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Il diritto alla salute è in grave pericolo. Una vera riforma della sanità non può più aspettare

di Francesco Cognetti

Alla vigilia della scadenza elettorale abbiamo inteso aprire una discussione, anche qui su Quotidiano Sanità, alimentata dagli interventi dei Presidenti delle Società Scientifiche presenti nel Forum al fine di responsabilizzare tutte le Forze Politiche rispetto alla rilevanza di questi temi, perché la Sanità è un bene prezioso per tutti i cittadini e il diritto alla Salute è attualmente in grave pericolo nel nostro Paese

12 SET -

L’ospedale è diventato una vera e propria emergenza nell’emergenza. Il progressivo depotenziamento dell’assistenza del nostro Paese è nei numeri. I medici specialisti ospedalieri sono circa 130mila, 60mila in meno della Germania e 43mila in meno della Francia. L’emorragia dei camici bianchi riguarda anche i medici di medicina generale: sono pochi, circa 40.700, ma ogni anno 3.000 vanno in pensione ed è previsto che, a breve, l’esodo sarà ancora maggiore. E il definanziamento della sanità, in dieci anni, ha raggiunto i 37 miliardi di euro.

La spesa per la Sanità è cresciuta del 3% quest’anno rispetto al 2021. Ma queste risorse sono tutte state impiegate per fronteggiare la pandemia. Il DEF per il triennio 2023-2025 programmato ad aprile prevede di nuovo una decrescita dello 0,6% annuo, a fronte di un atteso consistente aumento del PIL nominale. La pandemia ha mostrato la debolezza del sistema sanitario e l’attuale crisi dei Pronto Soccorso non è altro che il risultato di anni di tagli e la punta dell’iceberg di un sistema ospedaliero in affanno.

Ciononostante, la sanità resta ai margini dei programmi elettorali delle principali coalizioni, in cui la parola “ospedale” è quasi del tutto assente, tranne che nel programma di alcuni singoli Partiti Politici. Tutti gli schieramenti invece riferiscono sulla riorganizzazione della Sanità territoriale, il potenziamento dell’organico degli operatori sanitari e il superamento delle liste di attesa. Mancano, poi, proposte concrete e, soprattutto, progetti strutturati di riforma che rispondano ad una logica di “sistema”. Inoltre, aspetto ancora più grave, non vi è alcun cenno alla necessità di aumentare i posti letto e al potenziamento dei Pronto Soccorso. I programmi elettorali in tema di sanità non possono soddisfare né le società scientifiche né i pazienti. Queste stesse critiche sono state avanzate anche da tutti i sindacati medici. 


La pandemia ha slatentizzato problemi rimasti irrisolti per troppo tempo. E i tagli irrazionali e irresponsabili hanno contribuito a creare la “tempesta perfetta”. La rifondazione auspicabile, anzi necessaria del servizio sanitario, non può essere realizzata solo con il PNRR, che destina ingenti risorse, senza però predisporre una vera e propria strategia di lungo periodo che coinvolga il sistema nella sua globalità. 
Di fronte a questa situazione, la risposta delle Istituzioni è stata quindi del tutto insufficiente, con una vaga e confusa riforma della Medicina del territorio (Decreto Ministeriale 77), inadeguata a risolvere i problemi dell’ospedale e, tra l’altro, di difficilissima attuazione, come recentemente sancito anche dall’Upb (Ufficio Parlamentare di Bilancio).

Dove sono, infatti, i 20.000 infermieri necessari per il suo funzionamento? Oltretutto, secondo la stima della FNOPI, ne mancherebbero complessivamente 70.000. Forse si pensa di prenderli dagli ospedali? Infatti per un infermiere sarà preferibile lavorare vicino a casa, in una struttura territoriale, piuttosto che fare turni massacranti in ospedale. Ciò causerà un’ulteriore perdita di infermieri negli ospedali, con la loro inevitabile chiusura. Infatti già in alcune Regioni gli ospedali vengono chiusi per aprire Case e/o Ospedali di Comunità.

