Scopo primario di questo nuovo forum ospitato da Quotidiano Sanità è di quello di aprire, o se preferite “riaprire”, la discussione sulla salute mentale, a partire dal mio ultimo libro “Oltre la 180” appena uscito nelle librerie italiane.
Le cose, in questo settore importante della sanità pubblica, vanno male, perché:
Questo libro, a fronte di una prospettiva negativa, propone di definire una “contro prospettiva positiva”, con lo scopo pratico di liberare, la barca, dalle secche in cui è arenata da anni.
Per il disincaglio le operazioni che servono sono sintetizzate nei punti che seguiranno.
Fare solo apologia non è più ragionevole
La prima operazione la definirei “anti apologetica”.
Se oggi le cose vanno male l’apologia intesa come difesa acritica dei valori pur restando un argomento importante, non basta più. Oggi serve pragmaticamente un nuovo pensiero ma solo perché i valori che difendiamo hanno a che fare con un grado enorme di complessità e quindi, essi, anche per essere solo confermati, andrebbero continuamenti ricontestualizzati e reinventati.
Una contro-prospettiva non si costruisce sull’apologia ma sulla critica e sul progetto.
Semplificare è troppo semplice
Piuttosto che fare riferimento alla ben nota contraddizione tra “salute mentale risorse e organizzazione”, che sia chiaro è innegabile, e che però ci obbliga a pensare i problemi della salute mentale solo come relativi a certi ostacoli e non altri, si tratta di allargare l’approccio.
Dietro la “crisi della salute mentale” vi è, oggettivamente, una moltitudine di influenze, di contraddizioni, di ritardi, di complicazioni, di inadempienze. Per usare una vecchia espressione, essa nasce da almeno “cento albumi” cioè ha tanti padri. Ma se è così allora è sbagliato analizzarla ,come si è fatto sino ad ora, prevalentemente pensando che il suo artefice sia uno ed unico. Il che spariglia i soliti ragionamenti lineari.
Chiamando in ballo Althusser, principio di “sur determinazione”, oggi si dovrebbe dire che nella salute mentale i problemi strutturali (economici) hanno la stessa importanza e lo stesso peso di quelli “sovrastrutturali” (culturali). La sovrastruttura culturale , nella salute mentale ha un gran peso e una grande autonomia. Ma fino ad ora, nella discussione pubblica, essa è stata prevalentemente ignorata. Cioè fino ad ora la cd “sovrastruttura” è stata considerata a priori invariante. Ininfluente. Cioè non è stata considerata un problema. Oggi sappiamo benissimo che la crisi non solo è figlia di 100 albumi ma è chiaramente sur-determinata. Se è così perché negarlo?
I concetti e le spiegazioni
La terza operazione è una proposta di ri-concettualizzazione.
Cioè una riforma delle spiegazioni. Spiegare è rappresentare una realtà con dei concetti. I concetti hanno lo scopo di circoscrivere la realtà da conoscere. Tutta la crisi della salute mentale in questi anni è stata spiegata con certi concetti e non con altri. Anzi gli altri concetti sono stati rifiutati. Spesso sdegnosamente. Perché?
Ma oggi , la spiegazione, deve essere libera di spiegare la realtà con i concetti più adeguati perché oggi abbiamo bisogno di capire i fenomeni che ci riguardano in tutta la loro estensione e in tutta la loro complessità e multiformità.
In sostanza ai concetti vanno tolti i “paraocchi” perché, è fuori di dubbio, che fino ad ora, per ragioni per lo più ideologiche, i paraocchi sono stati come se fossero obbligatori proprio come il casco per andare in moto.
Le contraddizioni sono innegabili è inutile negarlo
La quarta operazione è certamente “anti negazionista”.
Si tratta di smetterla di nascondere le nostre contraddizioni e apparire per quello che non si è.
Ricordo che, per Marx ma anche per Gramsci, la contraddizione è ciò che si oppone alla realizzazione delle idee. Parte del libro è dedicato allo studio delle principali contraddizioni della salute mentale perché non si può pensare di risolvere la sua crisi a contraddizioni invarianti. Il PNRR ha fatto esattamente il contrario.
