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Affetto da disfagia 1 italiano su 5 al di sopra dei 50 anni


Tuttavia, quasi il 95 per cento non è diagnosticato. Benché negli ultimi anni le branche mediche coinvolte direttamente nella valutazione e nella riabilitazione della patologia si siano molto evoluto, il problema rimane la segnalazione del paziente disfagico. Un questionario in dieci domande presentato nei giorni scorsi potrebbe fornire una soluzione al problema.

27 GIU - Il 20 per cento della popolazione italiana con più di 50 anni è affetto da disfagia, l’alterazione dei processi di deglutizione. Il disturbo è ancora più accentuato nelle persone anziane assistite a domicilio, fra i portatori di esiti di interventi chirurgici alla bocca e al collo e con patologia neurologica degenerativa. Tra le persone residenti in case di riposo ne è affetto tra il 40 e il 60 per cento. Il disturbo è poi particolarmente frequente nella popolazione con sclerosi multipla (tra il 33 e il 43%), in quella che è stata colpita da ictus (40-80%), nei malati di Parkinson (50-90%) e in quelli con sclerosi laterale amiotrofica (100%).
Nonostante ciò, la percentuale dei pazienti affetti da disfagia e non diagnosticati oscilla tra l’80 e il 95 per cento. 
È da questi dati che si comprende la necessità dell’identificazione precoce del paziente con disfagia: il disturbo presenta sintomi tipici (deglutizioni ripetute, colpi di tosse frequenti, tendenza a mantenere il cibo in bocca, dolore e fastidio a livello toracico, induzione al vomito), ma “la gestione della patologia è una pratica complessa, che richiede la presenza di un gruppo di lavoro interdisciplinare costituito da esperti con specifiche competenze ed esperienza: il medico curante del reparto, l’infermiere specializzato di reparto, lo specialista in logopedia, il foniatra, il nutrizionista, il neurologo, l’addetto alla cucina dietetica”, ha spiegato Fulvio Muzio, U.O. di Dietologia e Nutrizione Clinica all’ospedale Luigi Sacco di Milano. “È chiaro che non tutte queste figure professionali sono sempre presenti negli organici delle strutture sanitarie, pertanto ogni realtà dovrebbe approntare protocolli basati sulle proprie risorse, con l’obiettivo di identificare precocemente la disfagia”.
Un aiuto potrebbe venire da un questionario (Eat-10-Eating Assessment Tool) di autosomministrazione in dieci domande rivolte al paziente messo a punto da Nestlé Health Science. Il questionario, che può essere utilizzato sia in ambito ospedaliero sia ambulatoriale, è stato messo a punto da ricercatori statunitensi ed è in distribuzione a un vasto numero di medici e residenze sanitarie assistenziali. L’obiettivo è che la disponibilità di uno strumento di semplice utilizzo e standardizzato consenta di individuare con più tempestività i pazienti con disfagia. 
“Lo screening del paziente rappresenta oggi uno dei problemi principali nella gestione della disfagia”, ha commentato Antonio Schindler, foniatra al dipartimento di Scienze cliniche Luigi Sacco dell'Università di Milano. “Infatti, se nel corso dell’ultimo decennio si è assistito a un continuo sviluppo delle branche coinvolte direttamente nella valutazione e nella riabilitazione della disfagia orofaringea, rimane ancora aperto il problema della segnalazione del paziente disfagico. In altre parole, se si sono evolute e specializzate la foniatria e la logopedia per fornire servizi più adeguati al paziente disfagico, poco è stato fatto perché a foniatri e logopedisti venissero segnalati i pazienti disfagici o potenzialmente disfagici”.


27 giugno 2011
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