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La medicina  attuale  sopravviverà (fino al 2030)? Riflessioni sulla “Scienza impareggiabile“

di Giovanni Brandi

Se a Claude Bernard dobbiamo l’invenzione  della medicina sperimentale quale modello meccanicistico, analitico , e quindi architrave della nostra attuale  medicina scientifica,  a  Cavicchi indubbiamente  dobbiamo la impalcatura teorica  della Medicina quale scienza impareggiabile. Nessuna istituzione umana ha uno status sociale più elevato della medicina. Chi altri potrebbe dare “ordini” anche i più potenti della terra?

19 MAG -

La medicina moderna fa cose meravigliose, ma nonostante  i risultati financo straordinari, avanza, almeno nei più avvertiti, una crescente consapevolezza che la medicina stia andando nella direzione sbagliata. Da ciò nascono i suoi giganteschi problemi che possono minarne l’esistenza stessa, almeno nella sua forma attuale

Questo è il panorama di cui tratta il libro di Ivan Cavicchi  “La scienza impareggiabile. Medicina medici malati” (ed Castelvecchi) che è riduttivo definire opera importante. E’ invece una svolta sulla “medicina sui medici e sui malati” del nostro tempo! Ho notato con piacere che questa fatica di Cavicchi sta suscitando analisi approfondite in questo giornale.

Sono così convinto dell’importanza di questa opera che chiameremo a Bologna i migliori intelletti non solo su piazza  per una vera e propria dissezione in pubblico (e proprio nello  stesso luogo in cui l’Alma  Mater cominciò anatomicamente a farlo 7 secoli fa) di tutti gli aspetti della crisi della medicina che il volume viviseziona metodicamente, e per cui prospetta un percorso di  potenziale risoluzione. Non c’è un solo capitolo del libro di Cavicchi che non sia innovativo sorprendente e affascinante, per cui invito tutti a leggerlo, o meglio a  prendersi il tempo necessario per studiarlo. Quello che da medico e da uomo di ricerca  peraltro mi ha colpito di più è il capitolo 12 la “terra della malattia”  unitamente a  quello successivo “medicina scienza della natura”. Cioè la parte dedicata all’ontologia della natura probabilmente la parte più filosofica del libro.

Se a Claude Bernard dobbiamo l’invenzione  della medicina sperimentale quale modello meccanicistico, analitico , e quindi architrave della nostra attuale  medicina scientifica,  a  Cavicchi indubbiamente  dobbiamo la impalcatura teorica  della Medicina quale scienza impareggiabile. Nessuna istituzione umana ha uno status sociale più elevato della medicina. Chi altri potrebbe dare “ordini” anche i più potenti della terra?

La differenza tra una scienza sperimentale e scienza impareggiabile sta molto semplicemente nel rispettivo grado di complessità: la prima è tutto sommato una conoscenza scientifica anche ardua nella pratica ma teoricamente semplice, in definitiva con un grado di complessità basso. La seconda al contrario è una conoscenza con apparente facilità di gestione, ma complessa quindi scientifica e meta-scientifica al contempo  e pertanto con un grado di complessità indefinitamente più alto. Una medicina del primo tipo che pensiamo di poter maneggiare con facilità è riducibile ad una  natura, a un corpo, ad una causa, ad una malattia, ad una cura e ad un certa tipologia di medico;  la seconda no; essa  include tutte queste cose  ma non è mai riducibile ad esse e il medico che servirebbe dovrebbe considerare se stesso più di quello che è considerato oggi. Impareggiabile per l’appunto, cioè non sostituibile.

Cavicchi fa proprio il mito dell’uomo fatto di terra od ancor meglio di argilla (di biblica memoria) e accetta l’idea materiale della malattia, incluso l’idea positivista di malattia come fatto naturale e direi ineluttabile.

Nello stesso tempo, l’illuminazione apportata da tante scoperte scientifiche più avanzate  consente a Cavicchi di superare l’impianto teoretico di C. Bernard: la materia di cui è fatto l’uomo e quindi la malattia è in ragione di tante cose la prima vera complessità  con la quale la medicina si deve confrontare.  Peraltro già il marchigiano Murri, clinico medico a Bologna, grande studioso della complessità dell’uomo  partendo dalla osservazione clinica ed applicando il metodo ipotetico deduttivo (quello di cui disponeva all’epoca curando le persone) ha costruito pilastri epistemologici  addirittura precorrendo Popper. Ciò gli ha permesso di smentire C. Bernard sulla genesi del diabete (che quest’ultimo attribuiva al fegato grasso scambiando causa con una delle conseguenze). (A Murri : Lezioni di Clinica Medica; lezione 55).

