Carceri. L'allarme dei medici penitenziari: "Tra il 60% e l'80% dei detenuti italiani è malato". E per gli Opg si prospetta una nuova proroga fino al 2017
di Gennaro Barbieri
Per la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria bisognerebbe istituire un osservatorio ad hoc sulle patologie nelle carceri e assegnare codici struttura agli istituti. Le più diffuse: malattie infettive, tossicodipendenze e disturbi psichiatrici. Una giornata di riflessioni e confronti al Senato. E arriva la notizia che il Ministero ha accettato la proroga di tre anni per gli Opg richiesta dalle Regioni. I DATI SULLA SALUTE DEI DETENUTI
18 MAR - Il 60-80% dei detenuti ospitati presso le carceri italiane presenta almeno una malattia, con prevalenza di malattie infettive (48%), tossicodipendenze (32%) e disturbi psichiatrici (27%%). Le infezioni a maggior valenza in termini di salute pubblica sono rappresentate dal bacillo della tubercolosi (22% dei detenuti), dall’Hiv (4%) e da epatite B (5% con infezione attiva). Cifre che testimoniano la drammatica condizione in cui versano i nostri istituti e che hanno costituito il punto di partenza per riflessioni e dibattiti che hanno animato il convegno ‘Salute in carcere, oggi”, organizzato presso il Senato dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe). Nel corso del convegno viene inoltre confermata la notizia secondo cui il Ministero ha accettato di prorogare di 3 anni la chiusura degli Opg, riviandola al primo aprile 2017.
Le altre patologie ad ampia diffusione sono le malattie osteoarticolari (17%), le malattie cardiovascolari (16%), i problemi metabolici (11%) e le malattie dermatologiche (10%). Alla base di queste cifre ci sono i numerosi fattori, particolarmente radicati nell’ambiente carcerario italiano, che favoriscono il rischio sanitario e che ostacolano l’applicazione di programmi di controllo incentrati su prevenzione, diagnosi e cura. In particolare a incidere è soprattutto il sovraffollamento che con 64.758 detenuti presenti raggiunge il 178% della capienza regolamentare. A ciò si aggiungono i frequenti spostamenti dei carcerati sia all’interno dello stesso istituto che tra strutture differenti. Emerge così una vastissima diffusione di epidemie infettive, sia intramurarie che extramurarie. "Quella carceraria è una popolazione molto giovane che presenta problemi molto gravi - ha evidenziato il presidente della Simspe,
Sergio Babudieri - E spesso i dati ufficiali sottostimano la situazione effettiva. E' una vera e propria emergenza, perché la tutela della salute nelle carceri è un problema di salute pubblica, in quanto si traduce sull'intera collettività. C'è poi un problema di carattere istituzionale, perchè le Regioni non riescono ancora a penetrare e comprendere i meccanismi sanitari che operano nel carcere".
Il fenomeno, sottolinea la Simspe, non viene però monitorato in maniera adeguata poiché manca un sistema di sorveglianza epidemiologica ad hoc. E’ quindi doveroso iniziare a pensare all’istituzione di un apposito osservatorio in modo da modulare con maggiore cognizione politiche e interventi. Proposta che ha raccolto immediatamente il consenso di
Fabrizio Oleari, presidente dell’Istituto superiore di sanità. “Siamo pronti a mettere le nostre competenze a disposizione dei decisori politici e istituzionali. Su questo punto possiamo essere il catalizzatore di diversi soggetti”.
“E’ inaccettabile che in un Paese avanzato troppo spesso chi entra in carcere sano poi ne esca malato – ha sottolineato
Luigi D’Ambrosio Lettieri, senatore Fi-Pdl e capogruppo in Commissione Sanità – Si tratta di un tema che deve riacquisire centralità. Serve quindi, al più presto, una risposta seria in sede legislativa, ma è essenziale che contestualmente vengano costruiti meccanismi applicativi efficaci e incisivi. Un intervento da non rinviare è l’introduzione dei codici di struttura, che consentirebbero appunto un salto di qualità nella fase operativa. Va poi risolto al più presto il problema degli Opg, che rappresentano una questione umiliante e mortificante”.
