Da un paio di settimane, su questo giornale, sta prendendo forma un dibattito o quanto meno un confronto di grande interesse sul quale vorrei richiamare la vostra attenzione.
Tutto ha inizio dalla confutazione, da parte mia, di alcune tesi a mio giudizio controverse sostenute dalla Bindi e dalla Dirindin (QS 23 gennaio 2023).
Sono quindi seguiti articoli diversi (Maffei, Geddes, Pizza, Polillo, Palumbo) a dimostrazione che abbiamo a che fare certamente con una “questione calda”, il rapporto pubblico privato, che però anche per ragioni storiche ideologiche divide i commentatori, in particolare quelli di sinistra.
La tesi della “grande marchetta”
Negli anni ‘90, con la scusa della sostenibilità, la sinistra di governo ha fatto una “grande marchetta” al neoliberismo sanitario, una marchetta che nonostante sia costata allo Stato moltissimo non ha però migliorato la qualità dell’assistenza e della cura anzi l’ha paradossalmente peggiorata danneggiando oltretutto i diritti fondamentali della nostra popolazione.
La domanda è: con un SSN, allo stremo delle forze, anziché continuare a massacrarlo non è meglio riformare la spesa storica rivedendo il rapporto pubblico/privato?
Quindi anziché fare i tagli lineare e i blocchi alle assunzioni, non è meglio ridiscutere la “grande marchetta” e ri-pubblicizzare il servizio pubblico per farlo costare meno e accrescerne le qualità?
A questa domanda ne subentrano altre, perché:
- la sinistra, oggi all’opposizione, contro i tagli lineari e il blocco delle assunzioni, non è lei a chiedere, come vorrebbe il buon senso, di riformare la spesa storica?
- il sindacato non parla e non si fa avanti?
A partire da quello che si legge su questo giornale, non solo, non c’è unità di vedute tra i commentatori ma c’è persino chi, considerando la questione evidentemente tabù, non riesce a nascondere la sua insofferenza nei confronti di coloro che al contrario pensano che essa non sia per niente tabù.
Apologeti e critici
La sinistra oggi all’opposizione considera la questione della “grande marchetta” una questione tabù. La ragione invero è molto semplice: essa non vuole ridurre i costi della “grande marchetta” ma in realtà vuole che il governo la rifinanzi pur sapendo che, un tale rifinanziamento, sarebbe pagato, in tutti i modi, sia dal pubblico che dal cittadino e ovviamente a caro prezzo.
Per ridurre la “grande marchetta” la sinistra oggi all’opposizione, dovrebbe:
- rimangiarsi la svolta neo-liberista degli anni ‘90 quindi tornare ad essere “sinistra”
- dichiararsi disponibile a ridurre significativamente il ruolo del privato che indisturbato continua a crescere
- rimangiarsi ben due conto-riforme quelle che per inciso hanno fatto nascere la famosa “seconda gamba”.
La sinistra oggi all’opposizione, al governo Meloni contesta l’insufficienza dei finanziamenti e propone di fissare una percentuale di spesa in rapporto al pil pari al 7% cioè propone un ossimoro paradossale cioè una “sostenibilità senza sostenibilità”. (QS 20 giugno 2022)
La vera ragione strategica di questa assurdità è che in realtà la sinistra oggi all’opposizione vuole, costi quel che costi, i soldi che servirebbero non per aiutare la sanità pubblica ma per rifinanziare il suo innegabile neoliberismo e quindi rifinanziare la “grande marchetta” che da esso è nata.
Il PD, da quello che mi risulta, sulla sanità, non ha alcuna intenzione di cambiare strada e fino ad ora, non ho visto neanche una mezza autocritica sulle scelte neoliberiste fatte in passato. Vedremo a congresso cosa dirà sulla sanità.
Bindi
La prima persona che oggi si oppone alla riduzione della “grande marchetta” è una delle sue principali autrici cioè la Bindi.
Ricordiamo ancora una volta le sue tesi politiche:
- la sanità se solo pubblica non è “autosufficiente”
- la sanità va quindi integrata con il privato
- il privato serve a garantire la sostenibilità del sistema
Abbiamo già spiegato (QS 23 gennaio 2023) che questo ragionamento è del tutto fallace in questo articolo aggiungiamo solo che alla fallacia esso aggiunge il problema dell’impraticabilità:
- oggi riconfermare la “grande marchetta” è oggettivamente incompatibile con la necessità di eliminare i tagli lineari e i tetti alla spesa
- oggi l’unico modo ragionevole per eliminare i tagli e i blocchi non è riconfermare la “grande marchetta” ma è al contrario riformarla e usare la spesa storica come se fosse un tesoretto
La Bindi, di contro a questa semplice necessità pragmatica, siccome la “grande marchetta” è anche opera sua, anche lei come il PD chiede alla Meloni l’impossibile, cioè più soldi per rifinanziarla costi quel che costi. Cioè di cavare sangue dalle rape.