Se una teoria non si adatta al paziente dobbiamo gettare la teoria o il paziente? Se per i guidati dal buon senso non vi sarebbe dubbio nella scelta, è sconsolante vedere che oggi (un secolo dopo Murri) se un paziente, nella sua singolare complessità, non si adatta alle guidelines imperanti si tende a non prendersene più cura. Infatti non è vero che la “terra” di cui è fatta la malattia è (come credeva Bernard e come crede ancora oggi buona parte del mondo medico) una materia semplice, banale, elementare, scontata, quindi del tutto prevedibile e del tutto riducibile a delle verità pre-pensabili (cioè pre-vedibili a priori) quindi a delle evidenze scientifiche inconfutabili perché certe.

Anche la materia di cui siamo fatti ha una storia, un rapporto con l’ambiente, degli accidenti, delle contingenze, delle casualità, quindi anche la terra/materia di cui siamo fatti ha una sua singolarità e una sua complessità. In realtà deve essere ben chiaro che sta qui il massimo grado di complessità. Essendo un filosofo, Cavicchi ha catturato questo punto in maniera intuitiva, ma, per chi sa ben guardare, vi sono clamorosi esempi che supportano la veridicità di questo fondamentale assunto.

Ma come sempre accade per le cose sotto gli occhi di tutti da sempre, le si può vedere solo se si recupera una mente libera da paraocchi culturali che, quotidianamente, lasciamo  che ci vengano messi. Se si comincia ad uscire dal brodo meccanicistico in cui oggi siamo immersi e si prova  a definire la  insuperata vetta  epistemica  della  condizione umana: cosa è la vita?,  si vede che nessun passo avanti  è stato fatto due secoli dopo l’Hegel della Jenser Logik  “Di fronte alla vita il pensiero si dissolve…per la mente l’onnipresenza del semplice nella molteplicità del sembiante è un contraddizione assoluta, un mistero impenetrabile” o dopo il Kant della Critica del Giudizio che previde il tentativo di meccanicizzazione della materia vivente.

Dopo una mole gigantesca di attività scientifica poco o nulla è variato, e rimane il fallimento concettuale della scienza nello spiegare la vita. Come dice il grande biologo Erwin Chargaff  (Mistero Impenetrabile; Lindau  2009) ogni vita è solo un recipiente, un sistema di recettori che possono rompersi e deperire ma il flusso continua. Il recipiente muore ma mai il contenuto. Esistono scherzi della natura (..che proprio scherzi non sono perché parti del disegno della vita) che violano ogni nostra aspettativa di compatibilità con la vita come  la possiamo concepire.

E’ il caso dei Tardigradi ( millimetrici esserini pluricellulari ) che vivono anche per decenni, pur esposti al congelamento (fino quasi allo zero assoluto) all’assenza di acqua , all’assenza di ossigeno nello spazio profondo, ai raggi gamma. Rimangono in gran parte misteriosi gli scambi di informazioni fra le varie componenti dell’organismo, a partire dai sistemi, dagli organi, dalle cellule, dalle componenti subcellulari, per arrivare  fino alle centrali energetiche mitocondrali, regalo di un ancestrale rapporto incestuoso fra i primi eucarioti e i già ben navigati procarioti. Come si vede, allo scopo di sviluppare il disegno della vita, la natura contamina e si contamina senza pudori.

Si pensi che noi abbiamo circa 22 mila geni mentre il potente ospite silenzioso che alberghiamo, cioè il microbiota, ha almeno 3 milioni di geni che non ci sono indifferenti dato che abbiamo stipulato con loro un contratto in comodato d’uso. Facciamo fare al nostro microbiota gran parte dei nostri passaggi metabolici col cibo, che si ripercuotono ovunque nell’organismo incluso in SNC. I nostri batteri intestinali producono perfino i neurotrasmettitori e così impattano sulle nostre emozioni e probabilmente perfino sull’intelligenza emozionale.

E pensiamo che questo gigantesco lavoratore dentro noi cambia in continuazione; bastano due giorni di cambiamento dietetico  per avere cambiamenti importanti nella composizione ed in parti nelle funzioni del microbiota (Nature, 2015). E’ ormai riconosciuto (Science, 2017; 5 paper), che il microbiota impatta significativamente sulla risposta  ai trattamenti oncologici, soprattutto la immunoterapia; ma quello che è emerso di recente è ancor più stupefacente: basta mangiare più o meno salato per modificare in profondità la risposta ai trattamenti immunoterapici  e questo cambiamento è mediato da cambiamenti del microbiota. Basterebbe ciò per minare alle fondamenta la visione meccanicistica attuale della medicina e della farmacopea.

Da almeno 150 anni  ci si è focalizzati  (con sporadiche eccezioni in neurologia) sulla biochimica come network unico dei segnali  sia in fisiologia che in patologia. E questo ha costituito il pilastro concettuale della farmacopea attuale. In realtà questo architrave teorico  non è in grado di spiegare una messe sempre maggiori di osservazioni dove risulta  evidente che le informazioni vengono  trasmesse in modalità quasi istantanee.