Osservatorio e codici di strutture, dunque. Ma non solo. Altra richiesta emersa nel corso del convegno è di intervenire sugli attuali Lea per adeguarne alcuni aspetti alla specificità penitenziaria. E anche effettuare un riesame dell’art.112 del Dpr 230/2000 nel quale non è ancora stabilita la possibilità di osservazione psichiatrica in istituti ordinari e in Opg. E, osserva la Simpe, alla luce dell’imminente chiusura degli Opg, il provvedimento dovrà essere sviluppato soltanto nelle sezioni regionali di osservazione psichiatrica.
Altro aspetto nodale riguarda il passaggio della sanità penitenziaria al Ssn, sancito il 14 giugno 2008. Un processo ancora incompleto, avvenuto tra innumerevoli pastoie e difficoltà e con un elevatissimo livello di frammentarietà. Manca, infatti, un coordinamento organico e omogeneo nella gestione sanitaria tra le varie regioni e, in alcuni casi, addirittura tra le singole Asl. L’assenza di una gestione armonica determina spesso situazioni in bilico tra il surreale e il drammatico: nel passaggio tra le diverse strutture,i detenuti vengono sottoposti a modelli assistenziali differenti e non sempre integrabili.
Elemento strettamente legato al passaggio al Ssn è la collocazione del personale, non più quindi alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. Si tratta di uno snodo analizzato con attenzione dal Comitato nazionale per la bioetica nella relazione, dello scorso novembre, ‘La salute dentro le mura’. Secondo il comitato, il passaggio dal concetto di ‘medico penitenziario’ a quello di ‘medico tout court’, deve automaticamente generare una maturazione culturale che però stenta ancora a definirsi, anche per la diversità dei compiti che spesso gli operatori sono chiamati ad adempiere.
Per quanto concerne il lavoro degli infermieri, dalla categoria proviene la richiesta di promuovere percorsi formativi specifici, che però attengano a un modello teorico uniforme e applicabile a tutti gli istituti. Gli infermieri della Simpe chiedono quindi che venga definita la dotazione organica aziendale del personale infermieristico da destinare all’attività di medicina penitenziaria.
La partita si gioca però anche sul rapporto delle strutture con il contesto di riferimento. “L’allontanamento dei detenuti dalle loro regioni di appartenenza – ha osservato
Paola Montesanti, dirigente Dipartimento amministrazione penitenziaria – genera una serie di problemi strettamente connessi al tema della salute – Per questo sarebbe decisivo ridurre all’osso i trasferimenti e ricollocare la persona al centro del ragionamento, stabilendo lo spostamento soltanto quando l’Asl dichiara di non poter erogare cure adeguate”. Purtroppo però il tema della salute nelle carceri viene spesso sottovalutato "E' un elemento centrale che però non riceve la giusta considerazione, anche in ambienti sanitari - ha ammonito
Luciano Lucania, vicepresidente della Sismpe - Spesso ci scontriamo con un sottofondo culturale assai vecchio. Dobbiamo, invece, portare il tema tra le più alte linee guida del Ssn e far in modo che la sanità penitenziaria venga inserita nell'assistenza primaria".
E una svolta radicale e incisiva passa anche per la definizione di un nuovo rapporto tra i dicasteri della Salute e della Giustizia. “Sono due istituzioni troppo diverse e distanti tra loro – ragiona
Paola Di Fiandra, psicologa e dirigente presso il Ministero della Salute – Bisogna mettere tutti gli attori intorno a un tavolo, incluse ovviamente le Regioni che gestiscono la sfera operativa, e cercare di allineare tempi e obiettivi”. Altro nodo ancora da sciogliere è quello legato al superamento degli opg “che prosegue ancora a rilento a causa di una grande dose di ingenuità della politica che ha valutato una tempistica poco realistica”.
Gennaro Barbieri
18 marzo 2014
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