Attraverso un semplice tampone orale su alcune donne in gravidanza, un team guidato da Michael Skinner, della Washington State University, ha identificato un potenziale biomarker epigenetico per rilevare precocemente la preeclampsia, una condizione che spesso porta a parti prematuri. I risultati della ricerca sono stati pubblicati da Environmental Epigenetics.
Si stima che la preeclampsia causi circa l’8%-10% delle nascite pretermine. Il sintomo più evidente è rappresentato da un’elevata pressione sanguigna, che però si manifesta solo nel secondo trimestre di gravidanza. A volte la preeclampsia può passare inosservata fino a quando non diventa un’emergenza.
Lo studio
Il team della Washington State University, dopo il parto, ha prelevato cellule materne attraverso tamponi effettuati su 49 neomamme. Di queste, 13 avevano sofferto di preeclampsia e avevano avuto un parto prematuro. Il resto delle neomamme non aveva manifestato preeclampsia, anche se 23 avevano partorito prematuramente, mentre 13 avevano avuto regolari parti a termine.
I ricercatori hanno quindi analizzato le cellule per cercare eventuali modifiche epigenetiche. Il team ha scoperto, così, che le madri con preeclampsia presentavano 389 modifiche epigenetiche nelle aree di metilazione del DNA.
Queste modifiche non sono state riscontrate nelle madri senza preeclampsia. Inoltre, le modifiche si sovrapponevano solo per un 15% con l’epigenetica delle madri che avevano avuto un parto pretermine, ma non avevano ricevuto una diagnosi di preeclampsia. Questo aspetto ha fatto ipotizzare ai ricercatori che le modifiche epigenetiche fossero correlate in modo specifico alla condizione di preeclampsia.
“Avere un biomarker per la suscettibilità alla preeclampsia può aiutare a definire pratiche di gestione clinica nel primo trimestre e all’inizio del secondo, che potrebbero ritardare una nascita pretermine”, conclude Skinner.
Fonte: Environmental Epigenetics 2024
https://academic.oup.com/eep/article/10/1/dvae022/7877253