Dovremmo pensare ad una rivoluzione copernicana ed aprire  a nuovi  capisaldi teorici per comprendere la complessità e la singolarità, come ad es  alla biofisica, che indubbiamente permea  gli aspetti vitali. (R.Kurzweil, The singularity is near; Viking Press 2005). Forse siamo alle porte della medicina quantistica. Ma già il modernissimo,  ed anzi futuristico, Emanuel Kant affrontando  la essenza di natura ne rigettava la concezione meccanicistica (poi comunque divenuta vincente  per oltre un secolo) abbracciando la sua concezione dinamica, quindi mobile e diuturnamente mutevole  quale esito di cambiamenti interni caratterizzata da “forze di attrazione di repulsione”….. ( come si vede  eravamo già  dentro la biofisica che doveva ancora nascere come  disciplina).

Ma pur scendendo di molti gradini da questi empirei misteriosi  e giungendo a qualcosa di più familiare, come l’apparentemente semplice confine fra normalità e malattia, si vede come tutto sia meno definito (Georges Canguilhem, Il normale e il patologico) e la malattia  come condizione messa in cantiere dall’organismo per ottenere un nuovo equilibrio. Ed è dall’imperatore di tutte le malattie, cioè dal cancro, che possiamo trarre molte lezioni, consapevoli di quanto ancora ci sfugga nella comprensione della sua genesi, evoluzione e degli esiti dei suoi trattamenti, soprattutto di quelli più mirati.

La cellula cancro consegue l’immortalità, violando l’assunto del contenitore perituro a contenuto invariante, e lo fa modificando l’attuale rapporto energetico primordiale della cellula. Le sue centrali mitocondriali producono meno energia convertendola in materia (nucleotidi e peptidi necessari alle nuove cellule).  La perdita di efficienza energetica è il prezzo della immortalità ( Nature, 2013). Forse un tempo tutte le cellule erano tumorali e poi l’evoluzione le ha ricacciate indietro… o forse nel futuro tutte le cellule saranno tumorali.

A parte questo passaggio primordiale i cambiamenti del genoma  tumorale sono molto variegati ( alcuni driver  altri bystander) ma generano una eterogeneità  tumorale, già manifesta all’esordio della malattia, per cui all’interno della stessa massa tumorale esistono popolazioni sterminate l’una diversa dall’altra. Infine stanno emergendo i primi danni di come il cancro interferisca con le altre cellule dell’organismo:

Quindi anche nelle patologie ci sono singolarità multiple.  In definitiva stanno emergendo voci pioneristiche che tratteggiano le basi su cui fondare la potenziale medicina del futuro. Una medicina delle reti che superi l’attuale assetto riduzionista avvicinandosi maggiormente alla complessità dell’individuo ( Loscalzo, Barabisi, Silverman; Network Medicine. Complex Systems in Human disease; 2019)  e  che i cambiamenti che faranno da ostetrica alla nascita di una nuova medicina  non saranno solo biologici ma  anche sociali ( Eric Topol; The Creative Destruction of Medicine; 2012).

La medicina è una scienza impareggiabile perché prima di tutto  è  complessa a livello biologico poi a livello sociale quindi a livello morale a livello politico e a livello ambientale. La sua epistemologia di conseguenza è complessa tante volte in modo diverso.  In una parola, come dice Cavicchi, essa è scienza impareggiabile  cioè una scienza che resta della natura ma non è paragonabile  a nessuna altra scienza della natura. La fisica rispetto alla medicina è una scienza semplice la medicina no. Forse è per questo che la fisica mette costantemente in discussione i suoi architravi teorici, mentre la medicina è ferma a secoli fa.

Particolarmente oggi, alla complessità della materia biologica dobbiamo aggiungere tutto il resto fino ad arrivare prima al malato come persona e poi ai suoi diritti, ai suoi dubbi (gli esitanti) e alle sue verità altrimenti dette opinioni quindi alla autodeterminazione, al contenzioso legale, alla questione medica. Lo scimmiottamento garrulo da parte della nostra sanità gestionale dell’anglofilo “politicamente corretto” (già di per sè un ossimoro nella normale dialettica fra diversi), ha riclassificato i pazienti neppure come malati, bensì utenti, termine ancora edulcorato ma che lascia intravedere l’ombra del “cliente”.

Questo perché nella nostra medicina l’atto medico in senso lato non è più inteso come un rapporto di cura ma è divenuto un servizio da acquistare (indifferentemente da chi paghi: pubblico o privato). Se il termine “paziente” (che peraltro mi risulta ancora pienamente impiegato negli altri paesi e lo è in tutti gli studi clinici nazionali ed internazionali) poteva avere un risvolto paternalistico/gerarchico, “utente” è colui che in una ottica mercantile compra un abbonamento telefonico o del gas. I prodromi di una rottura gerarchica  che si consuma in occidente risalgono a molti anni fa quando nel 1936 Walter Benjamin ( “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”) segnalò l’esordio delle lettere ai giornali. Se il lettore era pronto a trasformarsi in scrittore, oggi questo evento con internet e social è esploso al cubo. Oggi il paziente (chiamiamoli ancora con il loro nome internazionale) nutrito di suggestioni da social unitamente alla illusoria credenza non tanto di avere maggiori diritti, ma di averne di “spendibili”, fino al punto di poter contrattare (che è ben diverso dal condividere) le stesse proposte terapeutiche, ha innescato conflitto, in cui tuttavia né il medico né il paziente sono registi.

