Legge 194. Va difeso il diritto dei medici a non essere obiettori
di Ivan Cavicchi
Vi è un problema di tutela della professione perché nel caso dell’ivg molti ginecologi sono esposti ad un vero e proprio depauperamento professionale. Ma non è possibile assicurare alle donne i loro diritti se non salvaguardiamo allo stesso tempo i diritti di chi lavora
20 MAR - Dopo la
presa di posizione della FP Cgil e la pregnante
lettera aperta di Sandra Morano rivolta al presidente della Fnomceo, vorrei riprendere la questione dell’obiezione di coscienza mettendo a fuoco principalmente la condizione di lavoro dei ginecologi costretti in qualche modo ad obiettare. La storia di Rossana Cirillo raccontata su
La Repubblica (15 marzo) e ripresa anche da Sandra Morano, non può essere liquidata semplicemente come quella di una ginecologa che a un certo punto è stufa di praticare ivg. Essa ci dice due cose:
• per negare i diritti delle donne, si devono prima negare altri diritti che riguardano il lavoro e la professionalità
• esistono gradi correlabili di violenza che riguardano tanto le donne che devono abortire quanto le ginecologhe che devono eseguire gli aborti(ricordo che oggi in generale la stragrande maggioranza dei medici sono donne soprattutto in ginecologia).
Sandra Morano a sua volta ci dice due cose fondamentali:
• vi è un problema di tutela della professione perché nel caso dell’ivg molti ginecologi sono esposti ad un vero e proprio depauperamento professionale;
• la questione dell’ivg non può essere scorporata da quella più complessiva della salute della donna intesa nella sua globalità e nella sua interezza.
Ne ricaviamo che non è possibile assicurare alle donne i loro diritti se non salvaguardiamo allo stesso tempo i diritti di chi lavora e che per salvaguardare i diritti di chi lavora e le necessità “globali” delle donne è indispensabile cambiare le attuali organizzazioni dei servizi. La mia proposta di istituire in ogni azienda il dipartimento per la salute della donna ,cioè una organizzazione in grado di prendere in carico il bisogno globale delle donne e nello stesso tempo di esprimere in massimo grado la professionalità del ginecologo, va esattamente in questa direzione (
Il Manifesto “Più obiettori dove la sanità sprofonda” 18 marzo).
Resta quindi da affrontare la questione della tutela della professione sia dal punto di vista ordinistico che da un punto di vista sindacale. Ma tutela rispetto a cosa? La cosa che più mi ha colpito dei commenti che mi è capitato di leggere sulla storia di Rossana Cirillo, a parte lo sconcerto che essa ha suscitato, in tutti noi, mettendo a nudo le nostre false coscienze, è la sottovalutazione se non la rimozione, del problema della violenza. Cioè di una concatenazione di violenze che prima di arrivare a punire le donne passa per il lavoro. Per cui alla domanda di prima rispondo: tutela di chi lavora dalla violenza sul lavoro.
L’essere indotti, quindi obbligati in diverso modo, a fare delle scelte professionali contro la propria coscienza, è una forma di coartazione della volontà e quindi di limitazione della libertà. Per valutare la coartazione dice la Corte di Cassazione (sentenza n. 13070 del 15 novembre 1999 e n. 1911 del 21 febbraio 2000) occorre far riferimento non a criteri astratti e aprioristici bensì a concrete circostanze.
Le circostanze concrete nella storia di Rossana, ma non solo nella sua (chi lavora nel pubblico ha forti difficoltà a raccontare pubblicamente le proprie storie) sono molto ben chiarite e sono comuni a numerose ginecologhe: tagliate fuori dalla carriera, costrette a fare aborti come una catena di montaggio, essere considerate ginecologhe di serie B, ostilità delle direzioni sanitarie e dei direttori generali, impossibilità a partecipare a convegni, turni massacranti, minacce, concorsi preclusi ecc. In questo clima la decisione di Rossana e di tante ginecologhe come lei, di dichiararsi obiettrice ha il significato tanto di una estorsione quanto di una violenza privata ma sulla quale nessuno interviene e nessuno dice niente. Sono molto colpito dai racconti delle ginecologhe che insistono tutte nel sottolineare la loro solitudine e il loro vissuto di persone abbandonate al loro destino. La legge ci dice che:
• l’estorsione può essere manifestata anche in maniera indiretta purché sia idonea ad incutere timore ed a condizionare la volontà del soggetto, in relazione alle circostanze concrete e alle condizioni ambientali in cui opera
• la violenza privata si configura semplicemente quando chiunque, con pressioni ,condizionamenti, minacce costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa (art. 610 c.p.).
E’ quindi del tutto evidente che la decisione di Rossana di diventare obiettrice non è stata una sua libera scelta perché tale scelta è di fatto condizionata da clamorosi vizi di consenso riconducibili soprattutto a violenza e a dolo: la violenza consiste nella minaccia alla professionalità, il dolo si ha perché si impongono a chi lavora condizioni di lavoro proibitive fino a costringere chi lavora in qualche caso a licenziarsi.
Tutto questo ed altro fa si che almeno la metà degli obiettori complessivi usano strumentalmente la loro coscienza in modo opportunistico e gran parte della domanda di ivg va a ricadere sulle spalle dei pochi non obiettori con effetti massacranti.
Una riflessione per concludere: ho notato, a partire dalla “risoluzione” della commissione affari sociali della camera, e dalle precedenti dichiarazioni della ministra, che le proposte in circolazione a fronte di vistosi reati conclamati, sono tutte incredibilmente di basso profilo, illudendosi di “salvare la 194” con un po di mobilità, qualche incentivo, assumendo solo non obiettori ecc. Mi colpisce che nella ricerca delle soluzioni a priori tutti escludano il perseguimento dei reati, quindi tanto le responsabilità politiche quanto quelle giuridiche, escludendo con ciò la possibilità di denunciare, di commissariare, di licenziare coloro che questi reati commettono. Mi permetto di suggerire ad ordini, sindacati, associazioni femminili che basterebbe qualche buona denuncia a invertire il verso del degrado, a meno di non esserci abituati ai misfatti, ai soprusi e alle violenze.
Ivan Cavicchi
20 marzo 2014
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Studi e Analisi