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Medici poco ascoltati dalla politica. Anche questa volta

di Antonio Panti

I programmi elettorali mostrano una sconfortante mancanza di interlocuzione politica, come se la sanità fosse un argomento troppo impegnativo per decisioni di largo respiro. Si tace sul vero problema: come mantenere un sistema universale a risorse decrescenti e costi incrementali? Non si sfugge alla sensazione che si considerino i medici quasi un intralcio e mal si sopportino le loro rivendicazioni e se ne sottovaluta lo sforzo per tenere in piedi un sistema sanitario che sembra dato per scontato dimenticandone i fini sociali

01 SET -

QS ha pubblicato i programmi elettorali dei partiti sulla sanità con molte differenze e molte convergenze: riforma della sanità territoriale, potenziamento dell’organico degli operatori sanitari e superamento delle liste di attesa il che fa sperare che, al di là di chi vinca, questi interventi trovino soluzioni idonee e stabili. Ci sono delle specificità e delle assonanze come quella tra Cinque Stelle e Azione- Italia Viva che richiedono la riforma del titolo V per ridare più potere allo Stato in materia sanitaria. A mio avviso la lettura di questa somma di buone volontà consente qualche osservazione.

Prima osservazione. Ciò che più colpisce è la diffusa, desolante carenza culturale: niente sui problemi etici e politici dell’immanente I.A., nessun accenno alla questione della cosiddetta Planet Health, manca ogni accenno alla sanità come parte della sicurezza globale secondo le indicazioni dell’OMS. Insomma ripariamo i danni, usiamo in qualche modo del PNRR, senza far cenno a dove e come reperire le risorse, insomma non affatichiamoci sul futuro che invece è già oggi.

Seconda osservazione. Il SSN è possibile solo con la fiscalità generale e la tassazione progressiva. Se questa viene meno e lo Stato riduce le entrate, in attesa che il risparmio fiscale di ciascun cittadino si traduca in incremento di ricchezza per tutti, i servizi pubblici entrano in crisi e non si potranno mantenere i livelli di prestazione, investire nell’innovazione e adeguare i compensi dei professionisti.

Allora qualcuno potrebbe pensare che il privato gestisca il servizio con minore spesa dando in appalto parti della sanità a investitori privati. E’ il sistema lombardo che si vorrebbe diffuso al resto d’Italia nel cui budget è di fatto ricompresa anche la remunerazione dell’investitore a scapito delle prestazioni e del personale, di solito ridotto di numero e malpagato.

Terza osservazione. Tutti i partiti, più o meno, dichiarano di voler colmare i vuoti del personale e aumentarne gli emolumenti. Giusto proponimento, ma non è questo il vero nodo della questione. Il vero problema è quello che potremmo definire dei “Forgotted Men”.

Questa è la parola d’ordine con cui Donald Trump vinse nel 2016 le elezioni americane: “Forgotted men”. Trump non si è rivolto ai poveri o ai diseredati ma alle persone che si sentono dimenticate, trascurate dalla politica, escluse da ogni forma di potere, quelle stesse che fino a qualche tempo prima rappresentavano ceti in ascesa sociale, certi che i propri figli avrebbero avuto un avvenire migliore del loro. Un disagio che si è diretto contro il potere che si era dimenticato di loro.

Ora tra i medici fluttua una sorta di analogo disagio. La medicina attraversa un periodo di straordinario sviluppo, tanto da essere seguita quasi con sforzo dagli stessi professionisti stretti tra due contrarie pressioni sociali, da un lato dal desiderio di eterna giovinezza e di guarigione da ogni morbo, dall’altro dalle preoccupazioni nel rapporto coi pazienti, dalla difficoltà di mantenere una relazione umana, altresì sempre più richiesta.

La vecchia figura del medico, più umanistica che tecnologica, stenta a ritrovarsi nella crisi del moderno professionalismo. La medicina nasce e si sviluppa come professione libera, caratterizzata da un forte impegno di servizio, da una deontologia stringente, dall’esercizio di una riconosciuta autonomia, da un’assoluta indipendenza di giudizio.

Nel ventunesimo secolo questi antichi valori hanno poco spazio. Da un lato trionfa il liberismo finanziario che sconfigge alcune antiche certezze sui limiti della concorrenza, sulle regole che servono a tutelare la salute dei cittadini. Dall’altro i costi enormi della sanità, pubblica o privata, costringono gli amministratori a porre regole ferree all’operato del medico e ne erodono progressivamente gli spazi di autonomia.

In questa difficile e complessa situazione i programmi elettorali mostrano una sconfortante mancanza di interlocuzione politica, come se la sanità fosse un argomento troppo impegnativo per decisioni di largo respiro. Si tace sul vero problema: come mantenere un sistema universale a risorse decrescenti e costi incrementali?

Non si sfugge alla sensazione che si considerino i medici quasi un intralcio e mal si sopportino le loro rivendicazioni e se ne sottovaluta lo sforzo per tenere in piedi un sistema sanitario che sembra dato per scontato dimenticandone i fini sociali.

I medici subiscono quella stessa carenza di ascolto che viene loro rimproverata dai pazienti. La mancanza di cultura e di rispetto per l’esperienza dei professionisti mina il rapporto tra medici e amministratori; un patrimonio di conoscenze, quello dei medici, che pesa sempre meno sulle decisioni politiche. I professionisti sanitari percepiscono la lontananza della politica e manifestano insofferenza per l’amministrazione. Il rischio è che le reazioni emotive prevalgano sull’esame razionale dei fatti. Un brutto rischio per una professione che si fonda sulla razionalità del sapere scientifico.

Conclusioni

- L’impegno dei professionisti della sanità ha sconfitto la pandemia. Da eroi a tornare a essere “Forgotted men” il passo è breve e, a quanto pare, i partiti lo hanno già fatto. Però votare è sempre e comunque un obbligo di cittadinanza e la scelta si può fare e basti ricordare quanto detto sulle problematiche fiscali; nella sanità le decisioni si prendono al Ministero dell’Economia e gli interessi in gioco vanno ben oltre la salute della gente.

- Ma la sanità la fanno i medici e gli altri professionisti. Che nessun partito abbia pensato a come coinvolgere i professionisti nella gestione del servizio è veramente desolante. Come gestire l’emergenza senza il convincimento di chi opera in sanità? E l’innovazione? Qualcuno almeno poteva proporre una soluzione alla tedesca con la partecipazione dei lavoratori all’amministrazione dell’impresa. Il minimo.

- Le organizzazioni professionali, gli Ordini in particolare, sembrano incapaci di reagire e di esprimere e sostenere con forza un documento unitario da offrire ai partiti come impegno elettorale sui mezzi e sugli strumenti per garantire la sopravvivenza e l’adeguamento alla modernità di un Servizio Sanitario universale, ugualitario, efficiente e moderno, di cui fa parte integrante la soluzione del problema della governance.

- Questa delusione, questo clima di scontento strisciante, incide sui servizi. Nessuno si preoccupa della serenità degli operatori? Il che provoca un ulteriore rischio, che chiunque vinca si delinei un sistema in cui si incontrano due nostalgie del passato, nella politica un solipsismo isolazionista, che è un non senso nella medicina tecnologica moderna, e nella professione un solipsismo recriminatorio per un ruolo non più recuperabile.

Questo è un appello a una tardiva resipiscenza politica? No, chi scrive è un inguaribile ottimista e pensa, zinovianamente, che si possa ancora peggiorare. Non resta che votare con in mente il grande principio della riduzione del danno.

Antonio Panti



01 settembre 2022
© Riproduzione riservata


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