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Statine. Più si è a rischio di attacchi cardiaci più sono efficaci

di Viola Rita

Lo rileva uno studio che ha analizzato l'effetto delle statine in dieci anni di trattamento. Nei pazienti con una più forte predisposizione genetica a patologie cardiovascolari si ha una maggiore riduzione, pari al 48%, della probabilità di avere un attacco di cuore. Ma in ogni caso agiscono anche sui pazienti meno a rischio con percentuali di successo dal 13 al 29%

04 MAR - L’uso delle statine presenta dei benefici per la salute cardiaca che sembrano essere più o meno marcati non solo a seconda dei fattori di rischio tradizionali, quali l’età, il sesso, i livelli del colesterolo, la familiarità e la presenza di diabete, ma anche a seconda della predispozione genetica alle malattie cardiovascolari. Una nuova ricerca pubblicata* su The Lancet ha quantificato e stimato che i pazienti che trarrebbero il maggiore beneficio dall’utilizzo di statine sono infatti quelli a più elevato rischio genetico per queste patologie. Lo studio è stato condotto dalla Washington University School of Medicine, negli Stati Uniti, e si è basato su metodi statistici a partire da un campione di 49 mila persone arruolate in cinque studi.
 
“Il dibattito su quali individui dovrebbero ricevere una terapia con statine per prevenire un primo attacco di cuore è attualmente in corso”, ha affermato Nathan O. Stitziel, cardiologo e genetista (Genetica Umana) all’Università di Washington e primo co-autore del paper insieme a Jessica L. Mega, MD, del Brigham and Women's Hospital. “Alcuni sostengono che dovremmo trattare un numero maggiore di persone, mentre altri ritengono che ne dovremmo trattare meno. Come esempio di medicina di precisione, un altro approccio consiste nell’identificare le persone ad alto rischio e prescrivere loro la terapia con statine. La genetica sembra uno strumento valido per identificare i pazienti a maggior rischio”.
 
A partire dai dati combinati su 49mila persone, i ricercatori hanno osservato che il gruppo di persone con il più alto rischio hanno una probabilità aumentata del 70% di sviluppare un attacco di cuore rispetto ad una seconda categoria di individui con il rischio genetico più basso. 
 
La genetica, però, svolgerebbe un ruolo importante non solo nel determinare il rischio individuale ma anche nell’impatto della terapia sul singolo paziente: l’utilizzo di statine, infatti, sembra essere associato ad una riduzione del 13% del rischio di avere un attacco cardiaco nei pazienti a minore predisposizione genetica, percentuale che sale al 29% nella 'fascia genetica' intermedia e fino al 48% nei pazienti con massima predisposizione in tal senso.
Per ottenere i risultati odierni, i ricercatori hanno effettuato delle stime statistiche, calcolando il numero di pazienti che si devono porre sotto trattamento durante un periodo complessivo di 10 anni per evitare un attacco cardiaco: tra gli individui a più basso rischio, in 10 anni di trattamento con statine la percentuale di attacchi evitati è di uno su 57-66 pazienti, tra quelli a rischio intermedio di uno su 42-47, mentre tra gli individui a maggior rischio si arriva ad evitare un attacco cardiaco ogni 20-25 persone trattate.
Per studiare il rischio individuale, i ricercatori hanno analizzato 27 marcatori del codice genetico dei singoli pazienti ed hanno individuato un’associazione significativa tra queste parti di Dna e il rischio di una malattia cardiaca coronarica. Questi 27 marcatori non cambiano con l’età e con lo stile di vita: secondo i ricercatori, questo fattore elemento che il rischio genetico individuale potrebbe in futuro essere individuato molto presto.
“L’elenco dei marcatori genetici che abbiamo utilizzato fornisce una modalità per identificare I pazienti che presentano un rischio di base più elevato”, spiega Stitziel. “Questo dato è importante perché sembra essere indipendente dai livelli del colesterolo e da altri marcatori tradizionali della malattia cardiaca, che tipicamente vengono utilizzati per stimare il rischio”.
 
Il ricercatore sottolinea che questi risultati differiscono da quelli di studi precedenti, nei quali l’utilizzo di statine forniva la stessa riduzione del rischio (dal 30 al 45% a seconda del dosaggio) all’interno di tutte le categorie di pazienti, senza particolari distinzioni.
Gli scienziati, inoltre, sottolineano che sono necessari ulteriori approfondimenti per confermare questi dati. Anche se a livello statistico il beneficio sembra essere inferiore, gli esperti sottolineano che anche i pazienti con basso o medio rischio traggono vantaggio dall’utilizzo di questi farmaci.
Anche se questo approccio non è attualmente in uso, Stitziel indica che con ulteriori ricerche basate su questo modello di misurazione del rischio genetico si potrebbero ottenere risultati utili per valutare il livello al quale ogni singolo paziente potrebbe trarre vantaggio dalla terapia con statine.
 
Viola Rita
 
*Mega JL, Stitziel NO, Smith JG, Chasman DI, Caulfield M, Devlin JJ, Nordio F, Hyde C, Cannon CP, Sacks F, Poulter N, Sever P, Ridker PM, Braunwald E, Melander O, Kathiresan S, Sabatine MS. Genetic risk score, coronary heart disease events, and the clinical benefit of statin therapy: an analysis of primary and secondary prevention trials. The Lancet. March 4, 2015.

04 marzo 2015
© Riproduzione riservata

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