Il Rapporto 2024 del Think Tank “Welfare Italia” – Partecipato da UNIPOL SAI e Studio Ambrosetti – affianca, per la prima volta, al tradizionale Osservatorio sulle dinamiche tendenziali e congiunturali del welfare l’analisi dei fattori di rischio che indeboliscono l’effettiva fruizione dei servizi da parte dei cittadini: le dinamiche della finanza pubblica, i trend demografici, i divari socio-territoriali e nell’accesso ai servizi.
Per gestire questi fattori di rischio sono state identificate cinque linee di attività possibili: l’integrazione della tecnologia, la gestione della demografia, le politiche infrastrutturali, la valorizzazione del ruolo del privato e le politiche del lavoro e della formazione.
Per rendere l’ecosistema welfare un contesto competitivo e un fattore di crescita per il Paese a supporto di questa analisi è stata realizzata anche la mappatura della sua “filiera estesa”.
Quanto ci costa il welfare in Italia? Il welfare nel nostro Paese, nelle sue componenti macro (sanità, politiche sociali, previdenza, istruzione), nel 2022 costa 642,7 miliardi di Euro ed è ancora la principale voce di spesa pubblica (il 58,9% del totale) anche se con un -4,3% rispetto all’anno precedente arriva al valore più basso a partire dal 2009.
Figura 1. Peso della spesa in welfare sul totale della spesa pubblica in Italia (valori percentuali), 2009-2022.
Fonte: elaborazione TEHA Group su dati Eurostat,2024.
Dei 642,7 miliardi di euro del 2022 la componente previdenziale ne assorbiva il 48,9%. Seguivano la spesa sanitaria (21,5%), quella per le politiche sociali (17,3%) e quella per l’istruzione (12,3%).
Rispetto al 2019, anno di riferimento precedente all’insorgenza della pandemia da SARS-COV-2, la previdenza ha subìto un calo (-1,9%); questo a fronte di un aumento della spesa in politiche sociali (+1,9%), mentre per sanità e istruzione si registra un andamento invariato rispetto al 2019 pari, rispettivamente, al 21,5% e al 12,3% della spesa totale in welfare.
Se confrontiamo questi dati con quelli UE viene confermato lo sbilanciamento dell’Italia verso la componente previdenziale. Il nostro Paese risulta il primo tra i Big-4 europei per incidenza della spesa in previdenza rispetto al PIL (16,2% rispetto ad una media del 12,3% dell’Eurozona). L’Italia è invece l’ultima per la spesa nell’istruzione (4,1% del PIL rispetto ad una media EU pari al 4,6%) per quella delle politiche sociali (5,7% del PIL contro una media dell’Eurozona pari al 7,3%), e per quella della sanità (6,9% del PIL contro una media UE del 7,9%).
Figura 2. Peso della spesa in welfare in Italia e in confronto ai principali Paesi europei nei quattro pilastri (valori in percentuale del PIL), 2022. Fonte: elaborazione TEHA Group su dati Eurostat, 2024.
Nel 2024 prosegue l’incremento di tutta la spesa per il welfare
Sempre per “Welfare, Italia”, nel periodo 2019-2024 la spesa in welfare in assoluto, anche a causa delle dinamiche di spesa connesse alla pandemia SARS-COV-2, è aumentata in tutte le sue componenti: politiche sociali +24,8%, previdenza +22,8%, sanità +20,0% e istruzione +14,4%.
Nell’ambito delle politiche sociali, per il 2024 le stime contenute nel Documento di Economia e Finanza (DEF) prevedono un aumento del 4,0% rispetto al 2023. Per la spesa sanitaria prevista per il 2024 è (pari a 138,8 miliardi di Euro) si prevede nel 2024 in aumento del 5,8% a causa della crescita del 9,7% dei redditi da lavoro dipendente del personale del SSN, dell’incremento di spesa per consumi intermedi del 2,9% (soprattutto prodotti farmaceutici, per i quali si stima una crescita del 7,1%).
