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Obesità: e se fosse tutta colpa degli antibiotici?


Dall’Nih americano quasi 7 milioni di dollari per uno studio che indagherà gli effetti dei farmaci sulla flora batterica.
L’obesità potrebbe essere la conseguenza di un indebolimento o dell’eliminazione di alcune specie batteriche fisiologicamente presenti nell’organismo. 

07 OTT - Al momento è soltanto un’originale ipotesi di lavoro. Che le alterazioni della flora batterica connesse all’uso di farmaci e ai cambiamenti che hanno rivoluzionato gli di stili di vita dell’umanità nell’ultimo mezzo secolo possano essere la causa (o una delle cause) dell’epidemia di obesità dilagante ormai in tutto il mondo.
Un’ipotesi su cui però i National Institutes of Health americani hanno puntato quasi 7 milioni di dollari (6,6 per la precisione) da ripartire in 5 anni.
Il beneficiario del finanziamento è un gruppo di studio del New York University Langone Medical Center guidato dal Martin J. Blaser, un microbiologo che indaga da 30 anni l’interazione tra batteri e organismo umano. “Il microbioma umano è stato selezionato e passato di madre in figlio perché i geni batterici sono utili”, ha spiegato Blaser.
I batteri presenti nell’organismo, il cui numero è dieci volte più elevato di quello delle cellule umane, interagiscono infatti con le cellule e con il sistema immunitario, svolgono funzioni essenziali nel metabolismo, espellono i patogeni, degradano le tossine, aiutano a digerire il cibo.
“Tuttavia - ha aggiunto il ricercatore - come risultato delle moderne pratiche - mediche e non - come la diffusione di antibiotici, il parto cesareo, l’uso di amalgama dentale o anche la pulizia costante e la disponibilità di acqua pulita, la trasmissione di questi microbi arcaici è cambiata. E questo ha delle conseguenze. Alcune sono buone, altre potrebbero essere cattive”.
Blazer fa l’esempio dell’Helicobacter pylori, il batterio che dà origine alla cascata di eventi che porta all’ulcera. H.pylori interagisce anche con le cellule neuroendocrine della mucosa gastrica che producono la grelina, il cosiddetto ormone della fame. L’ipotesi del team è che l’impiego degli antibiotici potrebbe avere comportato quasi la sua estinzione dall’organismo con conseguenze devastanti sull’equilibrio energetico.
A preoccupare i ricercatori è soprattutto l’impiego degli antibiotici fin dall’età pediatrica: “Vengono usati per trattare infezioni dell’orecchio e altri malanni. L’idea è che in alcuni casi piuttosto che aiutare possano rivelarsi dannosi”, ha proseguito il microbiologo. “Ma, se ciò avviene, quale antibiotico può arrecare danni? E quali sono le conseguenze non volute dell’uso o dell’abuso di antibiotici? Queste sono le domande a cui vogliamo rispondere”.
Il timore è che l’assunzione di antibiotici fin dalla tenera età possa interferire sullo sviluppo del microbioma con conseguenze permanenti. Ma per ora questa resta soltanto un’affascinante ipotesi.
Verrà verificata in quattro studi che saranno condotti sia sull’uomo sia sui topi. Due si concentreranno sull’H.pylori, uno sul contributo materno allo sviluppo del microbioma del bambino. Uno infine avrà ad oggetto una coorte di 10 mila donne olandesi in gravidanza e seguirà per i prossimi 5 anni i nascituri.
 
am
 
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07 ottobre 2010
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