Le contraddizioni sono tante : quelle tra ideologia e scienza, tra psichiatria e medicina, tra cura e pratica ,tra diverse concezioni di cura, quelle che contrappongono il biologico al sociale, quelle che riducono la cura a politica, quindi la medicina a “badantato” , quelle che rifiutano le evidenze scientifiche , quelle che contrappongono ancora oggi l’università al territorio, quelle che incuranti del rischio di arbitrio consentono agli operatori di agire non secondo il bisogno del malato ma secondo le loro preferenze ideologiche e epistemiche , quelle che fraintendono il concetto di territorio , quelle ancora che considerano il DSM un “insieme” di strutture ambulatoriali e non un “sistema” di relazioni tra prassi tra loro interconnesse. Quelle pesanti tra assistenza pubblica e assistenza privata, tra anti-manicomialità e neo-manicomialità.
Dai servizi…. agli operatori… alle prassi… alle modalità
La quinta operazione è quella “anti-burocratica” cioè si tratta di andare oltre il solito discorso sui servizi per occuparci di prassi di professioni di soggetti.
Fino ad ora la discussione pubblica si è occupata molto dei problemi dei servizi, molto poco dei problemi delle prassi e degli operatori, per niente della grande questione delle modalità operative cioè del problema epistemico dei modi di conoscere.
Oggi anziché puntare sui servizi come “cose” e riempire i documenti nazionali con i problemi delle “cose” sapendo che le “cose” sono per altro definite in modo burocratico, si tratta di puntare sugli operatori come soggetti di cambiamento e nei documenti pubblici dare spazio ai problemi dei soggetti che lavorano, al fine di creare a favore dei malati le condizioni più favorevoli perché essi garantiscano le migliori prassi.
Ribaltiamo il ragionamento: si parta dalle prassi per definire il servizio perché il servizio se è definito a prassi assenti, cioè se le prassi non sono desunte dalle complessità del malato (contesto incluso), ma “sussunte” solo da regole formali, diventa nulla di più di un simulacro burocratico.
Provocazioni …ma mica tanto
Alcune tesi di questo libro, da “qualcuno” potrebbero essere interpretate per delle provocazioni. Ma proporre di riflettere senza ipocrisie su come disincagliare la barca non può essere considerato una provocazione.
Mi riferisco ad esempio al capitolo:
La sinfonia incompiuta
Il ragionamento strategico di fondo del mio libro è già nel titolo: “oltre la 180”.
La legge 180, neanche a dirlo resta una conquista fondamentale che non si può che difendere e ribadire, ringraziando il cielo e la storia di averci regalato un riformatore del calibro di Basaglia, e migliaia di “riformatori” sul campo autentici sperimentatori che con i loro sforzi hanno fatto vivere in questi anni come hanno potuto la sua riforma ( un vero esempio di crowdsourcing).
Ma la 180 oggi si presenta innegabilmente come una “sinfonia incompiuta” che oltretutto, a causa degli enormi cambiamenti che sono intervenuti in questi anni , per essere finita merita, a valori fondamentali invariati, di essere quasi reinventata nelle complessità enormi del nostro tempo.
Basaglia ha fatto al meglio la sua parte però ora, se vogliamo continuare sulla sua strada e andare avanti, tocca a noi fare la nostra.
Equilibri, sostenibilità, salute
La metafora “dell’equilibrista” che propongo nel libro è quella di un nuovo operatore della salute mentale al quale questa società affida , nei limiti del possibile e del ragionevole, l’incarico tutt’altro che burocratico di prendersi cura degli “equilibri” delle persone.
Quindi il compito di produrre sostenibilità. Così oggi si chiama la cura degli equilibri. Gli “equilibristi” della salute mentale non sono funamboli ma sono ”esperti di equilibri ” cioè “produttori di sostenibilità” individuale e sociale. Sono coloro che aiutano le persone in difficoltà a camminare sulla corda delle loro ondeggianti esistenze. Oggi quindi sarebbe meglio anziché parlare di “salute mentale” (per fortuna non parliamo più di “igiene mentale”) parlare di equilibri e di sostenibilità quale salute. Senza equilibri non ci può essere salute mentale. Per questo gli equilibristi, in questa società, sono destinati a diventare sempre più importanti.
Il rischio di dimenticare Basaglia
Se diventeremo dei bravi “equilibristi” in futuro non ci sarà alcun bisogno di riaprire i manicomi e Basaglia avrà vinto definitivamente la sua battaglia. Ma se non lo diventeremo , perché resteremo intrappolati nelle gabbie delle apologie, dei riduzionismi ,nei vecchi concetti ,nelle nostre contraddizioni e nelle nostre burocrazie, Basaglia sarà dimenticato.
Sta già avvenendo e proprio nei servizi.
Oggi dimenticare Basaglia sarebbe sul serio un bel problema .Ma lo sarebbe anche restare fermi al suo pensiero. “Oltre la 180” vuol dire proprio questo.
Ivan Cavicchi