Va sottolineato, inoltre, che l’impostazione complessiva delle Case e degli Ospedali di Comunità, con bacini di utenza rispettivamente di 50 e 100.000 abitanti, disattende clamorosamente la definizione di medicina di prossimità e vuole rispondere ad una domanda di salute che sarà inevitabilmente sempre più personalizzata ed improntata all’innovazione tecnologica, alla conoscenza della genetica e dei big data con approcci vetusti di decenni, che sono l’esatto contrario della medicina moderna. E questa riforma è stata attuata senza ascoltare i sindacati del settore e le Società Scientifiche.

Le soluzioni da prospettare non devono avvenire isolatamente, ma in una logica di sistema. Va superata la storica dualità fra ospedale e territorio, a favore di un unico sistema di servizi interconnesso, continuo e complementare in cui prevalga l’idea di ospedale esteso al territorio e adeguato alle necessità della popolazione, avendo ben presente la sua complessità scientifica, clinica e organizzativa.

Il sistema complessivo dovrà configurare una sorta di logica dipartimentale con l’idea del vero e proprio ospedale (generale o specialistico classicamente inteso), che si estende funzionalmente anche alle realtà sanitarie territoriali. Ciò che è territoriale deve essere considerato pre e post-ospedaliero, in una visione integrata delle due realtà. Con l’esclusione di una minima parte di casi, la sede della valutazione dei pazienti acuti resta l’ospedale, in particolare il Pronto Soccorso.

Vi è infatti il rischio che alcuni pazienti classificabili per gravità come codice rosso vadano in queste strutture territoriali e vengano disconosciuti ovvero perdano tempo prezioso nella speranza di ottenere prestazioni salvavita, che solo i nosocomi possono garantire. Non sono i codici verdi a determinare il collasso dei Pronto Soccorso. Il problema è costituito dai pazienti gravi che devono essere ricoverati e che in assenza dei posti letto disponibili stazionano nei Pronto Soccorso. 

Il “Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri e Universitari Italiani” (FoSSC), in questi mesi, ha avanzato proposte concrete. Abbiamo avuto numerose interlocuzioni con il Ministro della Salute, i vertici del Dicastero e i responsabili della sanità dei diversi partiti politici. Ma le nostre richieste, finora, non hanno avuto seguito. 

Abbiamo chiesto la completa revisione dei parametri organizzativi degli ospedali sanciti con il Decreto Ministeriale 70 (DM 70 del 2 aprile 2015). Il numero di posti letto di degenza ordinaria deve crescere ben oltre i 350 per 100.000 abitanti odierni (22° posizione del nostro Paese in Europa) fino a raggiungere almeno la media europea di 500. Anche il numero di posti letto di terapia intensiva deve superare i 14 posti letto, peraltro rimasti sulla carta e mai raggiunti, per raggiungere almeno i 25 per 100.000 abitanti. 

Servono risorse anche per aumentare il numero di laureati in medicina e di specialisti, soprattutto nelle aree più carenti e quindi occorre abolire il numero chiuso a favore di un numero programmato sulla base della necessità ed in questi anni la programmazione è clamorosamente mancata. A questo scopo sarà naturalmente necessario un investimento finanziario sulle Facoltà di Medicina. 

Bisogna assumere un numero consistente di medici ed infermieri, necessari non per questa sorta di “Cattedrali del territorio” quali rischiano di rimanere le Case e gli Ospedali di Comunità ma per potenziare gli ospedali completamente asfittici. Inoltre, va frenato l’esodo di neolaureati, che per specializzarsi vanno all’estero, e il prepensionamento di molti medici, cui vanno garantiti stipendi migliori per evitare, per esempio, la fuga dai Pronto Soccorso. E’ addirittura in corso il reclutamento nei Pronto Soccorso di neolaureati senza esperienza e senza formazione specifica attratti da compensi ben più elevati addirittura rispetto a quelli percepiti da medici con anni e anni di esperienza. 