È prevista anche la crescita della spesa per l’assistenza medico–generica (+14%), dovuta essenzialmente agli oneri relativi al rinnovo delle convenzioni per i trienni 2019-2021 e 2022-2024, e per un aumento del 5,2% delle prestazioni sociali in natura, corrispondenti a beni e servizi prodotti da produttori market (in particolare, l’assistenza farmaceutica convenzionata in crescita del 4,7%).
Figura 3. Andamento della spesa pubblica di welfare (miliardi di Euro e variazione percentuale), 2019-2024.
Fonte: elaborazione TEHA Group su dati Piano Strutturale di bilancio a medio termine ed Eurostat, 2024.
N.B per la voce istruzione non sono disponibili le previsioni al 2024. Il dato al 2023 rappresenta una previsione calcolata sulla base del tasso di crescita medio annuo composto nel periodo 2011-2022.
Servirebbero 176 miliardi di euro per garantire la sostenibilità del sistema welfare entro il 2030
Il welfare italiano deve rispondere ai crescenti bisogni di protezione all’interno di un sistema economico con pochi margini di spazio fiscale, in quanto condizionato da un quadro di finanza pubblica critico se pur in progressivo miglioramento, come dai dati relativi al 2023 sul rapporto deficit/PIL (pari al - 7,2%, il più alto tra i Paesi dell’UE) e rapporto debito pubblico/PIL (pari al 134,6% del PIL, il 2° valore più alto nell’UE dopo la Grecia), resta uno dei più compromessi a livello europeo.
A complicare ulteriormente il delicato quadro di finanza pubblica italiano vi sono le nuove regole relative alla governance economica europea.
L’ultima riforma cambia il precedente impianto regolatorio europeo, modificando i meccanismi di monitoraggio e le modalità di programmazione della politica di bilancio degli Stati.
Come Italia dovremo apportare una correzione di bilancio, notificataci dalla Commissione Europea, pari a circa 12-14 miliardi di Euro/anno per i prossimi sette anni, e consolidare le previsioni della spesa in welfare contenute nel Piano Strutturale di Bilancio di medio termine 2025-2029 per il periodo 2024-2027.
Seguendo l’analisi proposta da “Welfare-Italia” e stimando il tasso di crescita medio annuo per il periodo 2028-2030, nei prossimi 7 anni occorrerà trovare circa 94,8 miliardi di Euro (pari a circa il 15% dell’attuale spesa in welfare) di risorse aggiuntive per garantire la sostenibilità del sistema.
Se consideriamo gli effetti derivati dalla correzione di bilancio citata in precedenza, il complesso delle risorse è stimabile in circa 176 miliardi di Euro. Come fare? Dove reperirli? Questo è il problema.
Figura 4. Proiezione della spesa di welfare nel periodo 2023-2030 (miliardi di Euro).
Fonte: elaborazione TEHA Group su dati Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029 e Istat, 2024. N.B Le stime per il periodo 2028-2030 si basano sul tasso di crescita medio annuo ipotizzato dal Piano nel periodo 2024-2027
Il calo demografico continua nel 2023 con il minimo storico di nascite: - 379 mila unità (-3,6% rispetto al 2022)
Come è noto le dinamiche demografiche sono una variabile rilevante per capire i cambiamenti sociali ed economici in atto nel nostro Paese e per valutare le sfide a cui è chiamato il sistema di welfare nel suo complesso. La popolazione italiana, in crescita costante dall’inizio del Novecento, dal 2014 ha avviato un percorso di progressiva diminuzione. Il tasso annuo medio di crescita nel periodo 1900-2014 è stato +0,5%, mentre nel periodo 2014-2023 è diventato negativo: -0,4%.
Figura 5. Popolazione residente in Italia (milioni), 1900-2023.
Fonte: elaborazione TEHA Group su dati Istat, 2024.
Il calo demografico del Paese al 31 dicembre 2023, si sostanzia in una diminuzione di -7,4 mila unità rispetto all’anno precedente. Quindi nel 2023 in Italia la popolazione residente ammonta a 58,9 milioni di unità con un minimo storico di nascite: 379 mila (-3,6% rispetto al 2022) che, combinato con un numero di decessi pari a 660 mila (-8,0% rispetto al 2022), ha contribuito ad un saldo naturale negativo di -281 mila unità.
