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Dal Rapporto Oasi 2024 quattro prospettive “impopolari” per il cambiamento del Ssn

di A cura di Lucia Conti

Diventa sempre più difficile, anche per gli esperti del Cergas della Sda Bocconi School of Management, offrire un quadro rassicurante per il futuro del Ssn. Basti considerare che per portare la sanità pubblica italiana ai livelli dei grandi Paesi europei servirebbero almeno 40 miliardi. Cosa fare? Quattro le vie indicate nel Rapporto OASI 2024: governare le aspettative dei cittadini, dichiarando senza mezzi termini cosa il servizio pubblico è in grado di garantire e cosa no; proseguire la strada dell’efficientamento, con interventi percepiti però sempre più pesanti dai cittadini; aumentare le risorse per il Ssn attraverso compartecipazioni più ridotte ma più capillari di oggi; rivoluzionare i servizi.

03 DIC -

La diagnosi è spietata: un servizio sanitario universalistico che riceve il 6,3% del PIL e che serve il secondo Paese più anziano al mondo non può riuscire a soddisfare i bisogni, tra attese e risorse in campo. Nel frattempo, in molti ambiti di servizio l’erogazione dei servizi appare non seguire alcun criterio di priorità e, soprattutto in ambito ambulatoriale, i consumi per abitante risultano disomogenei e randomici in relazione al reale bisogno epidemiologico. Intanto, la crescente distanza tra prescrizioni e capacità erogativa reale comunica un senso di disorientamento e mancata programmazione e organizzazione ai cittadini e pazienti, ma anche ai professionisti.

È partendo da questo quadro che il Rapporto OASI 2024 del CERGAS Centro di Ricerche sulla gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale SDA Bocconi School of Management provano ad avanzare quattro proposte di policy e management. Opzioni che i coordinatori del Rapporto, Francesco Longo e Alberto Ricci, che, definiscono “tecnicamente realistiche, attuabili dal punto di vista manageriale” ma largamente “impopolari rispetto alle narrative collettive contemporanee. La loro attuazione richiede pertanto un parallelo lavoro per cambiare il public discourse, ovvero le mappe cognitive diffuse”, spiegano Longo e Ricci.


Ma procediamo con ordine: le criticità.

La prima riguarda la situazione demografica. L’Italia è il secondo paese più anziano al mondo dopo il Giappone, con un’incidenza degli over 65 sul totale della popolazione al 24%, in rapida ascesa al 30%. Questo scenario demografico si traduce in un trasferimento netto dalla fiscalità generale dello Stato all’INPS di 165 miliardi all’anno perché i contributi dei (pochi) lavoratori non sono sufficienti a coprire pensioni e spese assistenziali. La situazione è evidentemente non sostenibile a meno di ridurre drasticamente la destinazione di risorse agli altri ambiti di intervento pubblico. Vuol dire che è “difficile, se non impossibile, aumentare significativamente la spesa sanitaria pubblica”, spiega il Rapporto OASI.
Pertanto, c’è solo una domanda da porsi: “Come erogare buoni servizi sanitari nel secondo paese più vecchio al mondo, pur destinando alla sanità pubblica il 6,3% del PIL” in un Ssn, ricordiamolo, fondato sull’universalismo, con le aspettative conseguenti”?

Seconda criticità. Inevitabilmente, in un SSN al 6,3% del PIL nel secondo Paese più anziano al mondo, “occorre definire e selezionare le priorità” di intervento. Si può decidere che riguardino aree di patologia, setting assistenziali, cluster di popolazione per reddito o livello di istruzione, portafogli di tecnologie da includere nel contenuto dei servizi garantiti dal Ssn, spiegano i coordinatori del Rapporto OASI. La verità è però che oggi, “non essendoci all’opera alcun processo consapevole di selezione delle priorità, queste ultime emergono casualmente, di norma con una relativa inconsapevolezza, senza nessun processo esplicito di valutazione capace di massimizzare il beneficio sociale ottenibile con le risorse date”. Non che sia semplice, lo sanno bene Longo e Ricci. Tuttavia oggi “rischia di prevalere la logica della risposta a chi per primo accede al sistema, senza valutare se ciò corrisponde a una priorità o meno. L’intera filiera istituzionale, in altri termini, opera delle prioritizzazioni implicite e casuali, che difficilmente massimizzano il beneficio sociale”.

Terza criticità. Il Rapporto OASI osserva, ancora, come “considerando esclusivamente il regime SSN, sia comparando diverse tipologie di prestazioni in regime SSN, sia confrontando diverse regioni o distinti territori di una stessa regione, registriamo sempre differenze ampie nei volumi procapite, anche del 100%, senza alcuna correlazione significativa con il quadro della domanda potenziale e dei bisogni” e mettendo da parte il fatto “il governo della domanda risulterebbe decisamente più rilevante del governo della produzione. Quest’ultimo invece domina l’agenda di policy, e di conseguenza, l’agenda manageriale.”