E’ immorale chiedere qualcosa che farà del male
Rifinanziare la “grande marchetta” politicamente, per la Bindi in particolare, vale come rifinanziare la sua contro-riforma riforma del ‘99.
Ma è proprio questa pretesa politica che fa sorgere seri dubbi, anche morali, sul realismo della proposta della Bindi. Ammettendo di rifinanziare la riforma ter il sistema sanitario continuerebbe ad essere privatizzato, quindi, sarebbe comunque, destinato nel tempo ad andare in default e a fare la fine del sistema mutualistico.
I tagli lineari della Meloni sono odiosi e inaccettabili ma, in questa situazione di crisi, essi sono paradossalmente l’unica misura concreta per impedire che la sanità venga dichiarata finanziariamente insostenibile.
Se oggi, nella crisi data, davvero volessimo essere sostenibili, l’unica strada sicura è fare il contrario di ciò che ha fatto la Bindi cioè:
- rilanciare il servizio pubblico
- ridurre in modo significativo il ruolo del privato.
Si tratta in pratica di emancipare la sanità pubblica dalla bufala dell’insufficienza su cui si basa il ragionamento della Bindi, bufala alla quale la sanità, per ragioni speculative, negli anni 90 è stata strumentalmente e ingiustamente condannata.
Ciò che non possiamo augurarci
Sulla sanità leggo tanti appelli alla responsabilità ma personalmente ritengo che sia da incoscienti chiedere soldi quando i soldi oggettivamente non ci sono ma soprattutto chiedere soldi quando i soldi non ci sono e chiederli comunque per finanziare la “grande marchetta” quindi alla fine per rifinanziare i propri errori politici.
Ribadire gli errori storici fatti in sanità e, la “grande marchetta”, indubbiamente è stato un errore storico, oggi particolarmente oggi significa non fare ne il bene della sanità ne quello dei cittadini quindi sacrificare l’interesse generale del paese.
Per me, soprattutto per chi si considera di sinistra, questo è immorale.
Per me l’interesse generale del paese viene prima dell’interesse personale della Bindi anche se la Bindi, per quelli di sinistra, è la Bindi.
Salve lucrum: la minaccia esistenziale dell’avidità
La difesa da parte della Bindi della “grande marchetta” a parte la comprensibile apologia (ogni scarrafone è bello a mamma sua) ha qualcosa di terribilmente provinciale ma anche di terribilmente democristiano.
Nel mentre la Bindi in piena crisi economica con un governo di destra difende le sue vecchie scelte neoliberiste, nell’occidente capitalistico, ad essere oggetto di critiche e di ripensamenti da parte di studiosi importanti, è proprio il neoliberismo in sanità e il ruolo del mercato e i suoi difficili rapporti con i diritti delle persone.
La principale accusa che viene da questi studiosi dei problemi dei sistemi sanitari è, che, la logica neoliberista nel campo sanitario e non solo, ci porta al vero nemico dei diritti e che spiega la “grande marchetta” che è l’avidità.
Autori importanti, grandi studiosi, ne cito uno per tutti, Berwick (Institute for Healthcare Improvement, Boston, Massachusetts) parlano ormai nel campo sanitario di avidità del neolberismo come di una minaccia per il sistema sociale.
Significativo è il suo articolo pubblicato di recente su Jama (30 gennaio 2023) che non a caso ha il seguente titolo: “Salve Lucrum: The Existential Threat of Greed”. (La minaccia esistenziale dell’avidità). Avidità e profitto sono equivalenti.
Difendere la “grande marchetta” per chi, come la Bindi, parla ad ogni piè sospinto di diritti di fatto vale come fare l’apologia dell’avidità. I diritti con l’avidità del neoliberismo quindi con il profitto non vanno d’accordo.
Il giudizio sulla riforma ter
La Bindi come dimostrano gli articoli che ho citato all’inizio, soprattutto a sinistra, ha parecchi apologeti convinti che la controriforma ter sia stata una grande riforma. Definisco controriforma qualcosa che ha modificato radicalmente la riforma del 78.
Il mio giudizio politico sulle controriforme degli anni 90 è evidentemente diverso da quello di costoro. Ma ci sta. Nulla di male. Ognuno ha le proprie convinzioni.
Non credo però come ha ben sottolineato Pizza (QS 3 febbraio 2023) riferendosi in particolare a Geddes (QS 31 gennaio 2023) che un giudizio diverso meriti di essere oggetto di discredito e sospenda il diritto al rispetto del proprio interlocutore e al confronto onesto.
Ai miei studenti insegno a discutere sempre in “subjecta materia” mai “contra homine” perché, spiego loro, chi tenta di eliminare il proprio avversario anziché confutarne le tesi è un vigliacco un sicario e un fascista.
Chiarito ciò, è spero sinceramente una volta per tutte, anche io come Polillo (QS 7 febbraio 2023) ritengo che sia non solo sbagliato ma anche poco corretto prendersela solo con la Bindi.