Figura 6. Saldo naturale della popolazione residente in Italia (valori assoluti), 2002-2023.
Fonte: elaborazione TEHA Group su dati Istat, 2024.
Il tasso di natalità in Italia nel 2023 risulta pari a 6,4 nascite per 1.000 abitanti. Questo indice è in progressiva diminuzione negli ultimi undici anni: tra il 2013 (tasso di natalità pari a 8,5) e il 2023 si è registrata una diminuzione di 2,1 nascite ogni 1.000 abitanti.
Questa tendenza è ancora più evidente se confrontata al contesto europeo. L’Italia registra, con riferimento al tasso di natalità, il dato più basso nell’Unione Europea, con una distanza di 4,7 nascite dal valore massimo (Cipro con 11,1 nascite ogni 1.000 abitanti) e di 1,8 nascite dalla media dell’Unione Europea (8,2 nascite ogni 1.000 abitanti).
In Italia divari sociali e territoriali e una diffusa povertà
Nel nostro Paese, come osservata da numerosi osservatori sociali (CREA Sanità, Equitalia, Fondazione “B. Visentini”, etc.) nel 2023 il 22,8% della popolazione – quasi 1 su 4 - risulta a rischio povertà o esclusione sociale. Comunque un valore in diminuzione di -1,6% rispetto al 2022 (24,4%) e inferiore di - 1,8% rispetto al valore registrato nell’anno pre-pandemico del 2019 (24,6%).
Vedi il nostro articolo “Sostenibilità del welfare e resilienza della sanità pubblica“ su “Quotidiano sanità”
Come Paese siamo tra i Paesi UE Top-10 per la percentuale di popolazione a rischio povertà ed esclusione sociale con una percentuale di +1,4% rispetto alla media europea del 21,4%. Sono le Regioni del Sud Italia a registrare le percentuali più alte di persone a rischio povertà ed esclusione sociale in UE.
Figura 7. Persone a rischio povertà ed esclusione sociale nei Paesi dell’Unione europea (valori percentuali), 2023. Fonte: elaborazione TEHA Group su dati Eurostat, 2024.
I divari territoriali incidono anche sugli accessi ai servizi di welfare disponibili per i cittadini. Se consideriamo la percentuale di anziani trattati in Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) la distanza tra le Regioni best e worst performer è pari all’84%.
In particolare l’ADI in Calabria è garantita a meno dell’1% degli over-65 anni.
Secondo ISTAT nel 2023 l’incidenza della povertà assoluta in Italia era pari all’8,5% tra le famiglie (in aumento dello 0,2% rispetto al 2022 quando era pari all’8,3%) e al 9,8% tra gli individui (in aumento di +0,1% rispetto al 2022 quando era pari al 9,7%). In termini assoluti, la quantificazione è di circa 2 milioni 235 mila famiglie e 5 milioni 752 mila individui in stato di povertà assoluta, quasi il 10% della popolazione italiana!
In particolare tra il 2014-2023 l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie è aumentata di +2,3%, passando dal 6,2% all’8,5%, mentre tra gli individui ha registrato un aumento di +2,9% (dal 6,9% al 9,8%).
L’incidenza della povertà assoluta familiare più basse sono nel Centro Italia (6,8%) e nel Nord (8,0%) e le più alte nel Sud (10,2%) e nelle Isole (10,3%).
I divari sociali sono stati acuiti dalle dinamiche inflattive. Nel 2023 in Italia il tasso di inflazione annuale, misurato tramite l’IPCA, era pari al +5,9%, superiore di +0,5% rispetto alla media dell’Eurozona (+5,4%) ma in diminuzione di -2,8% rispetto all’anno precedente (+8,7%).
Ad aver registrato il maggior incremento i prezzi dei beni alimentari (+10,2%) e dei servizi (+4,5%), mentre in forte decelerazione rispetto al 2022 risulta il prezzo dei beni energetici (+1,1%), i quali, nel corso del 2022, avevano ampiamente sostenuto la corsa dell’inflazione.
