L’Educazione Continua per medici e professionisti sanitari è ancora oggi un mondo variegato ed eterogeneo in tutta Europa: obbligo di legge in Austria, Francia, Italia e Regno Unito. Solo in Francia e in Italia, però, sono previste sanzioni in caso d’inadempienza, ancorché a tutt’oggi mai applicate. Negli altri Paesi l’ECM è considerata alla stregua di impegno etico.
In Belgio e Norvegia infine vige la prassi di attribuire incentivi finanziari per specifiche categorie di medici, anziché quella di comminare sanzioni.
In generale, comunque, l’orientamento prevalente è quello di considerare l’ECM come dovere deontologico intrinseco per una conduzione ottimale della propria professione, anche se non esiste omogeneità di comportamento in Europa per quanto attiene le modalità di erogazione e di raggiungimento dei crediti.
L’ECM in Italia, una questione irrisolta.
In Italia, l’ECM, al netto dei continui scarichi di responsabilità che ne hanno accompagnato la vita (basti pensare che nel tempo la gestione dei crediti e il controllo degli stessi sono stati affidati a tre enti diversi), oggi è di pertinenza dell’AGENAS per quel che concerne la gestione e degli Ordini dei medici, nel frattempo diventati providers, per quanto riguarda il controllo e l’eventuale sanzione. Per dirla con una battuta seriosa, la Fnomceo e gli ordini provinciali rischiano di apparire sempre meno istituzione e sempre più censori dei medici, un vero e proprio tribunale para subordinato dello Stato. Insomma, gli ordini per i professionisti, come i medici per la popolazione, diventano capri espiatori di una legislazione fallace e incompleta che affida loro il “controllo” dei ‘dissidenti’, dalle vaccinazioni, al possesso della pec, alla formazione, ad obblighi di ogni genere, impegnando molto del loro tempo nel perseguire gli “evasori”. Al contempo, i medici, sempre più incastrati tra obblighi burocratici e legislativi, rischiano di essere percepiti come portatori di comportamenti “socialmente pericolosi”, nella solita e frequente logica del divide et impera.
La pandemia ha solo acceso i riflettori sull’urgenza di una riflessione sul sistema di formazione e aggiornamento dei professionisti sanitari tramite ECM, a distanza di molti anni dalla sua istituzione, urgenza che diventa oggi emergenza.
Anche e soprattutto per evitare che la logica dell’assolvimento del fabbisogno triennale dei crediti formativi possa ridursi all’obbligo normativo, oggi sempre più vissuto come obbligo formale piuttosto che come metodo per un miglioramento reale della propria professione. E occorre riconoscere che è anche per la dubbia metodologia di una raccolta punti fine a sé stessa, che genera un “creditificio”, figlio di un corredo nozionistico e padre di un processo di commercializzazione del sapere. E se la sanzione nasce come rafforzativo dell’obbligo morale e deontologico, fungendo da deterrente, il sistema ha bisogno di prevedere anche la possibilità di una premialità, e non solo il mero obbligo formale del raggiungimento di crediti nel numero previsto.
Il 31 dicembre 2022 scadono gli obblighi formativi triennali per medici e professionisti sanitari. Ci sono state diverse proroghe per lasciare il tempo di recuperare, e azioni di riduzione crediti da parte della Fnomceo, considerando, naturalmente e giustamente, il periodo pandemico. Tali interventi non sono bastati a molti colleghi che si ritrovano oggi, dopo due anni e mezzo di pandemia, non ancora finita, a dovere adempiere all’obbligo entro il mese di dicembre.
Hanno, è vero, la possibilità di partecipare ai corsi organizzati gratuitamente dagli Ordini provinciali, ai corsi Fad messi a disposizione dalla Fnomceo e da altre Fondazioni, ma resta la spada di Damocle di dover trovare il tempo necessario per conseguire l’intero monte di crediti formativi previsto.
Il tempo, variabile che ancora stenta a essere considerata nel suo pieno valore, ma che dovrebbe essere considerata maggiormente, perché non conta solo fornire lo strumento ma anche mettere a disposizione il tempo di usarlo.
