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Il valore delle CAR-T: dialogo aperto tra gli stakeholder per valorizzare le esperienze e superare alcune criticità del patient journey

di C.d.F.

Gli esperti di Emilia-Romagna, Lazio e Veneto confrontano le diverse esperienze regionali con l’uso della terapia con cellule Car-T e tracciano la direzione per una strategia nazionale che consenta un uso più efficace ed efficiente delle Car-T in uno scenario in continua evoluzione.
 

14 OTT - L’introduzione delle terapie con cellule Car-T nella lotta ad alcuni tipi di tumori, come la leucemia linfoblastica acuta a cellule B e alcune forme aggressive di linfoma non-Hodgkin, rappresenta un’innovazione che apre alla possibilità di ottenere remissioni complete anche in fasi di malattia molto avanzate.
 
Il Workshop cross-regionale che si è svolto il 28 settembre in forma digitale, organizzato da The European House-Ambrosetti e realizzato con il sostegno non condizionante di Gilead e Kite (A Gilead Company), è stata la prosecuzione di un più ampio percorso di dialogo e riflessione avviato a maggio 2021 con l’obiettivo di tracciare il quadro attuale dell’utilizzo delle terapie Car-T in tre diverse esperienze locali – Lazio, Emilia-Romagna e Veneto.
 
“L’incontro, che ha coinvolto clinici, rappresentanti delle associazioni pazienti e istituzioni, ha permesso la condivisione e il dibattito su punti di forza e criticità riscontrate da parte dei diversi stakeholder coinvolti lungo il patient journey nelle tre Regioni, con l’obiettivo di individuare potenziali aree di miglioramento e tracciare alcune priorità di azione ed interventi che non sono solo locali ma si riferiscono ad una più ampia strategia nazionale”, ha affermato Daniela Bianco, Partner e Responsabile dell’Area Healthcare di The European House – Ambrosetti.
 
Gestire al meglio le Car-T
Le Car-T, come osserva Alice Di Rocco, Responsabile CAR-T progetto Linfomi del Policlinico Umberto I, permettono di trattare pazienti “che non avrebbero altre possibilità da un punto di vista terapeutico”. Si tratta di un farmaco particolare, che viene prodotto raccogliendo i linfociti T del paziente, modificandoli geneticamente in un laboratorio per far esprimere loro il costrutto CAR e renderli capaci di attaccare in modo specifico le cellule tumorali. Solo a questo punto, le cellule vengono somministrate al paziente. “C’è quindi un periodo di attesa, dal momento in cui le cellule vengono prelevate fino alla loro re-infusione. In seguito alla somministrazione vanno previsti degli effetti collaterali correlati all’attivazione dei linfociti. Si tratta di effetti noti e reversibili, che abbiamo imparato a gestire: la sindrome da rilascio di citochine e la neurotossicità”.
 
Valorizzare e gestire al meglio le potenzialità di queste terapie implica uno sforzo organizzativo significativo oltre che un ripensamento dei modelli economici finora adottati, specialmente in termini di classificazione e collocazione nei sistemi di rimborso. Le potenziali criticità del percorso riguardano infatti sia l’attività a monte, per cui si rileva la necessità di aumentare il livello di coordinamento su scala nazionale, sia a valle, in cui l’operatività si scontra con la necessità di gestire le complessità cliniche ed organizzative del percorso terapeutico-assistenziale, alimentate anche da una percepita carenza di risorse umane ed economiche dedicate.
 
“Il percorso terapeutico descritto ha un valore economico notevole”, aggiunge Di Rocco. “La realizzazione di valutazioni economiche strutturate della terapia potrebbe contribuire a quantificare l’impegno delle diverse strutture sanitarie nella gestione del paziente all’interno del percorso Car-T”. E precisa: “in questo contesto, il dialogo e la collaborazione tra i diversi attori del sistema sanitario risultano essenziali per assicurare un percorso pienamente aderente alle reali esigenze di cura dei pazienti, oltre che per garantire una remunerazione maggiormente mirata per le strutture”.
 
 
Secondo Gianpietro Semenzato, Coordinatore Tecnico Scientifico della Rete Ematologica Veneta e Professore Emerito di Ematologia all’Università degli Studi di Padova: “la terapia con cellule Car-T è l’esempio più esemplificativo delle terapie personalizzate oggi applicabile in diversi tipi di linfoma, nelle leucemie acute linfoblastiche e fra poco anche nel mieloma multiplo”.
Per implementare l’uso di questa terapia, secondo Semenzato, vanno perfezionati i percorsi da adottare, occorre un aggiornamento dei DRG e il coordinamento fra i vari centri, per i quali sarà necessario un adeguamento delle risorse. Bisogna affrontare poi la questione delle risorse umane: “per un effettivo rilancio di queste terapie bisogna valutare, dal punto di vista degli organi regionali, una revisione delle piante organiche e bisogna attribuire maggiori risorse al sistema sanitario per il personale medico, infermieristico e in alcuni casi per le infrastrutture”.
 
 
Vincere queste sfide permetterebbe di assicurare l’accesso alle terapie a tutti coloro che potrebbero beneficiarne, garantire il massimo livello di sicurezza e assistenza per i pazienti, contribuire alla sostenibilità complessiva del sistema sanitario, anche nel medio-lungo termine.
 
