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Occhi. ‘Mosche volanti’ per 8 italiani su 10


Il rischio di miodesopsie o corpi mobili vitreali è più alto per miopi, colpa anche dello smartphone e dei computer: la luce blu degli schermi potrebbe accelerare la degenerazione del corpo vitreo alla base del fenomeno.  Grazie a nuove tecniche di imaging che consentono di fotografare la retina in tutta la sua superficie, le ‘mosche volanti’ si possono finalmente visualizzare con maggiori dettagli e la diagnosi può essere più precisa e tempestiva

09 DIC -

Prima o poi capita quasi a tutti di vedere ombre o filamenti che fluttuano nel campo visivo: si chiamano miodesopsie o corpi mobili vitreali e sono immagini di piccoli corpuscoli che sembrano fluttuare davanti a noi. Per questo sono conosciute anche come ‘mosche volanti’ che alterano la nostra visione, spesso accompagnate da flash luminosi.

Secondo le stime riguardano fino al 76% della popolazione generale, con un rischio di circa 4 volte più alto in chi è miope. L’eccessivo uso dello smartphone e le lunghe ore passate di fronte agli schermi dei computer potrebbero non essere estranei all’ampia diffusione delle ‘mosche volanti’: stando ad alcune ipotesi la luce blu dei dispositivi elettronici potrebbe favorire la degenerazione del corpo vitreo alla base del problema, che spesso non ha conseguenze ma a volte è il primo sintomo di un distacco di retina.

“Le opacità del vitreo, percepite in genere come ombre o filamenti fluttuanti, dipendono da alterazioni nella struttura del corpo vitreo, la ‘gelatina’ che riempie l’interno dell’occhio e che è fondamentale per mantenerne la trasparenza e la stabilità meccanica – spiega Stanislao Rizzo, direttore del Dipartimento di Oculistica del Policlinico A. Gemelli IRCCS e ordinario di Oculistica presso l’Università Cattolica di Roma -. Con l’avanzare dell’età, o anche in presenza di miopia elevata, il corpo vitreo subisce una progressiva liquefazione e può distaccarsi dalla parte posteriore dell’occhio, due fattori che contribuiscono alla formazione delle ‘mosche volanti’”.

“Si tratta di opacità spesso innocue, ma si stima che nel 33% dei casi possano compromettere la visione e per esempio diminuire fino al 67% la sensibilità al contrasto - aggiunge Francesco Faraldi, Direttore della Divisione di Oculistica dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano Umberto I di Torino – Anche se l’acuità visiva non è compromessa, ciò comporta un drastico peggioramento della qualità di vita: i pazienti lamentano difficoltà visive e un impatto negativo su attività quotidiane come la lettura o la guida. Inoltre, non devono essere sottovalutate perché possono essere il primo segno di un distacco della retina”.

Fino a oggi la gestione dei corpi mobili vitreali è stata complicata anche perché non esistevano metodi standardizzati per documentarli e c’era un netto divario fra i sintomi riferiti dal paziente e ciò che l’oculista riusciva a osservare. Nuove tecniche di imaging stanno però finalmente cambiando la possibilità di diagnosi, come continua Daniela Bacherini, ricercatrice in Malattie dell'Apparato Visivo presso il Dipartimento di Neurofarba dell’Università degli Studi di Firenze: “Le tecnologie di imaging dinamico del vitreo e di imaging a campo ultra-largo (ultra-widefield) integrate con scansioni OCT consentono una visualizzazione più dettagliata di una struttura finora difficile da osservare, permettendo di analizzare con precisione la densità, la posizione e il movimento delle opacità vitreali. Le nuove tecnologie consentono di catturare dettagli tridimensionali e dinamici delle anomalie vitreali, migliorando significativamente la comprensione di ciò che i pazienti percepiscono come “mosche volanti”.

“Tutto questo consente di uniformare le valutazioni e migliorare le diagnosi, fornendo dati oggettivi che possono essere correlati ai sintomi riferiti dai pazienti, oltre che essere utili per strategie di trattamento più efficaci e personalizzate. Oggi la vitrectomia mini-invasiva rappresenta un’opzione per i casi più gravi”, conclude Rizzo.



09 dicembre 2024
© Riproduzione riservata

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