Il decreto del Ministro della Salute 23 maggio 2022 n. 77, meglio noto con l’acronimo apparentemente contraddittorio di DM71, introduttivo del «Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale», traccia tra l’altro, alle pagine 14 e 15 dell’Allegato, la nuova scenografia della farmacia convenzionata. Quindi, di tutte.
Finalmente riconosce loro ciò che le stesse si sono guadagnate sul campo in quasi un secolo di storia. Con la presenza in tutti i comuni italiani, anche in quei tantissimi denominati minimi (33.79% del totale con meno di mille abitanti), poveri di cittadini e di economia spendibile.
Insomma, ovunque e per chiunque è stato da sempre il suo motto!
Una collocazione strutturale premiante per i cittadini e le periferie estreme
E’ arrivata così la sua definizione sistemico-relazionale, in un provvedimento che istituzionalizza strutture e iniziative implementative dell’assistenza distrettuale. Meglio, la sua costituzione in «presidio sanitario di prossimità».
Un gran lavoro è stato quello della Fofi di sollevare l’istanza in tal senso, che ha premiato la farmacia per quel faticoso impegno di attenta protagonista dell’assistenza diffusa, continua, sacrificata, impavida a tal punto da divenire a volte valorosa assicurato alla cittadinanza di riferimento in oltre due anni di pandemia.
Tante sono le cose fatte, durante l’avanzata e lo sterminio del Covid-19, senza arretrare di un passo. Ben oltre la distribuzione capillare di presidi difensivi (mascherine, in primis) e l’effettuazione dei tamponi. Molto spesso in solitudine e con prescrizione dei farmaci non propriamente in tempo reale, resa difficile da una assistenza a singhiozzo dei medici di famiglia.
Un concessionario che implementa il sistema di quanto gli occorre
In tale paragrafo 2., le farmacie convenzionate, proprio perché ubicate stabilmente e capillarmente sull’intero territorio, assumono il vero ruolo del concessionario di un pubblico servizio salutare. Saranno pertanto tenute a rappresentare l’istituzione pubblica nella somministrazione dei farmaci e affini nonché nello svolgimento di compiti assistenziali primari ben più allargati. Ciò nell’ottica di pervenire ad una assistenza dalle dimensioni qualitative più appropriate alla persona umana. Proprio per questo, più largamente diffusa, sempre sotto casa ad attenderla, come fosse cara amica del destinatario, in quanto tale agente nella consapevolezza totale del medesimo e del suo contesto familiare.
Da qui, la costituzione giuridica delle farmacie in presidi sanitari di prossimità e in elemento strutturale fondamentale e integrante del Servizio sanitario nazionale.
Al di là delle poche righe, da arricchire a cura delle Regioni
Un approfondimento in tal senso è dovuto, partendo dalla assegnazione dei compiti esplicitamente attribuiti alla farmacia dall’ordinamento tradizionale sino ad arrivare a quelli implicitamente incidenti sulla qualità dell’assistenza di prossimità riconducibili in capo alla medesima a seguito di una siffatta sua ridefinizione.
L’anzidetto allegato parte con la scansione dei tradizionali compiti svolti dalla farmacia da sempre (dispensazione del farmaco, collaborazione attiva alla farmacovigilanza, accesso privilegiato per i pazienti cronici, ecc.) sino ad arrivare alla coniugazione in capo ad essa di quanto dovrà fare nell’ottica della cosiddetta farmacia dei servizi, secondo le regole e le opportunità recate dal d.lgs. 3 ottobre 2009, n. 153. Un provvedimento, questo, per lo più divenuto lettera morta, sia da parte dei farmacisti, non affatto incentivati al riguardo, che dalle Regioni e dai sistemi sanitari regionali, rispettivamente, disimpegnate dal legiferare nel dettaglio e disattenti all’importante potenziale esprimibile dalla filiera delle farmacie.
Quindi, anziché rovesciare sul territorio una pioggia di nuove funzioni attribuite alle farmacie, si è preferito, nei trascorsi tredici anni, nella inconsapevolezza e nell’assoluta carenza di creatività esprimibile con leggi di dettaglio, non arrivare alla concreta assegnazione di un ruolo cosiddetto rafforzato delle stesse. A cominciare dal loro mancato coinvolgimento nelle vaccinazioni anti-Covid e antinfluenzali e nella somministrazione di test diagnostici a tutela della salute pubblica sino ad arrivare all’incuria di non avere esteso il loro ruolo nella telemedicina, quantomeno di supporto diagnostico a distanza.