Il paziente al centro di un percorso complesso
“La gestione di questo farmaco è complessa”, commenta Francesca Bonifazi, Direttore del Programma Dipartimentale di Terapie cellulari avanzate all’IRCCS AOU Bologna – Istituto di Ematologia L. e A. Seragnoli Bologna, “perché si tratta allo stesso tempo di un farmaco e di una terapia cellulare”. È quindi necessario un Car-T cell team, “che non vede solo la presenza di specialisti di varie branche della medicina che si occupino delle complicanze, ma anche dei farmacisti esperti del programma trapianto e quelli esperti in farmacovigilanza”.
 
A questo si aggiunge una complessità amministrativa e di registrazione presso la company che produce il farmaco. Non sarà facile sciogliere questi nodi, secondo Bonifazi, bisognerà “sviluppare nuovi modelli organizzativi, multidisciplinari e multispecialistici all'interno delle strutture sanitarie e anche al di fuori di esse. La tenuta di tale complessità richiede infatti l’implementazione di reti collaborative, di tipo Hub & Spoke, che permettano il referral precoce, alta specializzazione nelle fasi a maggior rischio clinico, condivisione dei percorsi e disseminazione delle competenze”.
In tutto questo il ruolo del paziente è fondamentale. “A Bologna abbiamo costruito un percorso paziente-centrico”, continua Bonifazi. “In ogni fase del percorso al paziente viene fornito lo specialista più giusto per quella fase”.
 
 
“È fondamentale dare voce ai pazienti”, ha affermato Davide Petruzzelli, Coordinatore Nazionale F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche, “perché attraverso la loro esperienza si evidenzino bisogni reali e concreti. Si rende quindi necessario un cambio paradigmatico nel coinvolgimento dei rappresentanti dei pazienti, per stabilire insieme obiettivi e strategie che tengano conto del loro punto di vista. Queste terapie hanno delineato un quadro complesso, in quanto se da un lato il loro valore clinico è indiscutibile, dall’altro sono ancora tanti i temi discussi in termini di informazione, comunicazione, accesso, sostenibilità e qualità di vita dei pazienti. Sarà fondamentale la costruzione di un nuovo sistema che possa essere in grado di rendere disponibili tale innovazione sanitaria ai pazienti attraverso un accesso rapido ed omogeneo sul territorio, obiettivo raggiungibile solo grazie ad un dialogo tra tutti gli stakeholder coinvolti: l’accademia, l’industria del farmaco, le Istituzioni, gli operatori sanitari e i pazienti. Questo è il vero punto di partenza”.
 
L’iniziativa va nella direzione del progetto “Cell Therapy Open Source”, nato nel 2020 dalla collaborazione di Gilead Sciences e Osservatorio Terapie Avanzate, con l’obiettivo di creare un documento di discussione e riflessione ‘aperto’, ossia in costante aggiornamento, sulle terapie cellulari; un percorso che consente di valutare i cambiamenti rivoluzionari generati dall’introduzione e dall’utilizzo di queste terapie in Italia. Il progetto di quest’anno si concentra sul paziente, cercando di mettere in luce le reali necessità e i suoi bisogni, allo scopo di definire e condividere possibili soluzioni organizzative per l’ottimizzazione della sua presa in carico e di una più ottimale gestione.
 
Hanno partecipato al dibattito e allo scambio di esperienze andati in onda ieri nel Workshop cross-regionale anche: Alessandro Andriani (Responsabile, UOC Ematologia, Frosinone), Massimo Annicchiarico (Direttore Generale Salute e Integrazione Sociosanitaria, Regione Lazio), Antonio Cuneo (Professore Ordinario di Ematologia, Università degli Studi di Ferrara; Direttore UO di Ematologia, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara), Antonio Giulio De Belvis (Direttore UOC Percorsi e Valutazione Outcome Clinici, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS), Ruggero De Maria (Professore ordinario di Patologia Generale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; Presidente, Alleanza Contro il Cancro), Rossana De Palma (Dirigente della Direzione generale Salute e Welfare, Regione Emilia-Romagna), Filippo Gherlinzoni (Direttore UOC Ematologia Ospedale Ca’ Foncello Treviso); Mauro Krampera (Direttore UOC Ematologia, AOUI Verona), Maurizio Martelli (Direttore UOC Ematologia, Policlinico Umberto I), Davide Petruzzelli (Coordinatore Nazionale F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche), Massimo Raponi (Direttore Sanitario, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù), Marco Ruggeri (Direttore UOC Ematologia, Ospedale San Bortolo Vicenza), Simona Sica (Professore Associato di Ematologia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata; Responsabile UOC Ematologia, AOU Policlinico Tor Vergata), Cristina Skert (Dirigente Medico, UOC Ematologia, Ospedale dell’Angelo, Mestre), Livio Trentin (Direttore UOC Ematologia AOU Padova), Daniele Vallisa (Direttore, Unità Operativa di Ematologia e Centro Trapianti Midollo Osseo, AUSL Piacenza; Referente Regionale, Società Italiana di Ematologia).
 
C.d.F.

14 ottobre 2021
© Riproduzione riservata

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