Questo contenzioso, perfino legale, non porta quasi mai a nulla di vantaggioso per il paziente ma ha innescato un succoso business legato alla medicina difensiva e al suo indotto legale.

Tornando all’opera di Cavicchi la definizione di medicina come scienza impareggiabile, prende spunto da Merleau Ponty, perché scavando sul fondo del suo impianto teorico alla fine si evince che essa è una “quasi scienza”.

In questo “quasi” (da tradurre: “non  soltanto”),  sta tutta la sua impareggiabilità.

Per C. Bernard questo “quasi” non esisteva.  Esisteva solo la materia biologica (quella peraltro enormemente semplificata della sua epoca di grande scienziato), e basta. Non era da considerare né il malato, né la sua singolarità (cioè la sua unicità) né l’errore medico né le sovrastrutture sanitarie costruite nei decenni.

La medicina è “quasi” una scienza della natura ma “non è solo una scienza della natura” è quasi una sociologia, è quasi una psicologia, è quasi una etica, è quasi una politica è quasi ambientalismo, quindi in ragione di tutti questi “quasi” è  scienza impareggiabile  cioè una meta-scienza ad alta complessità in quanto a geometria variabile. Solo considerando la Medicina come una serie di “quasi” si possono comprendere le faglie di attrito, che lo scontro fra le varie sue componenti (sociologia, politica ecc) le impongono quali stress test sino a  raggiungerne la linea di frattura.

Ma il “quasi” più importante rimane a, mio avviso, quello economico (il vecchio Marx semper docet, e ancor prima gli Scolastici di Salamanca). La nostra medicina occidentale è ovviamente plasmata ed organizzata sul modello economico capitalistico e risente in profondità dei suoi cambiamenti. Il passaggio del modello economico capitalistico preminente occidentale (o meglio americano) da produttivo a finanziario avvenuto negli ultimi 30 anni, (grazie all’abbandono clintoniano di Keynes e all’abbraccio con l’iperliberismo di von Hayek decretato dall’eliminazione della separazione fra banche d’affari e banche commerciali che risaliva a Roosevelt) ha cambiato (in peggio…. molto in peggio) l’assetto economico e sociale e necessariamente anche quello della Medicina.

Questo ha prodotto dei risultati devastanti per le società: i dati ufficiali ONU dimostrano che negli anni ’70, il 90% dei guadagni economici era diffusa al 99% della popolazione mentre nel 2010 solo il 5% dei guadagni andava al 99% meno ricco della popolazione occidentale (con ulteriore peggioramento odierno: lo 1% più abbiente che si prende fino al 99% dei guadagni prodotti dalla società nel suo complesso). E’ l’epoca di ricchi e supericchi che, se al di là del Don, li chiamiamo oligarchi, se al di qua… filantropi.

Questo è il vero esito del liberismo finanziario, che non può non impattare anche sulla salute. La medicina tecnologica occidentale è divenuta parte, anzi un asset strategico di questa comdizione adattando la sua struttura a questa finalità. Non è un mistero per nessuno che un qualunque nuovo CEO di una BIG Pharma ha come primo compito l’incremento del valore dell’azienda in borsa, indipendentemente dalla creazione/produzione di nuovi farmaci. Questo spiega poiché assistiamo negli ultimi anni ad una riduzione progressiva della produzione di nuovi farmaci, arrivando perfino a non mettere sul mercato farmaci che hanno dimostrata buona efficacia, ma non consentono guadagno ritenuti adeguati per la strategia complessiva della company, e pertanto non vengono messi a disposizione dei pazienti.

Risalgono proprio al periodo di esordio del liberismo finanziario due cambiamenti strategici nell’assetto della medicina: il primo è la legge del senato USA che ha “trasferito” dal pubblico al privato la ricerca sui farmaci; Il secondo è la creazione dell’impianto concettuale della EBM (cioè la medicina basata sulle prove), strettamente funzionale al primo.

E’ degli anni 80 la legge Dole del senato USA che ha “trasferito” dal pubblico al privato la ricerca sui farmaci favorendo la creazione di Big Pharma che, legandosi strettamente alla finanza, è divenuta fra le maggiori fonte di business mondiale, accumulando così un potere smisurato in pochissimo tempo.

