Anteprima. Documento Agenas: "Sbagliato usare questi costi standard per determinare il fabbisogno"
Secondo gli esperti Agenas "proporre come criterio quello della spesa media delle Regioni virtuose significa di fatto creare un percorso vizioso che riporterebbe, al di là delle più buone intenzioni, alla reintroduzione della spesa storica". “Il documento contiene indicazioni di carattere tecnico, che prescindono naturalmente dalla sfera politica, ma che possono essere di grande utilità per i decisori” spiega il direttore dell’Agenzia Fulvio Moirano. E oggi le Regioni si riuniscono su questi temi.
04 NOV - Presentata alle Regioni lo scorso mese di maggio, la relazione Agenas sui criteri per la determinazione del fabbisogno del Ssn, è rimasta fino ad oggi ai margini del dibattito pubblico sul federalismo fiscale. In realtà, il documento che
Quotidiano Sanità vi offre oggi in versione integrale, entra a fondo nel merito delle questioni al centro del confronto serrato tra Regioni e Governo dopo l'emanazione del decreto sui costi standard sanitari, indicati dai più come la soluzione per dotare finalmente le Regioni di quote finanziarie adeguate alle loro esigenze e nello stesso tempo in linea con la spesa delle Regioni più virtuose.
Abbiamo chiesto a
Fulvio Moirano, direttore dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, di illustrare gli intendimenti e le motivazioni che hanno portato l'Agenas a redigerne il documento sui criteri da utilizzare per determinare il fabbisogno sanitario e definire i moltiplicatori del fabbisogno.
“Lo studio sulle determinanti che possono incidere sul fabbisogno sanitario è stato commissionato dalla Conferenza delle Regioni e delle P.A. ad Agenas nel gennaio 2010. I nostri tecnici - spiega Moirano - si sono messi immediatamente al lavoro ed hanno prodotto il documento richiesto, che è stato consegnato alla Conferenza alla fine del mese di maggio. Il documento contiene indicazioni di carattere tecnico, che prescindono naturalmente dalla sfera politica, ma che possono essere di grande utilità per i decisori. Si tratta, in sostanza, di uno studio, che come è consuetudine dell’Agenzia - sottolinea il direttore Agenas - si basa su considerazioni tratte dalla letteratura internazionale, per contribuire al dibattito su tale tema; l’Agenas, non ha, infatti, un ruolo operativo nel riparto, ma solo competenze tecnico-scientifiche”.
Nel documento i ricercatori dell’Agenas, guidati da Cesare Cislaghi, mettono in discussione l'idea stessa che sia possibile definire i costi standard e tanto meno che essi possano essere utilizzati per stabilire l’ammontare delle risorse necessarie per far funzionare la sanità. Al contrario, secondo gli esperti dell’Agenzia, prima va fissata la quota di Pil da dedicare alla salute (scelta politica) e si deve poi provvedere a dividerla nel modo più equo possibile tra le regioni. Per farlo occorre però rinnovare gli attuali criteri di riparto basati solo sul numero di abitanti “pesati” per età, introducendo anche una serie di determinanti socio-economiche (istruzione, condizioni di lavoro, abitazione, ecc.) e di stato di salute della popolazione (cronicità, disabilità, tumori, Aids, disagio mentale, ecc.), che consentirebbero di dividere le risorse disponibili in maniera più rispondente ai bisogni di assistenza.
Nella discussione che affronteranno questa mattina i Presidenti delle Regioni, dunque, il documento potrebbe rivelarsi utile in relazione al riparto 2011, che, pur non essendo all’ordine del giorno, incide però sulla posizione da prendere riguardo al decreto varato dal Governo su fiscalità regionale e costi standard in sanità.
Quale che sia la posizione che prenderanno oggi le Regioni, e che verrà riportata nella Conferenza Stato-Regioni prevista per il pomeriggio, il Governo potrà comunque decidere di proseguire nell’iter parlamentare del decreto, essendo già scaduti i trenta giorni previsti per la ricerca di un’intesa nella Conferenza Stato Regioni.
Eva Antoniotti
Rimandando alla lettura del testo integrale, anticipiamo di seguito il paragrafo della relazione Agenas, riguardante la relazione tra spesa storica e determinazione del fabbisogno nel quale gli esperti chiariscono come i “costi standard”, se intesi come media della spesa storica delle regioni virtuose, non possono essere usati come parametro per la determinazione del fabbisogno reale.
Spesa storica o spesa determinata sui costi standard
“Per tanti anni, il secolo scorso, la sanità, come molti altri settori dell’amministrazione pubblica, è stata finanziata dallo Stato con il criterio della spesa storica consistente nel riprodurre le stesse aliquote di ripartizione tra le Regioni utilizzate nei precedenti esercizi finanziari, magari corrette per i disavanzi manifestatisi.
Ormai da più di un decennio, però, in Sanità questo criterio è stato abbandonato e si è introdotto il principio per cui il finanziamento deve essere proporzionale al fabbisogno delle singole Regioni; la discussione su come determinare il fabbisogno è sempre stata molto accesa e ha innescato dibattiti teorici e scontri tra interessi locali, ma il principio , a livello teorico, non è stato più messo in discussione, come non è mai stata seriamente messa in discussione l’evidenza dell’iniquità di un riparto grezzo che tenesse conto solo del numero di abitanti e non dei loro determinanti del fabbisogno.