Il tutto ha rappresentato un grave limite istituzionale, attesa la profonda incoerenza con la programmazione del PNRR, Missione 6, della nuova assistenza di prossimità, impegnata nella innovazione e nella digitalizzazione dell’assistenza sanitaria, che ben avrebbe visto un diretto coinvolgimento in tal senso delle farmacie.
Una novellata concezione sulla quale lavorare
Dunque, una disattenzione cui rimediare. Una occasione da non perdere quella del “legislatore” di avere promosso la farmacia al rango ben oltre il suo ruolo solito e diversamente impegnata nell’assistenza territoriale, tanto da arricchirne segnatamente l’esercizio solito. Una neo-prerogativa che consentirebbe la messa in campo, da una parte, della ragnatela che il suo insieme strutturale assicura ovunque e comunque e, dall’altra, della sua propensione ad essere da sempre diretta ed esercitata da professionisti che, per loro naturale attitudine, sono vocati all’assistenza domiciliare, intendendo anche per tale quella assicurata sotto casa così come si fa con il caffè al bar.
Un pezzo di sanità reale e integrata «a gratis»
A ben vedere, la farmacia, per i suoi esclusivi connotati esistenziali e organizzativi, è strettamente funzionale all’assistenza domiciliare in senso lato. Lo è per definizione.
In proposito, riprendendo Renzo Piano secondo il quale, in una recente sua intervista rilasciata dalla Grecia, “dobbiamo essere in grado di ricostruire un nuovo umanesimo e gli ospedali sono gli avamposti di questa rivoluzione”, diventa facile sostenere che gli avamposti del territorio sono le farmacie rafforzate, con la loro presenza ovunque, in assenza di altro ovvero ad integrazione di ciò che c’è.
Nonostante ciò e malgrado la sua assoluta capillarità sul territorio tutto, è stata mantenuta ai margini della ricostruzione della assistenza distrettuale. Una rivisitazione necessaria, quella appena tracciata, organica a rendere il distretto sociosanitario uno strumento di erogazione delle prestazioni essenziali attive, assicurate da postazioni fisse diffuse, piuttosto che lasciarlo ad esercitare il ruolo di testimone del peggiore decentramento burocratico.
Tutto questo è avvenuto perché, da sempre, nel programmare le riforme, si è fatto ricorso alla “fotografia” della realtà geo-demografica e urbanistica impressa nella memoria del redattore delle medesime. Un naturale vizio culturale che rende questi inconsapevolmente condizionato dalla immagine della propria realtà, di quella quotidianamente vissuta. Di quella realtà cittadina, spesso metropolitana, che lascia pochi spazi utili all’analisi dei fabbisogni reali espressi dalla periferia.
Fatta questa considerazione e con la necessità di dovere dare adeguate risposte a 5.535 comuni con popolazione (sulla carta) inferiore a 5.000 abitanti, sorge l’ineludibile impegno di rivedere la “scacchiera” delle strutture disponibili per determinare un efficace cambiamento dell’assistenza sul territorio.
Con questo, rimediare ai naturali handicap - constatabili specie nelle regioni a composizione geo-orografica difficile, per non dire impossibile considerate le penose condizioni viarie – generati sul terreno dalla intervenuta ripartizione delle strutture di prossimità (CdC, OdC e Cot) imposta dal criterio della pesatura delle popolazioni dell’area interessata. Un valore convenzionale non affatto bastevole al soddisfacimento dei più elementari bisogni di salute, in un Paese come il nostro ove la residenzialità montana e collinare è prevalente in termini di chilometri quadrati.
La farmacia e non solo
Qui entrerebbero in gioco diverse cose da fare: la rivalutazione della programmazione sanitaria, della disciplina dell’accreditamento, della concreta generazione dell’assistenza integrata, delle prestazioni da rendere alla collettività e quali, tra queste, da erogare gratuitamente solo in rapporto ad una certificata indigenza.
Ragioni di spazio non consentono alcun approfondimento al riguardo.
Concludendo, dalla applicazione della nuova lettera regolamentare del DM71 potrebbe concretizzarsi, comunque, l’idea di ritenere la farmacia, nella configurazione di un distretto a raggiera (hub), quale spoke del medesimo caratterizzato dalla sua onnipresenza a prescindere dalle scelte politiche e dalla filiera strutturale dettata dalle case di comunità. In quanto tale pronta ad assumere il ruolo di terminale operativo e di nodo di composizione essenziale della rete della novellata assistenza disegnata tenendo conto della fotografia delle realtà periferiche vissute da quei dei cittadini sino ad oggi lasciati ai margini dei servizi pubblici.
Ettore Jorio
Università della Calabria