In questi anni, l’aumento dei carichi di lavoro conseguente alle note carenze di personale, comporta, non di rado, 70 ore di lavoro settimanali, in media, equivalenti a 10 ore al giorno, trasformando il tempo in moneta più rara dello stesso denaro. A meno di ulteriormente sacrificare le relazioni umane, o quel che ne resta, a meno di sacrificare la vita personale e affettiva, o quel che ne resta, diventa allora difficile, in queste condizioni, trovare tempo, concentrazione e forze anche per la formazione continua.
Nasce così un problema di principio. Durante l’ondata pandemica medici e i dirigenti sanitari sono stati costantemente impegnati in mansioni e discipline diverse da quelle di origine, vivendo due anni di formazione medica e disinformazione mediatica continua, acquisendo conoscenze di infettivologia, pneumologia, tecniche rianimative, e tanto altro. Hanno dovuto anche acquisire la freddezza necessaria per gestire il paziente non solo dal lato medico, ma anche da quello umano e sociale. Perchè sono stati, durante la fase acuta pandemica, anche front office della disperazione di una popolazione in preda a una infodemia socio professionale senza precedenti.
Rispetto a tale scenario, in assenza di riconoscimenti tangibili, a parte strette di mano, abbracci virtuali e foto ricordo, era lecito aspettarsi almeno una comunicazione del seguente tenore: “Caro dottore, caro professionista sanitario, con quanto hai fatto in questi due anni hai conseguito sul campo un aggiornamento professionale che è andato ben oltre le richieste formali”.
Tale comunicazione avrebbe avuto il significato non di un mero condono, impossibile stante il vincolo di legge e non in discussione, ma semplicemente di un riconoscimento professionale per il lavoro svolto sul campo per due anni e mezzo. E che continuiamo a svolgere … non so ancora per quanto tempo.
Sembra logico ma evidentemente non lo è. Se, però, vogliamo che i medici e i dirigenti sanitari si riconoscano nella loro identità professionale e riscoprano la voglia di curare, iniziamo dal premiare il loro lavoro e riconoscere la loro formazione sul campo. Perchè non si vede come si possa chiedere ai medici e dirigenti sanitari un ulteriore obbligo in un momento in cui, ancora pressati da turni massacranti, carenze di organico, caos organizzativo e gestionale, stanno combattendo la seconda guerra, quella post-covid, ovvero stanno ancora raccogliendo le macerie del crollo del sistema sanitario che il COVID ha accelerato. Minacciando, perdipiù, la mancata copertura assicurativa nel caso si fosse coinvolti in un procedimento legale per chi non avesse completato almeno il 70% del debito formativo, stabilendo in tal modo una improbabile e fantasiosa relazione tra assicurazione e obbligo formativo.
Senza nulla togliere al valore centrale della formazione nella carriera di qualsiasi professionista sanitario. Specie di fronte alle nuove sfide della sanità.
Gli Ordini professionali, per parte loro, sono convinto che si faranno promotori, al fianco delle Organizzazioni sindacali, dando un segnale forte e immediato, di una campagna di valorizzazione del ruolo che medici e professionisti sanitari hanno avuto durante la fase acuta pandemica. Perché ritengo eticamente giustificata, in assenza di un intervento legislativo, una contestualizzazione dell’eventuale mancato adempimento a un obbligo normativo, viste quantità e qualità delle difficoltà intervenute, o perlomeno un indirizzo omogeneo che tenga conto della straordinarietà del periodo vissuto dal nostro sistema sanitario e dai suoi professionisti. Insomma, chi negherà che la formazione rapida in pandemia, ad esempio sulle vaccinazioni, e non solo, è stata fondamentale per affrontare l’emergenza?
Se così non fosse, non gridiamo allo scandalo se poi il sistema sanitario si svuota e le istituzioni smarriscono il loro ruolo nei confronti delle professioni.
(Noi la voce, le mani, le gambe non le fermiamo, anche perché ricordiamo sempre che le idee, e con loro le conquiste viaggiano sulle gambe degli esseri umani …e noi le gambe le abbiamo forti e allenate).
Pierino Di Silverio