 23,4% della Puglia al 42,6% della Sicilia), e soprattutto la quota di DRG chirurgici (dal 31,2% della Calabria al 50,4% del Piemonte). Anche la complessità dei ricoveri appare regionalmente difforme: il “valore medio della produzione” per ricovero in Valle d’Aosta risulta del 34,7% superiore a quello dei ricoveri in Sardegna.
Si stima che l’inappropriatezza dei ricoveri (utilizzando ad esempio la quota dei DRG a rischio di inappropriatezza definiti a livello ministeriale) passi dal 15,0% della Toscana al 25,4% della Sicilia.
Le differenze regionali esplodono negli altri regimi diversi dalle acuzie: basti dire che i tassi di ricovero in riabilitazione variano fra lo 0,8 per 1.000 residenti della Sardegna, all’8,9 della Lombardia; la degenza media passa dalle 16,0 giornate dell’Abruzzo, alle 40 del Lazio. Analogamente per la lungodegenza abbiamo un tasso dello 0,02 per 1.000 residenti in Valle d’Aosta e del 7,0 in Emilia Romagna, con una degenza media compresa tra le 15,6 giornate del Friuli Venezia Giulia e le 51,9 della Calabria.
Passando alla residenzialità (RSA, Hospice, etc) e all’assistenza domiciliare i sistemi informativi risultano del tutto carenti; possiamo, però, ugualmente apprezzare alcuni elementi assolutamente critici. Per quanto concerne le residenzialità emerge come essa sia di fatto in larga misura a carico dei cittadini: partecipano infatti di tasca propria alle spese della struttura il 94% degli assistiti in Residenze socio sanitarie per anziani non autosufficienti. e il 90% degli assistiti in RSA: di fatto in oltre il 50% delle Residenze socio sanitarie per anziani non autosufficienti, e nel 28% delle RSA, la quota di compartecipazione rappresenta oltre il 50% delle entrate delle strutture.
Per quanto concerne la assistenza domiciliare integrata
(vedi Tabella 6), si può apprezzare la grande differenza nell’offerta effettiva, osservando il numero di anziani presi in carico (che diminuiscono dall’ 84,1% del 2004 all’81,2% del 2007), ma ancor di più del fallimento dell’integrazione socio sanitaria che si ferma a quella fra figure professionali sanitarie: solo il 34,9% dei soggetti ultra sessantacinquenni presi in carico ha ricevuto anche una qualche forma di assistenza sociale.
L’assistenza farmaceutica, sebbene la spesa pro capite per farmaci in Italia (US$ 518) rimanga all’8° posto all’interno dell’area OECD, dopo i reiterati interventi degli ultimi anni, sembra avere un andamento sostanzialmente stabile, almeno dal punto di vista della componente territoriale: diverso è il caso della spesa farmaceutica ospedaliera, peraltro in larga misura determinata dai consumi di farmaci innovativi ad alto costo soggetti a regime di monitoraggio (cd. file F).
Nuovamente, però, la stabilità a livello nazionale nasconde rilevanti differenze a livello regionale, con una spesa pro capite (territorio), che passa da € 360 del Lazio a € 240 della P.A. di Bolzano: in termini percentuali si passa dal 15,7% della Regione Lazio al 10,3% della P.A. di Bolzano. Il tetto della territoriale è stato “sostanzialmente” rispettato (tranne per il Lazio, l’Abruzzo, la Campania, la Puglia, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna), mentre il limite complessivo del 16,4% (14% di spesa convenzionata + 2,4% di spesa delle strutture sanitarie) è stato rispettato solo da poche Regioni: Valle d’Aosta (14,8%), Lombardia (15,4%), Veneto, Trento (14,0%) e Bolzano (13,5%).
L’assistenza specialistica
(vedi Tabella 7), infine, non si esime dalla caratteristica di una pronunciata variabilità regionale: si stima che l’onere pro capite complessivo (pubblico e privato) sia pari a € 211, passando però da € 417 della P.A. di Bolzano a € 136 dell’Abruzzo; i differenziali presentano un chiaro gradiente Nord Sud, inverso rispetto a quello della farmaceutica, confermando come le differenze socio economiche delle popolazioni incidano decisamente sulla composizione dei consumi sanitari e quindi sui modelli assistenziali da adottare.
Di seguito il link per scaricare il testo integrale del Rapporto Ceis-Sanità 2009
http://www.ceistorvergata.it/public/ceis/file/reports/Rapp_san_ita_2009.zip
15 giugno 2010
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