Le forti spinte inflattive, seppur in diminuzione rispetto all’anno precedente, hanno determinato una riduzione del potere di acquisto delle famiglie dell’1,8% nel 2022 e dello 0,5% nel 2023.
Divisioni tra nord, centro e sud nella capacità di risposta dei sistemi di welfare regionali
Nel Rapporto “Welfare Italia 2020” è stata sottolineata la forte eterogeneità tra i territori del Paese, sia con riferimento al sistema di welfare sia per quanto riguarda gli impatti del COVID-19 e le relative conseguenze redistributive legate a povertà assoluta e disoccupazione.
Nel Welfare Italia Index 2024 l'amministrazione territoriale con il punteggio più elevato è la P.A. di Trento (79,7 punti), seguita dall’Emilia Romagna (79,5 punti) e dalla P.A. di Bolzano (78,5 punti).
Dal lato opposto del ranking, si posizionano la Basilicata (59,5 punti), la Campania (58,6 punti) e la Calabria (56,1 punti).
L’edizione 2024, rispetto ai dati 2023, segnala una costante polarizzazione nella capacità di risposta del sistema di welfare delle Regioni italiane. Il divario tra Regione virtuosa e non è infatti pari a 23,6 punti (+0,7% rispetto all’anno precedente).
Figura 8. Classifica del Welfare Italia Index 2024 (valore indice su una scala da 0=min a 100=max).
Fonte: elaborazione TEHA Group, 2024.
La filiera welfare italiana
È costituita dagli organismi significativi nell’erogazione di servizi e prestazioni legate alla sanità, alle politiche sociali, alla previdenza e all’istruzione. Ampliando la prospettiva in ottica di “filiera allargata”, questi enti si inseriscono all’interno di un sistema sostenuto da una pluralità di attori:
Nella Figura 9 sono rappresentati i numeri chiave dell’“ecosistema-welfare” dell’Italia derivanti dal modello sviluppato dal Think Tank “Welfare, Italia”.
Nella parte superiore si collocano gli enti che gestiscono ed erogano risorse, rappresentati da 759 investitori istituzioni con 966 miliardi di Euro di patrimonio gestito e 46 miliardi di Euro di investimenti in economia reale.
Al livello sottostante agiscono quegli enti coinvolti direttamente (primo livello) o indirettamente (secondo livello) nell’erogazione di servizi; si tratta, nel complesso, di 425mila enti pubblici e privati (profit e no profit).
L’erogazione di queste prestazioni è assicurata da 4,3 milioni di lavoratori, a cui si sommano gli oltre 4,6 milioni di volontari che operano nel Terzo Settore. L’impatto generato da enti e professionisti è quantificabile in 206 miliardi di Euro in termini di valore della produzione.
Valorizzare le competenze per rendere l’«ecosistema-welfare» un fattore di crescita socio-economica del Paese
Un ruolo chiave all’interno della filiera è svolto dalle professioni di welfare che, tuttavia, già oggi registrano importanti deficit nella forza lavoro presente rispetto a quella necessaria.
Per quanto riguarda la disponibilità di competenze avanzate, necessarie per assicurare innovazione e competitività, nel 2023 solo il 19,2% della popolazione italiana nella fascia 15-64 anni deteneva un titolo di studio terziario, il 2° valore assoluto più basso nella UE e inferiore del 11,7% rispetto alla media.
Occorre tener presente l’impatto dello skills mismatch (disallineamento tra le competenze offerte dai lavoratori e quelle richieste dalle imprese): il 45% degli ingressi di lavoratori richiesti dalle imprese sono di difficile reperimento (2,5 milioni di persone) e il costo dello skill mismatch per il Paese ammonta a 43,9 miliardi di Euro. Il Paese subisce un danno economico per i giovani formati in Italia che decidono di emigrare all'estero che è pari a 4,2 miliardi di Euro.