Quarta criticità. Da rilevare, infine, che anche la produzione del Ssn è scesa se paragoniamo il 2023 con il 2019, “soprattutto in ambito ambulatoriale (-8%), pur essendoci più medici in servizio nel Ssn rispetto al periodo pre-Covid”. Eppure, le ricette tendono ad aumentare, ad esempio le prime visite prescritte da specialisti ospedalieri e MMG sono aumentate del 31% a fronte di un calo nelle prestazioni del 10%. Questo significa che un alto numero di ricette non trovano una risposta nel Ssn. Del resto, il 48% delle visite specialistiche è ottenuta in regime privato, ricorda il Rapporto. Non solo: “I dati delle regioni che hanno analizzato questo fenomeno fanno intravedere che, nei territori dove sono maggiori le prescrizioni, sono spesso elevati anche i consumi pubblici per abitante, ovvero vi è una maggiore produzione in regime SSN, ma cresce anche la distanza tra prescritto ed erogato, e dunque si riscontrano le liste di attesa sostanziali maggiori”, spiega il Rapporto OASI. Cosa significa? Significa che “senza aver riorganizzato le prescrizioni”, la pressione sulle liste di attesa rischia di essere “non solo vana in termini di risultati, ma addirittura controproducente rispetto agli obiettivi di appropriatezza, equità ed costo-efficacia clinica”.

Una analisi severa, dunque. Che non risparmia i cittadini laddove Longo e Ricci scrivono che “gli Italiani hanno scelto collettivamente, da molto tempo, di avere un Ssn che riceve un finanziamento modesto per operare nel secondo paese più anziano al mondo”. L’Italia ha, “da lungo tempo, preferito un sistema pensionistico generoso, bonus edilizi e una crescente enfasi sulla riduzione del cuneo fiscale all’incremento del fondo sanitario”. Dunque, quali sono le prospettive che restano per frenare la deriva attuale?

Governare le aspettative. Questo significa anzitutto, secondo gli esperti del Cergas della SDA Bocconi, “prendere consapevolmente atto di questa scelta collettiva” di finanziare in modo modesto il Ssn, dicendo però senza mezzi termini cosa il servizio pubblico sia in grado di coprire e cosa no, allineando così le aspettative dei cittadini a quella che è la realtà dei fatti.

Una volta definiti i diritti esigibili e le aree di intervento, il Ssn dovrebbe esplicitare quali siano i target prioritari. Ed esplicitare quali sono i criteri di accesso, “che dovrebbero essere diversi dalla disponibilità a pagare cifre davvero consistenti” come adesso capita in alcuni segmenti come le residenze socio-sanitarie. In questo modo, progressivamente, dovremmo determinare una convergenza tra il prescritto e l’erogabile dal Ssn, ricreando chiarezze e certezze nei cittadini e pazienti.

Efficienza impopolare. Il Ssn è su un sentiero di efficientamento da ormai 30 anni e per dirla come Longo e Ricci, “i ‘frutti bassi’ sono stati in gran parte colti”. Se si vuole proseguire sull’efficienza, allora, non resta che prendere la scala verso i rami alti dell’albero, dove le scelte sono politicamente costose perché impopolari.

Un esempio? “Nella rete di offerta ospedaliera del SSN si contano ancora oltre 100 ospedali a gestione diretta con meno di 50 posti letto. Altrettanti sono tra i 50 e i 100 posti. Si tratta del 40% degli stabilimenti di ASL e ASST: è irrealistico pensare che tutti siano in condizioni di isolamento e che almeno una parte di essi non possa riorientare i propri servizi e il proprio personale sul versante territoriale”, spiegano gli esperti della Bocconi. Anche sul territorio è necessario riflettere, dove gli ambulatori e i laboratori SSN sono aumentati di 287 unità tra 2019 e 2022. Il rapporto è ormai inferiore a 1 ogni 7.000 abitanti.

Aumentare le risorse per il Ssn. Certo, si può sempre fare. Tuttavia, appare “poco plausibile economicamente e politicamente introdurre ulteriori prelievi dalle aree geografiche e dalle fasce sociali che già molto sostengono il Welfare”. In che modo, dunque, è possibile “articolare un sistema di ridotte, ma più capillari compartecipazioni, che riequilibri i contributi forniti e i benefici ottenuti tra cittadini-pazienti e Ssn?”, si domandano gli esperti della Bocconi. Per portare la sanità pubblica italiana ai livelli dei grandi Paesi europei, secondo il Rapporto, servirebbero almeno 40 miliardi.

Possiamo però ipotizzare una innovazione e trasformazione radicale della geografia dei servizi del Ssn, con un sistema ospedaliero “più asciugato e accentrato”, equipe mediche “itineranti tra stabilimenti ospedalieri”, una ampia diffusione di “servizi specialistici da remoto per pazienti che rimangono a casa o vanno in casa della comunità se non hanno una buona connessione”. Tenendo però presente, spiegano gli esperti della Bocconi, che la modifica radicale della geografia e del format dei servizi comporta anche “una trasformazione delle competenze professionali necessarie”. Appare necessario anche “più spazio ad esperti di service design, di ecosistemi digitali, ma soprattutto una incidenza maggiore del lavoro ‘laico’, ovvero fuori dai tradizionali ruoli ordinistici, come può essere un case manager amministrativo del 116117 o di un service center per la presa in carico della cronicità”. Indispensabile, per Longo e Ricci, anche “l’abbattimento di moltissimi dei silos professionali oggi presenti”.

Fatto questo, “progressivamente, è fondamentale introdurre a tutti i livelli indicatori che misurino l’appropriatezza dei livelli prescrittivi, l’equità nell’allocazione delle risorse e nei consumi di prestazioni per abitante, i livelli di reclutamento della popolazione cronica, l’aderenza alle terapie, la qualità anche percepita della presa in carico e l’eccellenza degli esiti clinici di salute”. Senza dimenticare che in questo processo “il ruolo della componente professionale, il collegamento con le evidenze scientifiche e l’utilizzo di evidenze generate risultano quanto mai importanti per avviare cambiamenti che siano realmente condivisi, diffusi e duraturi”.

A cura di Lucia Conti



03 dicembre 2024
© Riproduzione riservata


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