Italia prima in ricerca, ma i trapianti di isole non vengono rimborsati dal Ssn
20 OTT - Italia prima della classe nel mondo per la ricerca sulla terapia cellulare del diabete, ma situazione kafkiana per gli aspetti amministrativi. Il Drg per i trapianti di isole esiste ma non viene rimborsato. E questo penalizza anche l’assegnazione di fondi di ricerca internazionali.
Il punto della situazione dal Riccione, dal congresso Panorama Diabete della Società Italiana di Diabetologia, dagli aspetti amministrativi alle nuove frontiere della ricerca, con uno dei massimi esperti internazionali del settore
Lorenzo Piemonti, Coordinatore del Gruppo di Studio della Società Italiana di Diabetologia (Sid) ‘Medicina Rigenerativa in diabetologia’, membro del comitato scientifico della Sid e Deputy Director del Diabetes Research Institute dell’Irccs San Raffaele di Milano.
Panorama Diabete è un congresso dedicato agli aspetti pratici della gestione del diabete, con un occhio di attenzione rivolto alle conoscenze di frontiera come la medicina rigenerativa, dai trapianti di isole pancreatiche a quelli di staminali riservata a quelle forme di diabete difficilissime da controllare anche con le migliori terapie a disposizione. In questo settore la ricerca Italia fa scuola nel mondo. Ma non mancano i problemi sul fronte amministrativo. “Uno dei principali problemi del trapianto di isole – afferma Lorenzo Piemonti – è che c’è un’ampia eterogeneità nel riconoscimento da parte degli health care system. In Italia ad esempio il trapianto di isole non è proprio considerato; esiste un DRG ma senza corrispettivo economico. In altre parole non viene rimborsata né la procedura di isolamento, né quella di trapianto delle isole pancreatiche. Diversa invece la situazione in Inghilterra, Svizzera o Canada dove il trapianto di isole è riconosciuto e rimborsato; mentre in Francia e negli USA la procedura è in fase di approvazione (negli Usa è in dirittura d’arrivo lo studio registrativo di fase 3 CIT07)”.
In Europa questa materia viene dibattuta separatamente nei vari Stati, che procedono dunque a diverse velocità. In Inghilterra il Ministero della Salute attraverso il National Insitute for Health and Care Excellence si è già pronunciato in materia, la Francia lo sta dibattendo, in Italia non è ancora chiaro chi debba occuparsene, se lo Stato o le Regioni. “Tutto ciò dovrebbe essere motivo di riflessione – afferma Piemonti – pur essendo noi uno dei Paesi che in questo campo ha sviluppato e continua a sviluppare un’eccellenza scientifica e clinica (il San Raffaele è uno dei centri clinici con il più alto volume di trapiantati al mondo – quasi 200 pazienti trapiantati dal 1989), collocandoci tra il secondo e il terzo posto a livello mondiale come volume di trapianti e leader mondiali della ricerca, non abbiamo ancora la copertura economica per il Drg del trapianto di isole nella sua applicazione clnica. Questo tra l’altro ci penalizza anche molto nella competizione per l’assegnazione di fondi a livello internazionale. Se la Juvenile Diabetes Research Foundation, , una delle organizzazioni internazionali più importanti che finanzia i progetti di ricerca per il diabete di tipo 1, deve decidere se finanziare un progetto di ricerca sul trapianto di isole in Inghilterra o in Italia, sceglierà l’Inghilterra perché facendolo lì non dovrà supportare i costi della procedura, cosa che invece deve fare in Italia. Quindi a parità di capacità l’Italia risulta svantaggiata nelle competizioni internazionali rispetto a paesi come Inghilterra, Canada, Svizzera e presto anche Francia”.
Ma quanto costa un trapianto di isole? “Il problema – spiega Piemonti – non è quanto costa, ma come si pone rispetto al trapianto di pancreas, del quale è un’alternativa, come sanciscono le linee guida della Sid e di tutte le società che si occupano di terapia sostitutiva. Da un punto di vista del payer quindi il costo non potrà essere superiore a quello di un trapianto di pancreas che, a seconda delle Regioni, oscilla dai 14 ai 27 mila euro circa. L’indicazione al trapianto di isole o di pancreas è la stessa: il trattamento delle cosiddette ipoglicemie problematiche. Il trapianto di pancreas rispetto a quello di isole garantisce una maggior raggiungibilità dell’indipendenza dall’insulina nel tempo (essenzialmente perché vengono trasferite un maggior numero di isole nel trapianto di pancreas). Però il trapianto di pancreas ha lo svantaggio che, essendo una procedura chirurgica ‘maggiore’, è gravata da complicanze più importanti (mortalità e morbilità) rispetto al trapianto di isole (che si fa in anestesia locale). Quindi maggior efficacia per il trapianto di pancreas e migliore safety per quello di isole.
“Stiamo vivendo un periodo molto interessante – afferma Piemonti – che necessita di una elaborazione nuova dal punto di vista culturale, scientifico, regolatorio e amministrativo. Da questo è nata all’interno della Società Italiana di Diabetologia la necessità di costituire anche un gruppo di studio di medicina rigenerativa in diabetologia, proprio perché la posta in gioco è alta e qualificherà nel futuro sia la diabetologia che, più in generale, la capacità del nostro sistema Paese di poter essere tra i primi a lavorare su questa tipologia di approccio che contiene, almeno potenzialmente, possibilità terapeutiche importanti per diversi campi della medicina: dalla neurologia alla cardiologia fino alla diabetologia. La sostituzione della funzione delle cellule beta, per le sue caratteristiche intrinseche, in termini clinici potrebbe essere quello che arriverà al successo prima degli altri”.