Nel 2022 sono stati oltre 30mila i laureati italiani emigrati all'estero (tra il 2013 e il 2022 il valore totale è di quasi 260 mila, superiore alla popolazione del Comune di Verona), che considerando un costo medio per la formazione che può attestarsi intorno a 139 mila Euro, portano a una perdita complessiva per il sistema Paese pari a circa un quinto della manovra finanziaria del 2023.
Figura 9. Destra: Costo per la formazione di uno studente per tipo di formazione (migliaia di Euro), 2022.
Sinistra: Laureati italiani emigrati all’estero (numero), 2013-2022
Fonte: elaborazioni. TEHA Group su dati Istat, 2024
Policy attive su long-term care, competenze e digitalizzazione
Alla luce dello scenario di riferimento delineato, il Think Tank “Welfare Italia” ha inteso porre l’attenzione su quali siano le opportunità del sistema di welfare per diventare effettivamente universale senza aumentarne i costi. Il Think Tank propone tre specifici ambiti d’azione su cui si dovrebbe agire:
Figura 10. Gli ambiti d’azione del Think Tank “Welfare, Italia” per l’edizione 2024.
Fonte: elaborazione TEHA Group, 2024
Conclusioni
In Italia era da tempo che cittadini e forze politiche sembravano distratte da ciò che stava accadendo al nostro servizio sanitario quando, finalmente, l’interesse pubblico è tornato, così come la percezione che un SSN che funziona come deve è un bene di straordinario valore.
Dal Governo alle forze d’opposizione, dai tecnici agli scienziati, tutti affermano di salvare il SSN e alcuni anche di sapere come fare. È apprezzabile ma ancora non basta a rassicurarci. Le criticità accumulate e la rapidità del cambiamento generale sono difficoltà oggettive che dovrebbero intimorire anche i più audaci.
Nell’arco di tempo che una volta definiva il passaggio di tre generazioni abbiamo assistito alla successione di tre epoche caratterizzate da profonde innovazioni e cambiamenti culturali e sociali. In campo sanitario oggi dobbiamo confrontarci con tre elementi tra loro connessi: variazione demografica, quadro epidemiologico conseguente e innovazione tecnologica, in particolare quella digitale con la rivoluzione dell’IA.
Modalità e luoghi di cura sono destinati a mutare con rapidità perché demografia, epidemiologia, crisi ambientale e rivoluzione digitale stanno ridefinendo finalità ed impegni dei SSN e anche la rilevanza dei luoghi di cura. Il “point of care” cruciale non è più né l’ospedale né un altro luogo definito ma si sposta insieme all’individuo protagonista della cura fino ad occupare in futuro anche spazi virtuali, ma non per questo meno reali ed efficaci.
La lettura del rapporto “Welfare Italia” è un buon stimolo ad avere quella visione sistemica di cui chi opera nel mondo sanitario ha bisogno per acquisire la giusta consapevolezza che non tutto si determina al suo interno.
Per vincere la sfida che l’aumento delle cronicità, da un lato, e delle diseguaglianze, dall’altro, ci pone dobbiamo diventare padroni delle idee e delle tecnologie nuove per saperle implementare e così migliorare le cure, affrontare le situazioni di fragilità e marginalità e mitigare le differenze sociali e di salute tra i cittadini. In questo nuovo contesto culturale non può mancare l’uso di nuove metriche che vanno oltre i tradizionali indicatori clinici (come mortalità e morbilità e simili) così come di quelli del sistema di Garanzia dei LEA, per includere misure di qualità della vita, soddisfazione dei cittadini e degli operatori, impatto sociale e sostenibilità delle cure. Queste metriche potranno fornire una visione più completa della qualità dell’assistenza sanitaria e creare conoscenze condivise e quindi spazi consistenti di cooperazione all’interno dei diversi interventi di welfare possibili, rafforzandone il ruolo.
Giorgio Banchieri,
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma, Docente LUISS Business School Roma.
Andrea Vannucci,
Membro CTS ASIQUAS, Professore a contratto DISM Università di Siena, socio Accademia Nazionale di Medicina, Genova.