Ciò ha trasformato la medicina e la sanità in una questione prettamente di trattamenti farmacologici, permettendo di passare da 20 MLD di dollari nel 1975 a 1300 MLD nel 2020, di cui > 350 MLD solo negli USA dove peraltro i costi sanitari raggiungono un quinto del PIL ed il 50% della crescita  della spesa sanitaria annua si deve ai nuovi trattamenti (Rajkumar, Blood Cancer Journal, 2020).  Si deve comprendere che il complesso medico-industriale ha peso analogo a quello del complesso militar-industriale (definizione di Eisenhower) e se per vendere le armi devi favorire le guerre (ricorda qualcosa la situazione odierna?), per vendere 70 volte più farmaci in 50 anni (incremento del 7000% !!!!)  devi allargarne il mercato potenziale, medicalizzando intere aree della vita umana che non ne avrebbero alcun bisogno.  

Se per secoli la dispensa dei farmaci è rimasta desolatamente vuota non è che il suo riempimento impatti così vigorosamente sulle aspettative di vita. Negli anni 80 l’ex CEO di Merck disse a Fortune che era frustrato perchè le medicine erano vendute solo ai malati. La sua ambizione era di venderli a tutti. Per dirla con Jared Diamond (Armi, acciaio e malattie, Einaudi, 1998) è spesso l’invenzione la madre delle necessità e non viceversa. Ci si spinge a voler considerare perfino un’epoca della vita come la vecchiaia come un condizione medicalizzabile lasciando intravvedere la possibilità di rinviare sine die un evento ineluttabile come la morte e dimenticando sia la lezione del filosofo Montaigne per il quale la vecchiaia era un viatico utile per prepararci alla morte, sia un saggio proverbio popolare “la vecchiaia è brutta ..ma l’alternativa è peggio”. Un tempo si discuteva del vecchio “oppio dei popoli”; oggi si fa strada una nuova fumeria d’oppio specializzata in illusioni ottiche pseudo-scientista.

Ma al risveglio dai fumi di questa nuova pseudo-necessità, la crudeltà dei dati bruti ci fa vedere un’altra realtà: dipendiamo sempre più dal bisogno (crescentemente indotto) dei farmaci, sebbene le origini della cattiva salute affondino spesso nello stile di vita. Nonostante tecnologie sempre più spinte i miglioramenti generali della salute sono sempre più marginali a costi formidabili, anzi già largamente insostenibili. Le aspettative di vita sono cresciute molto prima che la medicina facesse la differenza per il semplice miglioramento igienico ed alimentare e gli ulteriori miglioramenti dei primi anni 60 e 70 (certamente legati anche allo sviluppo della medicina tecnologica) non si sono più ripetuti e stiamo raggiungendo rapidamente il plateau del miglioramento (cioè non più miglioramenti significativi).

I dati americani (capofila della medicina tecnologica attuale) parlano da soli: negli USA la mortalità infantile (parametro sensibilissimo della salute di una società) è ancora 4 volte più alta di quella della Finlandia; la spesa sanitaria USA è 4 volte quella del Qatar ( uno stato non proprio povero) ma con solo un anno in più di aspettativa di vita. Negli Stati Uniti la speranza di vita della popolazione ha iniziato a diminuire ben prima della pandemia. In un solo anno (2014/2015) i tassi di mortalità USA sono aumentati dell’1,5% rispetto al 2014 (rapporto CDC 2016).

Aumentano praticamente tutte le cause di morte (malattie cardiache, ictus, malattie neurodegenerative, malattie renali e polmonari) eccetto le morti per cancro. I progressi della medicina tecnologica e i nuovi farmaci, anche se sempre più efficaci, non riescono a contrastare gli effetti del cibo spazzatura sull’incidenza delle patologie croniche legate all’obesità.  In effetti il popolo americano sembra una cavia schiacciato da un lato dalla potentissima industria del cibo che avanza sul mercato a colpi di incremento BMI (indice di massa corporea) e dall’altro lusingato, ma non realmente tutelato, dall’altra potente lobby sanitaria.

I dati scientifici sono impietosi: la Preston Curve (modello che mette in relazione la ricchezza con l’aspettativa di vita) posiziona gli USA molto indietro  e non vi sono dubbi che questo dipenda dalla disparità economica, come certificato dall’indice GINI ideato dallo statistico italiano Corrado Gini nel 1912  che è la misura di distribuzione del reddito più usata. Se, teoricamente, non c’è disparità  nei guadagni dell’intera popolazione l’indice è zero, se invece uno si prende i guadagni di tutti l’indice è 100. Gli USA hanno un indice molto elevato (41,4) pari ad Haiti  e peggio non solo di  Europa  ed Italia (35,9), ma della stessa Russia (37,5). Esattamente due secoli fa l’indice GINI globale era 50, oggi supera 66.

