Epatite C. Due molecole in una pillola, in dirittura di arrivo la nuova chance terapeutica per combattere la malattia
Studi clinici di fase 2 e 3 confermano efficacia e sicurezza dell'associazione grazoprevir/elbasvir in pazienti con genotipi diversi, compresi quelli con cirrosi, co-infezione Hiv-Hcv, insufficienza renale avanzata e precedenti fallimenti terapeutici. I dati presentati all’American Association for the Study of Liver Disease a San Francisco
17 NOV - Sempre più frecce in faretra per sconfiggere l’epatite C. Armi che avranno effetti positivi in pazienti “trasversali” con genotipi diversi e diverse necessità terapeutiche, inclusi quelli con cirrosi, con co-infezione Hiv-Hcv, con insufficienza renale cronica e in attesa di trapianto. In pazienti che hanno fallito i precedenti regimi terapeutici, anche con inibitori delle proteasi di prima generazione.
Le ulteriori chance terapeutiche per quanti convivono con l’epatite C, arriva dall’associazione fissa di due molecole, grazoprevir ed elbasvir, molecole di agenti antivirali diretti, (Direct Antiviral Agents) targati Msd. I punti di forza? Mono somministrazione giornaliera, libera da interferone e nella maggior parte dei casi anche da ribavirina, con cicli terapeutici di breve durata, maneggevoli e scarsamente tossici.
A puntare i riflettori sulla nuova opportunità terapeutica, confermandone il successo, sono studi clinici di fase 2 e 3 presentati al “The Liver Meeting” il congresso dell’American Association for the Study of Liver Disease (Aasld) ospitato quest’anno a a San Francisco. Studi che hanno mostrato un’elevata risposta virologica sostenuta raggiunta (Svr) che supera il 90%, dopo 12 settimane di trattamento nella maggior parte dei pazienti. Risultati che hanno permesso ai due farmaci di ottenere dalla Fda la designazione di terapia innovativa e, di recente, il via libera di Ema con procedura accelerata alla domanda di autorizzazione all’immissione in commercio.
Ma la ricerca non si ferma qui e all’orizzonte si stanno profilando molecole combinate in fixed dose a tre farmaci. Un regime semplificato con una pillola assunta una sola volta al giorno, senza ribavirina, ridotta tossicità, azione pangenotipica e minore durata di trattamento. Per arrivare, nel giro di pochi anni, come auspicano i clinici e i ricercatori, all'eradicazione totale del virus Hcv.
Nell’attesa di portare a casa nuovi risultati, poter contare oggi su una un “sodalizio” vantaggioso per i pazienti è sicuramente una “rivoluzione”.
“L’efficacia e la sicurezza di grazoprevir/elbasvir sono state investigate in tutte le categorie di pazienti, anche in quelli difficili da trattare – ha affermato
Savino Bruno, Professore straordinario di Medicina interna alla Humanitas University Medicine di Rozzano (Milano) – i risultati si riferiscono sia a pazienti naive, sia a pazienti non responsivi a precedenti trattamenti con peginterferone e ribavirina, sia a quelli che avevano fallito il trattamento con gli inibitori delle proteasi di prima generazione; a queste due ultime categorie apparteneva quasi la metà dei pazienti inclusi nello studio C-Edge. I risultati sono stati molto buoni, con alti tassi di risposta virologica compresi tra il 92% e il 97%, elevato profilo di sicurezza e maneggevolezza”.
E poi, come ha aggiunto Bruno, la possibilità di assumere una sola pillola al giorno, rispetto alle 2-8 pillole di altre terapie, è un enorme beneficio per il paziente e ne aumenta l’aderenza al trattamento. Inoltre la breve durata del ciclo terapeutico e l’efficacia della combinazione grazoprevir/elbasvir senza la necessità di associare la ribavirina consentono di eliminare gli effetti collaterali associati a questa molecola.
Ricadute positive si evidenziano poi nelle “special populations” gravate da co-infezione Hiv-Hcv che non rispondono ai trattamenti convenzionali e da insufficienza renale avanzata.
