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Distruggere le pietre angolari per abbattere il Ssn: i medici a gettone

di Roberto Polillo, Mara Tognetti

Il fenomeno sempre più rilevante è sempre più preoccupante dei medici a gettone che vengono inseriti nei diversi reparti per tamponare la carenza di personale o più semplicemente per coprire i buchi negli organici, in particolare nelle Terapie intensive, in medicina di Emergenza e Urgenza, ma anche in Pronto Soccorso, in Ginecologia, Pediatria è una realtà sempre più diffusa, anche in quelle Regioni che nonostante tutto continuiamo a considerare più virtuose

13 FEB -

La continuità assistenziale è un cardine essenziale del Servizio Sanitario Nazionale, almeno nei suoi principi in quanto consente sia una presa in carico ed una dimissione che connette territorio e ospedale e che accompagna il cittadino malato dentro e fuori dalle strutture. Modalità di lavoro e principio che abbiamo visto essere vincente proprio in questi anni, per gli scettici si rimanda ai dati sul COVID 19 e a come le Regioni hanno prodotto diseguaglianze di salute e di mortalità proprio in relazione alla continuità assistenziale.

Il fenomeno sempre più rilevante è sempre più preoccupante dei medici a gettone che vengono inseriti nei diversi reparti per tamponare la carenza di personale o più semplicemente per coprire i buchi negli organici, in particolare nelle Terapie intensive, in medicina di Emergenza e Urgenza, ma anche in Pronto Soccorso, in Ginecologia, Pediatria è una realtà sempre più diffusa, anche in quelle Regioni che nonostante tutto continuiamo a considerare più virtuose: Emilia Romagna, Lombardia, ma anche Veneto ( si veda il Corriere della Sera del 16/1/23).

Sempre più’ frequentemente vengono appaltati i turni nei vari reparti, nelle diverse Divisioni come Pediatria, Anestesia attraverso le cooperative che forniscono personale, ma fenomeno in crescita, avvalendosi di personale in pensione, neolaureati non ancora specializzati, medici che si sono licenziati dal Servizio pubblico a causa delle indegne condizioni di lavoro e tornano a prestare la loro opera come libero professionisti, medici stranieri non in possesso di cittadinanza, ecc.

Non infrequentemente troviamo dei medici che ricoprono posizioni per le quali non hanno la specializzazione per la quale lavorano (medici generici impiegati come ginecologi, medici non specializzati in medicina d’ urgenza, ecc.).

I rischi

Nonostante la normativa preveda per i reparti che non hanno gli standard qualitativi strutturali o che non hanno un’attività minima debbano essere chiusi (Decreto Ministeriale 70 del 2015) tale provvedimento, come spesso succede, è rimasto lettera morta in non poche realtà con tutti i rischi di sicurezza, senza considerare le condizioni e la qualità del lavoro dei professionisti, e la qualità delle prestazioni.

Poiché non esiste alcun regolamento circa i medici a gettone appare chiaro che anche la qualità della cura sia messa fortemente in discussione non solo per la qualità del medico turnista, la sua formazione e la sua esperienza, ma anche per il carico di lavoro a cui sono sottoposti, doppi turni, turni dopo una giornata di lavoro altrove, non rispetto dei riposi.

Ancora una volta la qualità e la sicurezza della prestazione e’ questione che sempre più sembra non interessare i responsabili della salute.

Perché del fenomeno
Sappiamo quanto in questi anni gli organici si siano assottigliati sia per ridurre i costi ma anche per insipienza.

Il blocco del turnover del personale sanitario è una questione vergognosa che qualsiasi ministro della salute degno di questo nome dovrebbe far saltare indipendentemente dalle lobbies categoriali. Così come la non adeguata programmazione degli accessi alle specialità ancora una volta nelle mani di gruppi di potere che si dimenticano dei cittadini e della loro salute.

Cosa però ancora più grave e vergognosa per un paese che si considera “moderno” il livello retributivo dei medici e’ ben lontano dal riconoscere il lungo percorso formativo, le competenze acquisite, il ruolo di forte responsabilità di questa professione, la sua centralità nel Servizio Sanitario Nazionale.

Il non riconoscimento e quindi le remunerazioni inadeguate di questi professionisti, così come le denuncia dei pazienti per prestazioni ritenute non idonee sono alla base dello svuotamento di molti settori del Servizio Sanitario Nazionale.

Abbiamo dimenticato la retorica degli anni della pandemia sui nostri eroi e cosa ancora più grave stiamo uccidendo una risorsa vitale per il SSN.

Il SSN come sappiamo lo si può far morire lentamente senza riforme decisive, basta togliergli la linfa vitale.

Che fare
L’ultimo rapporto dell’Istituto di ricerca CREA ha calcolato che per colmare le attuali lacune del personale medico e compensare i vuoti che ogni anno si creano per i pensionamenti nei prossimi 10 anni dovrebbero essere assunti 15.000 medici all’anno.

Una cifra estremamente consistente che può essere recuperata a lungo periodo e solo con una nuova programmazione degli accessi alla facoltà di medicina e alle scuole di specializzazione. Non ripetendo ovviamente gli errori del passato e facendo in modo che il numero annuale di borse di specializzazione (tra universitarie e per la medicina generale) messe a concorso sia adeguato alle reali necessità assistenziali ed esattamente corrispondente al numero di laureati in medicina, onde evitare il drammatico fenomeno dell’imbuto formativo.

Devono inoltre essere fortemente incentivati quei percorsi afferenti all’area critica (Medicina d’urgenza e anestesia e rianimazione) nei confronti dei quali si è verificata una progressiva disassuefazione per motivi fin troppo noti: carichi di lavoro eccessivi, rischio professionale, contenzioso legale, burnout e appiattimento salariale).

Altrettanto importante è assumere decisioni nell’immediato. Soluzioni che non possono essere quelle di trattenere in servizio il personale oltre il settantesimo anno di età. Una misura molto fortemente voluta dagli universitari e da tutti coloro che svolgono funzioni apicali e che non accettano l’idea del collocamento in riposo.

La soluzione è invece applicare su tutto il territorio nazionale quanto disposto dalla legge 145/2018 e successive modificazioni forzando le Università a sottoscrivere gli accordi regionali sul modello di quanto fatto dalla regione Veneto per consentire agli specializzandi al terzo anno di partecipare ai concorsi nella disciplina propria o in una equipollente.

Una strada che sembrerebbe aperta per i medici di base, grazie a un emendamento approvato nel Milleproroghe e che taglia fuori invece gli altri specializzandi di cui si ha una necessità non meno impellente.

Ridefinire competenze, prerogative e aspettative professionali
Rimane infine la necessità di un nuovo rapporto tra componente professionale e management burocratico-amministrativo che restituisca alla prima un ruolo nei processi decisionali e di implementazione della qualità.

Ridefinire competenze, prerogative e aspettative professionali deve essere un obbiettivo da percorrere con altrettanta convinzione per ricreare un clima di fattiva collaborazione tra componente professionale e componente gestionale, oggi totalmente assente nelle strutture sanitarie.

I nostri eroi potranno continuare ad essere tali se sostenuti e riconosciuti come professionisti della salute a partire da retribuzioni adeguate ma anche spazi decisionali specifici per garantire quella continuità assistenziale essenziale per un buon Servizio Sanitario Nazionale.

Roberto Polillo
Mara Tognetti



13 febbraio 2023
© Riproduzione riservata


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