E’ negli anni prossimi salirà ancora anche legato alla pandemia: infatti dopo ogni pandemia degli ultimi 10 anni (H1N1, Ebola; Zica) vi è stato un aumento medio di 1,5 punti dell’indice. Nel post COVID andrà ancor peggio, come già testimoniato dal vorace arricchimento in un solo anno del superclan dei ricchi e, ulteriormente, dalla ridotta aspettativa di vita che se è stimata a 0,22 anni in Europa, sale a 1,87 negli USA (BMJ, 2021). In definitiva, credo che si possa ragionevolmente affermare che l’assetto della medicina attuale è stato costruito come funzionale al mondo globalizzato che prevede un mercato più ampio possibile.

Si ricordano gli attriti quando paesi come India e Sud Africa hanno prima inutilmente chiesto la dispensa dai brevetti per farmaci anti HIV e poi, al rifiuto stizzoso, se la sono presa comunque?  Dice nulla la richiesta, inascoltata, di molti paesi poveri di essere in parte sollevati dal peso economico del costo vaccini COVID sciogliendo il vincolo del brevetto? Tutto ciò sembra comunque un aperitivo light rispetto al portato atteso del conflitto militare in corso fra superpotenze che sembra condurre ad un riassetto globale degli assetti di potere nel globo con la fine della globalizzazione finanziaria, cioè  con miliardi di persone che saranno sottratti a quel mercato (Qiao Liang; L’arco dell’impero, LEG editore 2021). Se è cosi, riuscirà la medicina della globalizzazione a sopravvivere alla verosimile sua fine, o assisteremo ad una sua vera crisi apoptotica?

 In definitiva, questa nostra medicina così strutturata giova ancora all’umanità o sta diventando pericolosa nella sua strutturazione attuale, paradossalmente favorendo il peggioramento delle condizioni di salute e l’aspettativa di vita? ( Daniel Callahan, False Hopes, 1998).  Chi prevale fra Salute o profitto?- Profitto, perbacco! Vi sono molti esempi di come la spinta all’uso inconsulto di farmaci  abbia creato danni importanti alla salute:  il disastro delle overdose da oppiodi  che si è abbattuto sulla salute degli americani, risultando la prima causa di morte sotto i 50 anni con oltre 60mila morti all’anno ( stima complessiva attorno al mezzo milione di americani , cioè la metà dei morti per Covid 19).

Ancor prima il caso del Vioxx (un FANS, anti Cox-2): 28000 mila morti provocati in USA fino al 2004 “ la più grande catastrofe in maniera di sicurezza dei farmaci nella storia di questo paese o nella storia del mondo (David Graham, direttore Ufficio Sicurezza Farmaci del   CDER/ FDA in udienza al Senato americano nel 2004).  La storia di questo evento è esemplificativa (e inquietante)  di come la tutela dei malati non sia stata perseguita dalle entità regolatorie  preposte  ma solo dall’azione  di clinici intelletualmente onesti. Altro esempio più vicino a noi è l’uso inconsulto e prolungato dei cosiddetti “protettori gastrici”. Ora finalmente emerge quello che era ben chiaro ai più avvertiti già 30 anni fa: sono legati ad aumento significativo del cancro gastrico e un aumento di morte per ogni causa nei pazienti oncologici. Le cause di tutte questi eventi (citando solo i più eclatanti) dipendono dal loro uso improprio e da inadeguati controlli.

Possiamo, magari, ritenere che negli ultimi tempi i controlli delle entità regolatorie siano divenuti più stringenti, almeno per i grandi capitoli clinici? Riporto un solo esempio che lo lascia dubitare.

Lo studio registrativo del vaccino Pfizer per COVID pubblicato su NEJM, che ha incluso circa 40 mila persone negli USA randomizzati 1 a1 a vaccino o placebo è  risultato in un vantaggio del 93% (con immediato riscontro borsistico) del vaccino rispetto al placebo nella protezione da Covid clinicamente manifesto.  Un problema maggiore  è che in quel periodo vi erano erano contee americane con grande diffusione dell’infezione ed  altre a contagio zero ( vedesi sito COVID 19 della John Hopkins University).

Il non aver tenuto conto di ciò con una“randomizzazione per blocchi” (come  peraltro testimoniato anche dal protocollo pubblicato dove non si fa menzione della modalità di randomizzazione) crea un potenziale bias non permettendo di stimare  non il sé  (condiviso da tutti), ma il quanto sia stato realmente efficace quel vaccino.

Si sarebbe potuto facilmente chiarire questo punto cruciale (che non è solo speculativo ma ha avuto un impatto nelle politiche vaccinali successive) avendo a disposizione i dati originali  (come chiesto  esplicitamente da molti accademici in  un appello sul BMJ). Ma  le company produttrici dei vaccini hanno stipulato un accordo con governi ( e relative entità regolatorie si sono adattate a ciò) e non divulgheranno i dati che a fine 2025. Siamo alle viste di un nuovo caso Tamiflu? Non lo sappiamo, ma la garanzia che non ci sia, ad oggi non  c’è. Cosa diceva Thomas Marmor: No data? No problem? No problem? No action!

