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Infarto. In un caso su cinque chi ha avuto il primo rischia il secondo. Ecco come evitarlo. Gli standard della Società europea di cardiologia

di Maria Rita Montebelli

Colpa dei troppi ‘buchi’ della prevenzione cardiovascolare, tanto nota quanto poco praticata. Di fronte a questi numeri gli esperti lanciano una call to action indirizzata ai medici perché dedichino tempo all’empowerment dei pazienti. L’80% degli infarti sarebbe evitabile smettendo di fumare, mangiando sano e facendo un po’ di sport. Ma in Europa, dopo un infarto, il 16% dei pazienti continua a fumare, il 38% è obeso, il 60% non fa attività fisica e uno su due butta via le medicine

10 SET - E’ di questi giorni la pubblicazione degli standard europei per prevenire una recidiva di infarto, firmati degli esperti della Società Europea di Cardiologia (ESC). Un atto dovuto per non distogliere l’attenzione da quello che continua ad essere uno dei principali problemi di salute pubblica: le malattie cardiovascolari e l’infarto in particolare.
 
“Una persona su cinque di quelle che sopravvivono ad un infarto – ricorda Massimo Piepoli del dipartimento di cardiologia Ospedale ‘Gugliemo da Saliceto’ di Piacenza, primo nome degli standard pubblicati online first su European Journal of Preventive Cardiology  - presenta un secondo evento cardiovascolare entro un anno dal primo, anche se in trattamento. Visti i numeri del fenomeno abbiamo ritenuto opportuno lanciare una call to action per ridurre questo rischio”.
 
Alla base di tutto, e non potrebbe essere altrimenti, gli esperti raccomandano di adottare un corretto stile di vita da integrare con terapie mediche ad hoc e un adeguato follow up.
Quattro le regole fondamentali dettate dagli esperti dell’ESC per ridurre il rischio di una recidiva: smettere di fumare, fare regolarmente attività fisica, consumare cibi sani, assumere i farmaci prescritti per la cardiopatia ischemica e per tenere sotto controllo fattori di rischio killer quali colesterolo e ipertensione.
 
“La cosa più importante nella prevenzione di un infarto sicuramente è smettere di fumare – afferma Joep Perk dell’ESC – Se poi a questo importantissimo passo si aggiunge la pratica regolare dell’esercizio fisico e una dieta salutare, si può arrivare ad evitare l’80 % degli infarti”.
 
Certo, non c’è nessuna verità rivelata in tutto questo, ma continuare a parlarne e a stressare l’importanza di questi pilastri della prevenzione ha un suo perché. Che per certi versi è veramente tragico e potrebbe essere riassunto nel concetto che tutti sanno cos’è la prevenzione, ma nessuno la fa. Come dimostrano i risultati dell’ultimo studio EUROASPIRE: dopo un infarto, il 16% dei pazienti continua a fumare, il 38% è nella fascia dell’obesità e il 60% non fa attività fisica. E dire che questi pazienti dovrebbero essere ben sensibilizzati all’argomento, avendo toccato con mano cosa significhi un infarto.
 
La responsabilità di questi comportamenti malsani naturalmente non è tutta dei pazienti, ammettono gli esperti. Solo metà degli infartuati viene avviata ad un programma di riabilitazione cardiaca e di questi solo l’80% vi partecipa effettivamente.
 
Un’altra nota dolente è quella della compliance al trattamento. “Un infarto rappresenta un’esperienza sconvolgente – ricorda Piepoli – eppure non sembra motivare i pazienti ad adottare uno stile di vita salutare per evitare di ricadere nel problema. Sappiamo ad esempio che metà di loro smette addirittura di prendere i farmaci dati in prevenzione secondaria”.
Una follia insomma e un’occasione persa per prendere veramente in mano la propria salute e salvarsi la vita.
 
La prevenzione di un secondo infarto dovrebbe iniziare già durante il ricovero in ospedale – ammoniscono gli esperti dell’ESC- e a questa andrebbe data la stessa importanza e priorità del trattamento dell’infarto iniziale. I pazienti dal canto loro non andrebbero abbandonati a se stessi dopo la dimissione ma indirizzati ad un ambulatorio di riabilitazione cardiaca  dove devono essere rinforzati i messaggi di un corretto stile di vita e incoraggiata la massima aderenza alle terapie.
 
I cardiologi, oltre a riaprire una coronaria bloccata da un trombo, dovrebbero anche individuare la presenza di fattori di rischio e spiegare ai pazienti cosa fare  per correggere le cattive abitudini che li hanno generati; se necessario dovranno prescrivere farmaci per ridurre pressione e livelli di colesterolo. Trascurare questi passaggi durante il ricovero, equivale a dare al paziente l’impressione che siano di importanza secondaria. Ed è solo grazie a questo processo di empowerment che i pazienti potranno assumere un ruolo centrale nel processo di guarigione e nella prevenzione di un secondo evento.
 
Nel mondo ogni anno si registrano 7 milioni di infarti, con tassi di mortalità ad un anno nel range del 10%. Tra i sopravvissuti, il 20% presenta un secondo evento cardiovascolare principale entro il primo anno. Il 50% circa degli eventi coronarici maggiori si verificano in pazienti dimessi con una diagnosi di cardiopatia ischemica.
 
Maria Rita Montebelli

10 settembre 2016
© Riproduzione riservata

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