A differenza di Polillo ritengo però che la Bindi non sia la vera “autrice” delle controriforme fatte negli anni ‘90 ma solo un “interprete” zelante del pensiero neoliberista che in quegli anni impazzava a sinistra.
L’interpretazione della Bindi del neoliberismo, secondo me, è del tutto contigua alla sua storia democristiana quindi interclassista attenta a far coesistere i diritti con gli interessi privati, soprattutto attenta alle istanze della propria cultura di riferimento che resta quella cattolica della sussidiarietà. Anzi il ricorso esteso al privato da parte della Bindi nella 229 per me è proprio un esempio di uso del privato per scopi di sussidiarietà applicata al servizio pubblico.
Tra economicismo e scientismo
Concordo ancora con Polillo quando ci racconta come è nata la 229 e quindi il ruolo fondamentale del sindacato.
Nel mio libro “la sinistra e la sanità (…)” (Castelvecchi 2021) ho scritto testualmente che:
- “La legge 229 è certamente da accreditare formalmente alla Bindi anche se in realtà essa dovrebbe essere accreditata ad una intera area di sinistra fatta dal sindacato, dalle regioni rosse, da quel corpo di dirigenti della sanità di nomina Pd, e quindi soprattutto dal Pd, parlamentari compresi”.
- “In quella legge tutti hanno messo becco ma in particolare se si confronta il suo testo iniziale con quello finale, si comprende come quella legge sia in realtà fortemente emiliana”
- “la 229 può essere considerata lo specchio di tutte le aporie tipiche della sinistra di governo”.
Questo spiega anche perché, soprattutto a sinistra sono in tanti a difendere quella legge nonostante in quella legge ci siano tutti ma proprio tutti i limiti culturali della sinistra e dei suoi esperti di punta soprattutto quelli emiliani. E’ proprio da questi limiti che sono derivati problemi devastanti come la “medicina amministrata” e la “questione medica”. (QS 4 maggio 2015)
Ma come si fa (giusto per fare un esempio) a far scrivere alla Bindi l’Art. 15-decies “l’obbligo di appropriatezza” senza rendersi conto che con le aziende obbligare i medici e tutti gli operatori alla appropriatezza era come obbligare la clinica a sottostare all’economicismo e quindi a preferire alla scienza l’ideologia?
La sinistra che ha aiutato la Bindi a scrivere la 229 è una sinistra “sanitarista” che ha sempre ignorato i grandi problemi della medicina scientifica e che si è sempre illusa di poter riformare la sanità a medicina invariante e ha sempre alimentato l’assurda dicotomia sanità/medicina. E’ proprio questa sinistra che:
- nella 229 scambia lo scientismo con la scienza e l’economicismo con l’economia
- buca del tutto l’appuntamento con la vera sfida del nostro tempo che è quella della complessità. (La scienza impareggiabile Castelvecchi 2022)
Gli scheletri nell’armadio
Secondo me come ha scritto Pizza con grande buon senso per discutere veramente della “grande marchetta” ci vuole una buona dose di onestà intellettuale e di tirare fuori tutti gli scheletri dall’armadio.
Invoco quindi la legge sulla trasparenza in sanità altrimenti nota come sunshine act (legge n. 62 31 maggio 2022,). Senza trasparenza certe cose non si possono discutere e meno che mai la “grande marchetta”.
Geddes è uno dei fondatori della associazione Salute diritto fondamentale di cui la Bindi è presidente per cui per lui come si capisce leggendo il suo articolo è impossibile essere in disaccordo con la Bindi. Bene. Niente di male. Basta dirlo ex ante e tutto diventa più chiaro a tutti. Importanti economisti che si occupano di sanità e dirigono centri di ricerca e ci fanno interessanti report sollecitando il governo comunque di rifinanziare la grande marchetta ebbene costoro dovrebbero dirci se hanno rapporti di lavoro con le assicurazioni e con i fondi, o sono nei board delle mutue come esperti.
Ma anche i sindacati hanno i loro bravi scheletri nell’armadio. Per l’Anaao che comunque si lamenta della privatizzazione della sanità è difficile schierarsi contro la grande marchetta perché l’intramoenia a sua volta è una marchetta fatta proprio dalla Bindi ai medici ospedalieri. La stessa cosa per il mio amato sindacato confederale. Per chi ha voluto addirittura nei contratti il welfare aziendale è difficile scendere in piazza contro la grande marchetta
Perfino il terzo settore, quindi il mondo della sussidiarietà, caro alla Bindi, ha i suoi scheletri nell’armadio, se pensiamo che, ormai non si capisce più, dove passa il confine tra profit e non profit.
Conclusione
I cittadini a causa della “grande marchetta” stanno perdendo la sanità pubblica.
E’ la “grande marchetta” ad essere oggi insostenibile, non la sanità pubblica.
Con la sanità pubblica in ginocchio credo che i tanti “marchettari” oggi dovrebbero semplicemente vergognarsi. Avete fatto davvero un bel capolavoro.
Ivan Cavicchi