Infine, è necessaria da parte mia una approfondita riflessione sui problemi relativi all’oncologia, che rappresenta la mia diretta sfera di interesse clinico e scientifico. Qui i problemi sono molti: sospensione e cancellazione degli esami di screening che avevano portato nel corso degli anni ad un consistente abbattimento della mortalità per cancro. Si attendono dati più recenti dell’Osservatorio Nazionale Screening, ma i dati preliminari non sono confortanti in merito al recupero dei livelli pre-pandemia. Il mancato potenziamento delle strutture ospedaliere ha reso cronici i ritardi delle chirurgie oncologiche con la conseguenza che sono ipotizzabili sui risultati a lungo termine.

Il Piano Oncologico, recentemente prodotto dal Ministero della Salute, appare assolutamente insoddisfacente per la mancata indicazione di risorse specifiche mirate ad affrontare gli obiettivi strategici, pertanto inattuabili. Rispetto al Programma Europeo (Europe Beating Cancer Plan), il Piano Oncologico mostra un’assoluta assenza di pianificazione e programmazione nonché di rilevazione del fabbisogno e delle risorse da investire oltre alla mancanza completa della individuazione della tempistica, degli indicatori di monitoraggio e di governance. Si tratta di un ottimo sforzo concettuale e culturale privo di qualsiasi risvolto pratico.

Le Reti Oncologiche come modello dell’assistenza e della ricerca nel settore dei tumori rimangono inattuate nella maggior parte delle Regioni Italiane. Permangono, anzi aumentano, i tempi di introduzione al rimborso da parte della nostra agenzia regolatoria (AIFA) di importanti farmaci innovativi introdotti negli altri Paesi Europei con largo anticipo e permane insoluta la questione della rimborsabilità dei test genomici per la scelta dei trattamenti adiuvanti nelle donne con cancro della mammella operato, test che sono in grado di evitare in una buona parte di queste donne la chemioterapia come trattamento di scelta dopo l’intervento chirurgico.

Questi test introdotti di recente da un decreto ministeriale non sono ancora disponibili in tutte le Regioni Italiane ed, in ogni caso, non essendo previsti dai LEA, il loro utilizzo, in assenza di ulteriori provvedimenti, sarà limitato alla somma (20 milioni di euro) relativa al fondo stanziato nel Dicembre 2021 per la finanziaria 2022.

Permangono inoltre le difficoltà legate alla difficile partecipazione dei nostri Centri Clinici alle sperimentazioni sui nuovi farmaci ed i nuovi approcci terapeutici, regolati dalla Piattaforma Europea della Ricerca Clinica di cui al Regolamento 536 del 2014 ancora non completamente attuato nel nostro Paese, nell’imminenza del termine entro il quale tale attuazione sarà obbligatoria. Tale questione riguarda naturalmente tutti gli ambiti della ricerca clinica, anche se il settore dell’oncologia e quello dell’oncoematologia si sono sempre dimostrati quelli maggiormente attivi per numero di sperimentazioni cliniche.

Il blocco tuttora esistente dovuto prevalentemente al mancato adeguamento normativo del nostro Paese alla citata Legge Europea impedirà a molti ricercatori ed a molti pazienti di poter accedere alle nuove molecole rispetto agli altri Paesi Europei con il risultato della perdita di notevoli chance terapeutiche per gli ammalati, della mancata crescita professionale e scientifica del personale sanitario coinvolto nonché effetti negativi di natura economica dovuti ai mancati investimenti economici complessivi da parte delle aziende farmaceutiche internazionali ed anche sull’occupazione, per il mancato impiego di profili professionali di elevata specializzazione. 

Alla vigilia della scadenza elettorale abbiamo inteso aprire una discussione, anche qui su Quotidiano Sanità, alimentata dagli interventi dei Presidenti delle Società Scientifiche presenti nel Forum al fine di responsabilizzare tutte le Forze Politiche rispetto alla rilevanza di questi temi, perché la Sanità è un bene prezioso per tutti i cittadini e il diritto alla Salute è attualmente in grave pericolo nel nostro Paese. 

Francesco Cognetti
Coordinatore “Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri e Universitari Italiani” (FoSSC)



12 settembre 2022
© Riproduzione riservata


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