“Nei pazienti con infezione da Hiv il trattamento della patologia epatica Hcv correlata rappresenta un bisogno talvolta non procrastinabile – ha spiegato
Gloria Taliani, Professore Ordinario di Malattie Infettive alla Sapienza Università di Roma – l’associazione Grazoprevir/elbasvir ha mostrato un eccellente profilo di efficacia e di sicurezza nei pazienti coinfetti, garantendo una quota di successo terapeutico superiore al 95%, indipendente dalle caratteristiche demografiche, virologiche, dal trattamento anti-Hiv o dalla presenza di cirrosi. Il trattamento anti-Hcv è di grande importanza strategica anche nei pazienti con malattia renale cronica: uno studio di modeling matematico, basato su dati di storia naturale senza trattamento e su dati di efficacia di grazoprevir/elbasvir in pazienti con malattia renale cronica e infezione da Hcv genotipo 1, ha evidenziato una riduzione del rischio di incidenza di scompenso epatico nel corso della vita dal 22% al 3.8%, una riduzione del rischio di carcinoma del fegato dal 26% all’1%, un incremento dell’attesa di vita da 18 a 26 anni ed una riduzione della mortalità attesa per malattie di fegato dal 35.7% allo 0.3%”.
Uno dei problemi più frequenti delle nuove terapie per l’Hcv nel trattamento dei pazienti con coinfezione Hcv-Hiv è quello legato alla co-somministrazione di farmaci anti-Hiv e anti-Hcv, che espone a interazioni farmacologiche e a maggiore tossicità.
“Evitare la ribavirina, e la sua tossicità, senza perdere efficacia, è quello che i clinici auspicano, senza peraltro che questo sia oggi sempre possibile – sottolinea
Carlo Federico Perno, Professore di virologia all’Università Tor Vergata di Roma – gli studi clinici dimostrano che l’aggiunta di ribavirina non sembra aumentare ulteriormente l’efficacia, già piuttosto elevata, di grazoprevir ed elbasvir, soprattutto se il trattamento è mantenuto per un tempo congruo. Oggi i dati relativi all’efficacia di grazoprevir/elbasvir suggeriscono che potremo trattare la maggioranza dei pazienti senza l’uso di ribavirina e senza i suoi sgradevoli effetti collaterali. Con grazoprevir ed elbasvir si aprono nuovi possibili scenari di efficacia senza la tossicità della ribavirina e dell’interferone, anche per i pazienti più difficili della nostra pratica clinica”.
E per il futuro? La combinazione grazoprevir/elbasvir potrà evolvere nella “tripletta”, un regime a tre farmaci, costituito da molecole di nuova generazione, ancora in fase sperimentale, come MK-8408, un nuovo inibitore di NS5A, farmaco che sta mostrando, nei primi studi, potenza ed efficacia superiori ad elbasvir, e MK-3682, potente inibitore di nuova generazione della polimerasi NS5b di Hcv.
“Lo studio C-CREST, condotto su 240 pazienti con vari genotipi di Hcv – ha sottolineato
Antonio Craxì, Professore ordinario di Gastroenterologia all’Università degli Studi di Palermo – ha esplorato l’efficacia e la sicurezza della combinazione grazoprevir/elbasvir con un terzo farmaco, MK-3682. La tripletta, affrontando il virus in tre differenti siti di replicazione, ha raggiunto un’efficacia terapeutica piuttosto alta con la capacità di coprire tutti i genotipi di Hcv. In particolare, nel genotipo 3, che possiamo considerare la bestia nera di questa patologia, si è ottenuto il 90-91% di eradicazione di Hcv, una percentuale decisamente più elevata di quanto ottenibile da qualunque combinazione di Daa attualmente disponibile per l’uso clinico. Da segnalare altri due punti a favore della tripletta di Daa in questione: la combinazione funziona a livelli ottimali di risposta con cicli di 8 settimane di cura, dunque con una durata del 30% inferiore ai regimi di Daa attualmente impiegati; non viene più impiegata, nella tripletta come anche nella duplice combinazione grazoprevir/elbasvir, la ribavirina”.
17 novembre 2015
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Scienza e Farmaci