 

Il secondo cambiamento chiave  della medicina negli ultimi decenni, è l’impianto concettuale della EBM  che è stata costruita  prettamente funzionale al confronto ( anzi al conforto) farmacologico  (studi di fase1-3/4 metanalisi ecc) utilizzando parametri statistici abbastanza semplificati  per voler comprimere la complessità del mondo naturale di cui si è detto. Gli RCT (studi clinici randomizzati) hanno rimpiazzato la fiducia quasi folcloristica basata su tradizione ed intuizione, ma restano limitativi perchè per loro stessa natura focalizzati su una singola,  delimitata e restrittiva condizione clinica, volutamente tagliando fuori tutto il resto dei pazienti reali. Una adesione troppo zelante alle linee guida imbastite su RCT porta a curare statistiche anziché pazienti veri, basandosi sull’assunto errato che la risposta del paziente che si ha di fronte sia uguale alla risposta media emersa da EBM.

Vi sono caterve di esempi che smentiscono ciò e che i clinici conoscono bene: ad es la sopravvivenza di pz con HCC con stesse condizioni di inclusioni e stratificazioni  di partenza e trattati con sorafenib  sono molto diverse ( con perfino il raddoppio della sopravvivenza) se si tiene conto di altre condizioni apparentemente slegate dalla interazione col farmaco , ma legate intimamente all’individuo. Ad oggi se ne conoscono almeno 14. 

Vi è, inoltre, motivo di sospettare che i risultati numerose ricerche siano poco o punto affidabili (Ionnadis, Stanford University , 2005).  La stessa statistica Bayesiana, molto più olistica visto che tiene conto anche delle esperienze del passato, è stata sottoposta a torsioni concettuali che escludono la comprensione più ampia del processo fenomenologico in studio, ma sono unicamente atte al rendere più proficuo (ma non certo con minori rischi) il processo di sviluppo di un trattamento. E’ il caso degli studi di fase 1 adattativi, in cui non si segue nemmeno più la metodica  di 3+3 di Fibonacci,  ma si va alla ricerca di campioni statistici sempre più ridotti, e ciò nonostante la  incrementale conoscenza di  come le risposte  ai trattamenti possono essere  aleatorie e mai prevedibili nel singolo.

Vi sono esempi che hanno illustrato la limitatezza della EBM: rimane nella memoria degli oncologi l’esito di un grande studio che dimostrò un beneficio statisticamente significativo dell’aggiunta alla chemioterapia di Erlotinib  nei pazienti con carcinoma del pancreas. Ma il guadagno medio di sopravvivenza era solo di 14 giorni, quindi senza reale vantaggio clinico. La scelta di non impiegarlo fu ovvia ma è avvenuta su un base di scelta soggettiva, quindi al di fuori della rigidità dei parametri EBM. Lo stesso sistema GRADE supplisce in maniera similare.  

Da un punto di vista epistemico è molto importante: si è dovuto reintrodurre a forza un grado di soggettività per fronteggiare i buchi teorici e le rigidità dell’oggettività dell’EBM. Peraltro lo stesso padre dell’EBM, David Sackett ha sempre chiaramente sottolineato che la EBM non è traslabile tout court al singolo individuo!! Ma i passaggi scomodi si preferisce accantonarli.

Qui è l’unico momento di disaccordo con Perozziello che, commentando qui il libro di Cavicchi, sembra attribuire alla EBM la causa della crisi della medicina attuale. Per me non ne è la causa ma uno strumento intermedio, una camicia di forza che non ti metti da solo, ma che qualcuno più forte ti impone. L’ EBM ha una indubbia utilità ma è uno strumento limitato e molto al di sotto dal livello di  comprensione della complessità dell’individuo ed anche delle semplici interazioni farmacologiche, ma soffre ancora della falsa convinzione che il sogno deterministico di  poter imbrigliare la natura sia tuttora perseguibile e solo da accrescere esponenzialmente il numero di  vari esperimenti su piastrella fenomenologica tipici di questa farmacopea.

Espandendoci con questa modalità, la medicina del futuro imminente sarà quella rappresentata da Hollywood nel film Elysium. In un distopico 2145 la razza umana è divisa in due categorie: da una parte gli eletti vivono una vita confortevole sulla tecnologica stazione spaziale orbitante, mentre la maggior parte della popolazione mondiale è costretta a condurre un’esistenza tormentata sulla terra, inospitale per inquinamento e sovrappopolazione.  Solo i primi dispongono della medicina del futuro che iconizza la visione finale della medicina attuale (una macchina medico che in un momento fa diagnosi, terapia e ti guarisce). 

Ma non sarà così! Hanno già fatto un bagno di realismo altri settori della scienza, come ad es la climatologia che con Lawrence ha ridefinito il suo assetto teorico partendo dall’asserzione che del clima nulla è realmente prevedibile, e che, non essendo fattibili esperimenti  sul campo, si possano fare solo proiezioni  con definizione di un effetto soglia (thinking point) al di al del quale ci sono effetti a cascata. Si lavora ad intervalli di probabilità e di incertezza.

