Giornata mondiale contro l’omofobia. Istat: “Il 26% degli omosessuali/bisessuali penalizzato sul lavoro”
Ancora oggi l’orientamento sessuale può essere fonte di discriminazione, anche sul lavoro. Lo rileva un’indagine Istat, che rivela come per un omosessuale/bisessuale su cinque il proprio orientamento sessuale ha influito negativamente su aspetti come retribuzione, avanzamenti di carriera e riconoscimento delle capacità professionali. Il 61,8% riferisce almeno una ‘micro aggressione’ in ambiente lavorativo, dall’uso di un linguaggio dispregiativo ad avance non gradite. L’INDAGINE
17 MAG - Essere omosessuale o bisessuale è ancora motivo di dicriminazione e, di conseguenza, di difficoltà e disagio. È quanto emerge da dall’indagine Istat “sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ rivolta alle persone in unione civile o già in unione”, pubblicata in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia.
L’indagine, svolta tra il 2020 e il 2021, ha coinvolto oltre 21 mila individui in unione civile o già in unione residenti in Italia, il 95,2% si è dichiarato omosessuale o bisessuale (gay il 65,2%, lesbiche il 28,9%, bisessuali donne il 4,2%, bisessuali uomini l’1,7%) e ha fatto emergere una buona partecipazione al mercato del lavoro della comunità lgbt+ (il 77% è occupato e il 22,5% lo è stato in passato). Il lavoro dipendente è la modalità di impiego prevalente e il settore terziario quello più rappresentato, in particolare tra le donne.
Tuttavia, il 12,6% afferma di non essersi presentato a un colloquio di lavoro o non aver fatto domanda perché pensava che l’ambiente di lavoro sarebbe stato ostile al suo orientamento sessuale. Inoltre, oltre un intervistato su cinque (il 26%) tra le persone, in unione civile o già in unione, omosessuali o bisessuali, occupate o ex- occupate, ritiene che l’orientamento sessuale abbia costituito un elemento di svantaggio nel lavoro, soprattutto in termini di carriera, riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità, in maniera meno importante per quanto riguarda la retribuzione.
Nel complesso, l’attitudine a vivere in una dimensione pubblica il proprio orientamento sessuale in ambito lavorativo è elevata, tanto che la stragrande maggioranza dichiara che il proprio orientamento sessuale è o era noto, nell’attuale o ultima occupazione, almeno a una parte delle persone dell’ambiente lavorativo (92,5%), soprattutto ai pari grado (84,5%).
Circa una persona su tre riporta episodi di outing, ovvero di disvelamento non consensuale a terzi dell’orientamento sessuale, ma il 40,3% ha evitato di parlare della sua vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale.
Particolarmente diffuso è il fenomeno delle micro-aggressioni nell’attuale/ultimo lavoro legate all’orientamento sessuale, infatti, il 61,8% riporta di avere subito almeno un episodio di tale tipo da parte di persone dell’ambiente lavorativo, nell’attuale o ultima occupazione svolta. Le esperienze più frequenti riguardano l’uso di un linguaggio offensivo o dispregiativo, scherno, domande sulla vita sessuale, avance sessuali non gradite.
Una percentuale elevata (il 46,9%) delle persone in unione civile o già in unione, omosessuali o bisessuali, riferisce di avere subito almeno un evento discriminatorio a scuola/università, non necessariamente in relazione al proprio orientamento sessuale. Il fenomeno è più diffuso tra i giovani (il 61,6% dei 18-34enni), “a conferma della delicata fase di formazione che precede l’inserimento nel mondo del lavoro e i possibili effetti che questa può avere sui successivi percorsi di studio e lavoro”, evidenzia l’Istat.
Per quanto riguarda la discriminazione in fase di accesso al lavoro, una persona su tre dichiara di aver vissuto tale esperienza; invece, con riferimento allo svolgimento del proprio lavoro, il 34,5% dei dipendenti o ex- dipendenti dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione.
Infine, il 20,8% degli occupati o ex-occupati riporta almeno uno degli episodi di clima ostile, incluse aggressioni in ambito lavorativo che vengono indicate dall’1,1% dei rispondenti. Si tratta sempre di esperienze ascrivibili a una pluralità di caratteristiche, tra cui l’orientamento sessuale. L’identità di genere viene riportata, tra i motivi per i quali si ritiene di essere stati discriminati, da una quota molto contenuta di questo segmento di popolazione.
Circa sei dei dipendenti o ex-dipendenti su 10 hanno parlato dell’ultimo evento di discriminazione accaduto con persone dell’ambiente lavorativo, più frequentemente con colleghi di pari grado (il 42,2%) e con datori di lavoro e superiori (il 24,4%), ma è soprattutto con familiari (60,8%) e amici (53,7%) che ci si confronta.
Il 17,4% di chi ha subito discriminazione nell’attuale/ultimo lavoro dipendente ha intrapreso una qualche azione (legale, di conciliazione sindacale, ne ha parlato con i responsabili, ha chiesto che venissero presi provvedimenti nei confronti dei responsabili, ha cambiato lavoro/ufficio/mansioni o altro tipo di azione). La percentuale sale leggermente tra chi ha vissuto invece un evento di “clima ostile” in ambito lavorativo, riguardando una persona su quattro.
Più in generale, oltre il 68,2% afferma di aver evitato di tenersi per mano in pubblico con un partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato; tale evidenza mostra la netta percezione di vivere in un contesto sfavorevole; per lo stesso motivo il 52,7% ha evitato di esprimere il proprio orientamento sessuale.
17 maggio 2022
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