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Infezione da Clostridium difficile: il Bezlotoxumab riduce del 40% il rischio di recidive

di Maria Rita Montebelli

Lo dimostrano i risultati di due grandi trial internazionali di fase 3 (Modify I e II), pubblicati oggi sul New England Journal of Medicine. Si accende dunque una grande speranza nella lotta contro questo flagello delle corsie ospedaliere, ad alto rischio di recidiva. Solo negli Usa, nel 2011 si sono verificati 453 mila casi di infezione da Cl.difficile, 83 mila recidive e 15 mila decessi

26 GEN - Nei Paesi industrializzati è la causa più comune di diarrea infettiva tra i pazienti ricoverati e l’infezione da Clostridium difficile presenta frequenti recidive (in almeno il 35% dei casi) dopo il trattamento con antibiotici.
 
Le recidive rappresentano un problema nel problema perché oltre ad essere più difficili da trattare, generano la necessità di ricoverare di nuovo il paziente, hanno costi maggiori  ed hanno un esito in generale più negativo. Al momento non esistono terapie ufficialmente approvate per la prevenzione delle recidive di infezione da Cl. Difficile.
 
Gli anticorpi circolanti contro le tossine A e B del Clostridium difficile si sono dimostrati protettivi contro le infezioni primarie e le recidive. Per verificarne l’effetto nell’uomo sono stati organizzati due trial di fase 3 internazionali in doppio cieco e controllati versus placebo, i Modify I e II, che hanno vagliato l’effetto di questi anticorpi monoclonali contro le tossine del Clostridium difficile, allo scopo di prevenire le recidive con questa strategia di immunità passiva. A tale proposito sono stati studiati l’Actoxumab e il Bezlotoxumab, due anticorpi monoclonali completamente umanizzati che si legano e neutralizzano rispettivamente la tossina A e B del Cl. difficile.
 
Gli studi hanno arruolato in 30 diverse nazioni 2655 pazienti di età media 66 anni con infezione primaria o recidiva di Cl. difficile, trattata gli antibiotici standard of care (metronidazolo, vancomicina, fidaxomicina per 10-14 giorni) e con l’aggiunta di una delle quattro seguenti strategie (in unica somministrazione endovenosa della durata di un’ora circa): placebo per via endovenosa, Actoxumab endovena, Bezlotoxumab endovena, Actoxumab + Bezlotoxumab endovena.
 
Endpoint primario dello studio era la percentuale di pazienti con recidiva di infezione da Cl difficile, cioè con un nuovo episodio di infezione da Cl. difficile, dopo guarigione completa, nell’arco delle 12 settimane successive alla prima infezione.
 
A seguito dei risultati di un’analisi ad interim è stato interrotto il braccio di sperimentazione con Actoxumab, visto l’elevato tasso di recidive rispetto al gruppo trattato con l’associazione Actoxumab + Bezlotoxumab.
 
Nel trial Modify I la percentuale di recidive a 12 settimane tra i soggetti trattati con Bezlotoxumab è risultata del 17% contro il 28% del gruppo di controllo. Risultati molto simili sono stati ottenuti nel Modify II (16% versus 26%), mentre nel gruppo trattato con l’associazione Actoxumab + Bezlotoxumab la percentuale di recidiva è risultata pari al 15% nel Modify II e al 16% nel Modify I.
 
Gli effetti collaterali più frequentemente evidenziati in tutti i gruppi di trattamento sono stati nausea e vomito (presenti nel 5,9% dei pazienti di tutti i gruppi).
 
Gli autori concludono dunque che tra i pazienti sottoposti alla terapia antibiotica standard per Cl. difficile, la somministrazione di Bezlotoxumab da solo o in associazione con Actoxumab è in grado di ridurre i tassi di recidive di infezione da Cl difficile, rispetto al placebo. Il Bezlotoxumab ha un nuovo meccanismo d’azione che riduce il rischio di recidive di infezione da Cl.difficile, in particolare nei pazienti a maggior rischio di recidive (over 65, in trattamento con inibitori di pompa protonica, con infezione grave da Cl.difficile, insufficienza renale o necessità di terapia antibiotica per altre infezioni) .
 
“Il Clostridium difficile – ricorda l’editorialista John G. Bartlett, dipartimento di medicina dellaJohns Hopkins University School of Medicine (USA) – è stato individuato nel 1976 come agente causale della ‘colite da clindamicina’. Il lavoro, condotto su un modello animale, ha portato all’individuazione della tossina A (citotossina) e della tossina B (enterotossina), alla vancomicina orale come trattamento e al problema delle recidive”.
 
Nel corso degli anni l’infezione da Cl.difficile è diventata un ‘tormentone’ per gli ospedali di tutto il mondo, soprattutto a causa della diffusione del ceppo NAP-1 (ribotipo 027). Sul banco degli imputati come fattore favorente l’infezione c’è anche l’uso e l’abuso di antibiotici (in particolare dei fluorochinoloni e delle cefalosporine di seconda e di terza generazione), che rappresentano la principale causa di infezione da Cl. difficile.
 
Per avere un’idea dell’entità del problema, i CDC statunitensi fanno sapere che nel 2011 negli USA sono stati registrati 453 mila casi di infezione, 83 mila recidive e 15 mila decessi da Cl.difficile, per una spesa annuale pari a 40 miliardi di dollari.
 
La fidaxomicina, un antibiotico di recente introduzione, sembra associata ad un minor tasso di recidive e sono attualmente al vaglio degli studi clinici una serie di nuovi farmaci (ridinilazolo, surotomicina, cadazolid, RBX2660 e SER-109),  la somministrazione orale di ceppi di C. difficile non produttori tossine (con l’intento di farli ‘competere’ con i ceppi tossigeni) e tre vaccini a base di tossine A e B inattivate in formalina, tossine A e B ricombinanti, tossina ricombinante geneticamente modificata.
Nelle forme pluri-recidivate infine una strategia promettente è rappresentata dal trapianto fecale.
 
Il Bezlotoxumab è stato già approvato dal’FDA e sarà dunque presto a disposizione dei medici americani.
Sul fronte europeo, il 22 novembre 2016 il Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP) ha dato parere positivo al Bezlotoxumab.
 
Maria Rita Montebelli

26 gennaio 2017
© Riproduzione riservata

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