E’ la teoria del caos. Il filone principale della medicina attuale è ancora convinto che la complessità sia dominabile da una miriade di singoli esperimenti. Penso che la medicina proprio per la sfida insuperabile che le pone la complessità abbia bisogno di una nuova teoria non molto dissimile da quella del caos.  Una teoria del Caos Medico che necessita di tutt’altri strumenti statistici che va vanno nell’ottica delle stime della complessità , cioè dalla pseudo-precisione alla  più realistica “imprecisione”. Ciò obbligherebbe al superamento dell’EBM e, come corollario, alla conseguente crisi dei suoi presupposti economici. Sta qui, secondo me, la vera crisi teorica della medicina odierna.

Tra Bernard e Cavicchi ci sono due secoli di cambiamenti di tutti i tipi.

Quando Cavicchi sostiene che la crisi della medicina scientifica è un prodotto della nostra epoca quindi che  non poteva che verificarsi nella nostra epoca, dice semplicemente che con tutto quello che è successo in questi due secoli, la crisi era inevitabile.  Ma nello stesso tempo dice che questa crisi non va sottovalutata ne banalizzata perché, per le molte cose che abbiamo detto prima, a sua volta è impareggiabile, perché come dice la etimologia stessa della parola crisi questa è anche una opportunità.

Trovo illuminate la distinzione che Cavicchi fa per comprendere i problemi della medicina tra paradigma, dottrina, disciplina e prassi, ma proprio perché abbiamo a che fare con un impianto concettuale che a causa dei cambiamenti innegabili che emergono, fa acqua in più punti che possiamo dire che la crisi della medicina è impareggiabile. E lo è.  La crisi avanza rapida in tutti i suoi aspetti: da quella teorica a quella pratica evidenziata dalla questione medica che è sotto gli occhi di tutti, che si traduce in perdita economica, in decadenza di prestigio sociale, in condizioni di lavoro non più accettabili e nepotismi vari.

Politica ed affini fanno evidentemente orecchi da mercante ma fare il pesce in barile non garantirà più nemmeno il galleggiamento della barca. Si imbarca acqua ed i mozzi lasciano il battello. In una involontaria indagine fra i miei studenti di medicina ho scoperto che la metà sta studiando attivamente una seconda lingua (chi il tedesco, chi il francese, chi lo spagnolo, chi l’arabo, chi perfino il cinese). Alla mia domanda del perché, la risposta è stata raggelante: “lo stato italiano ci potrà garantire (almeno in gran parte) la scuola di specialità ma poi non ci sono prospettive serie. Ringraziamo, ma il nostro futuro lo vediamo altrove.”

Capito bene? Del resto se i piani economici sanitari nonostante le chiacchiere politiche durante la pandemia, prevedono un ulteriore taglio al 6,2 del PIL nel 2024, i giovani futuri medici hanno evidentemente ragione. Se i loro fratelli maggiori sono stati trattenuti con promesse vaghe e mai mantenute, i fratelli minoro sono meno illusi e perfettamente determinati.

Capisco che i libri di Cavicchi non siano facili da digerire, ma se vogliamo provare ad  uscire  dai guai e fare per davvero gli interessi dei nostri pazienti, bisogna finirla di autocommiserarci  e  mettere in campo proposte ed essere capaci di batterci seriamente per queste come ha giustamente scritto Cognetti (QS 14 marzo 2022) ed anche come auspisca il presidente Anelli sulla sua prefazione al libro di Cavicchi.

La scienza impareggiabile ha ragione il collega Cognetti non è un libro da sprecare ma può essere usato per provare a curare le nostra malattia , ma mi  chiedo quanti sono i presidenti di ordine, i sindacalisti i presidenti di società scientifiche  che lo leggono? Che fine hanno fatto le 100 tesi e gli stati generali per ripensare la professione medica che pur mi sembravano un importante passo? Che fine ha fatto la nuova deontologia  in cui si è impegnato il presidente Anelli? La pubblicazione della scienza impareggiabile ha apportato idee per cambiare ma non sembra che vi sia alcuna determinazione politica a metterle in pratica , sperando, illusoriamente, che la barca continui a galleggiare.

Come ha scritto Cognetti trovo fondamentale l’idea di Cavicchi di agganciare lo statuto giuridico dei medici al governo delle complessità, perché trovo sensato e ragionevole oggi proporre  a questa società uno scambio di valori, quindi una transazione all’insegna del cambiamento. Voi ci date certe cose e ci mettete nelle condizioni di esercitare la scienza impareggiabile noi vi garantiremo l’impareggiabilità che ci chiedete.

Ma se è tutto così chiaro se la proposta c’è e siamo in tanti che aspettiamo a muoverci?

E’ l’ultima chiamata.

Giovanni Brandi

Direttore Scuola di Specializzazione Oncologia Medica, Università di Bologna



19 maggio 2022
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