La prospettiva di attuazione del federalismo fiscale ha riproposto l’argomento in quanto, giustamente, le Regioni “virtuose” non intendono finanziare i disavanzi di altre Regioni, disavanzi che spesso risultano prodotti da colpevoli inefficienze.
Ed allora nella normativa si è iniziato a parlare di “costi standard”, concetto non ancora ben definito e per il quale sono state date le più diverse interpretazioni. Il dibattito ha viepiù chiarito da una parte i contenuti concettuali e le differenze tra costo standard di produzione, costo standard di erogazione, fabbisogno standard e spesa standard, dall’altra la difficoltà, in pratica si può dire l’impossibilità, di pervenire in sanità all’identificazione dei costi standard di produzione o di erogazione.
Nella proposta di Patto per la salute si parla di “costi medi” ma in realtà sono la spesa media pro capite per i diversi Livelli di assistenza, e si propone di utilizzare questi come base per determinare il livello globale del finanziamento e i criteri per la sua ripartizione.
In questa proposta come in altri documenti si introduce il concetto di “Regione Virtuosa”, cioè di Regione che ha determinato una spesa contenuta nei limiti del finanziamento assegnato evitando un risultato negativo di esercizio anche se poi ripianabile con risorse regionali extra sanitarie.
Il concetto di “virtuosità” presuppone quindi in modo rigido il confronto tra la spesa ed il livello di finanziamento assegnato e così implicitamente afferma la congruità dello stesso, sia come valore economico sia come metodologia di individuazione; cioè si accetta implicitamente che il finanziamento deve essere proporzionale al bisogno e quindi sia la Lombardia, ad esempio, che la Toscana sono virtuose perché la loro spesa non è andata oltre il finanziamento ben sapendo che per la Toscana, Regione con molti più anziani della Lombardia, il finanziamento prevede un valore procapite più elevato di quello lombardo.
Se il finanziamento futuro deve essere basato sulla media delle precedenti spese delle Regioni che hanno rispettato i limiti del finanziamento, significa che il finanziamento deve essere nient’altro che la media, di certo non grezza bensì ponderata, dei precedenti finanziamenti stessi, e questo equivarrebbe a riproporre il “finanziamento storico”, riedizione non molto rinnovata del criterio della “spesa storica”. 16
Alcuni ipotizzano, e la proposta di Patto per la salute non lo chiarisce, che invece si intenda fare la media dei procapite “secchi”, ma in questo caso come potrebbe considerarsi virtuosa una Regione che ha una spesa procapite molto superiore alla media e che non ha prodotto disavanzi solo perché il finanziamento ricevuto era proporzionalmente più elevato di quelli delle altre Regioni?
Alcuni pensano che concordare o dissentire con l’introduzione dei “costi standard” sia funzione di un orientamento politico di chi esprime delle opinioni sull’argomento; può essere che per alcuni sia così, ma per molti tecnici attenti e competenti la discussione prescinde da qualsiasi riferimento ideologico o politico.
Se quindi si ritiene che le Regioni che hanno rispettato nelle spese il livello di finanziamento siano quelle che determinano la base del finanziamento successivo, implicitamente si afferma che il finanziamento stesso deve essere riproposto tale e quale.
E’ invece corretto ritenere che il livello globale del finanziamento non possa essere determinato che da macro criteri economici di compatibilità economica e da criteri di omogeneità delle utilità marginali dei finanziamenti dei diversi settori dell’amministrazione pubblica, e che quindi il riparto tra le Regioni debba esser definito in modo proporzionale al loro fabbisogno di risorse da dedicare alla sanità e questo non possa che esser definito individuando i determinanti individuali e collettivi della spesa sanitaria.
Proporre quindi come criterio quello della spesa media delle Regioni virtuose significa di fatto creare un percorso vizioso che riporterebbe, al di là delle più buone intenzioni, all’inizio del percorso, cioè alla reintroduzione della spesa storica.
Affermare che il sistema attuale è un sistema che adotta la spesa storica non è aderente alla realtà; nella tabella precedente si è calcolato quanti euro procapite in meno od in più avrebbero ricevuto le Regioni se, riportando i valori al fabbisogno nazionale e alle basi demografiche del 2008, avessero, anno dopo anno, fosse stato applicato il criterio della spesa storica; sono evidenti le diversità. Esaminando tutto il decennio e calcolando quali sarebbero stati i finanziamenti nel 2008 se si fosse adottata la spesa storica del 1998, il risultato è illustrato nel grafico precedente. Il Friuli Venezia Giulia avrebbe ricevuto 35,3 euro in meno di quanti gli sono stati oggi assegnati e la Basilicata avrebbe invece 57,5 euro in più, cifre certo non ininfluenti.
Ritornando a quanto detto prima si deve però osservare che la “tabella” dell’anno precedente ha sempre svolto un ruolo politico importante nella discussione sui criteri di riparto e, ad esempio, si è sempre adottato il criterio che nessuna Regione potesse ricevere una cifra assoluta inferiore a quella dell’anno precedente, situazione questa che tra l?altro è invece accaduta nel 2010 a riguardo della Regione Liguria. Questo “freno” implicito ai cambiamenti può essere interpretato come una concessione alla logica della spesa storica, ma ciò è accaduto in modo non esplicito e senza una condivisione di tipo formale”.
04 novembre 2010
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