Medicina rigenerativa in diabetologia, gli ultimi trend della ricerca
La ricerca sulla medicina rigenerativa applicata al diabete si muove attualmente su due grandi filoni: la terapia con cellule somatiche (trapianto di isole) e quella con cellule staminali (pluripotenti e riprogrammate).
• Terapia con cellule somatiche (prelevate da donatore d’organo)
Rientra nel filone del trapianto di isole pancreatiche e sta consolidando sempre più la sua presenza; i risultati clinici mostrano un lento ma costante miglioramento. Nei prossimi mesi sono attesi due appuntamenti importanti: la pubblicazione dello studio registrativo CIT 07 (Clinical Islet Transplantation Protocol) negli Stati Uniti e l’acquisizione dei risultati di uno studio su un inibitore dei recettori CXCR1/2, da utilizzare in aggiunta alla terapia immunosoppressiva nei trapianti di isole, per favorirne l’attecchimento.
Studio CIT07. E’ stato organizzato per ottenere il riconoscimento dell’Fda delle isole pancreatiche come ‘farmaco’ e quindi per poterle somministrate come state of the art del trattamento dell’ipoglicemia. Il CIT07 è uno degli studi organizzati da un consorzio, finalizzato, appunto, alla dimostrazione dell’utilità di questa procedura come standard di cura nei pazienti con ipoglicemia problematica, cioè con quelle ipoglicemie che non si riescono a mantenere sotto controllo in nessuna maniera, con le migliori terapie insuliniche che abbiamo a disposizione.
Studio sugli inibitori dei recettori CXCR1/2. Il prossimo anno arriveranno anche i risultati di un altro studio di fase 3 registrativo su una cinquantina di pazienti (indicazione rara per farmaco orfano), questa volta nato in Italia e sponsorizzato dalla Dompé. “È la prima volta al mondo – commenta Piemonti – che si fa uno studio con queste caratteristiche su trapianto di isole e un farmaco per favorire l’attecchimento delle isole al momento del trapianto. Il farmaco è un inibitore dei recettori (CXCR1/2) per le chemochine, sostanze che fanno migrare i globuli bianchi. E’ un anti-infiammatorio che dovrebbe potenziare l’effetto dei farmaci anti-rigetto, utilizzati in questi trapianti. Il disegno lo prevede come add on della terapia immunosoppressiva e non sappiamo ancora se consentirà di ridurre la stessa terapia immunosoppressiva o addirittura sostituirsi a questa”. E’ uno studio multicentrico internazionale (Europa e Nord America, doppio cieco, contro placebo) su un farmaco orfano, reso possibile dal fatto che la procedura del trapianto di isole è ormai molto standardizzata e motivato dal fatto che nel trapianto di isole ci sono degli unmet need farmacologici che vanno al di là dell’immunosoppressione classica.
• Terapia con cellule staminali
Periodo molto interessante questo per le cellule staminali, con la ricerca giunta finalmente, dopo grandi entusiasmi e grandi delusioni, ad uno stadio di maturità. Due i filoni principali: quello delle cellule staminali pluripotenti e quello delle staminali ‘riprogrammabili’.
Cellule staminali pluripotenti di derivazione embrionale. “Oggi siamo in grado differenziare, nell’arco di appena 2-4 settimane, cellule staminali pluripotenti in cellule produttrici di insulina – spiega Piemonti – ricapitolando così in un ristretto arco di tempo quello che avviene naturalmente nella vita intrauterina”. Un anno fa è stato approvato dall’Fda per la prima volta un trial clinico che utilizza queste cellule in pazienti diabetici di tipo 1. Il trial viene svolto in California per tutta una serie di motivazioni di geopolitica della scienza, in quanto la California è stato uno dei pochi Stati che non accettò l’embargo da parte delle autorità centrali sull’utilizzo delle cellule staminali pluripotenti. Due i punti forti di questa ricerca. E’ stato possibile ottenere cellule produttrici di insulina in modi qualitativamente e quantitativamente validi per poter essere impiantate in un soggetto con diabete. Ed è stato possibile farlo in assenza di immunosoppressione, perché le cellule sono state messe all’interno di un device che le protegge dal sistema immunitario e che consente anche di rimuoverle qualora ci fosse qualcosa che non va. Le cellule vengono impiantate nel sottocute della schiena. È uno studio di fase 1 (su quattro pazienti) al quale seguirà una fase 2 (su 28 pazienti) ed è mirato solo a dimostrare la sicurezza della procedura. Le cellule staminali pluripotenti usate per questa sperimentazione sono di derivazione embrionale. “Questo tipo di esperienza iniziata negli USA - anticipa Piemonti – potrebbe essere portata presto anche in Europa, all’interno di un progetto di Horizon 2020. I centri candidati dal punto di vista clinico sono l’Università di Bruxelles e il San Raffaele di Milano. “Il progetto – afferma Piemonti – è stato già approvato in Europa; appena verranno definiti gli aspetti regolatori, saremo in grado di partire. Il progetto europeo coinvolgerà qualche decina di pazienti”.
Cellule staminali ‘riprogrammate’. È una via che presenta vantaggi e svantaggi rispetto all’utilizzo delle cellule pluripotenti di derivazione embrionale. Permette di by-passare tutti i problemi etici perché si parte da una cellula somatica (un globulo bianco, una cellula della cute, una cellula di un tessuto maturo) che viene ‘convinta’ ad acquisire le caratteristiche di una cellula embrionale, diventando così pluripotente e in seguito ri-differenziata in quello che più serve. “Almeno a livello teorico – spiega Piemonti – qualsiasi tessuto potrebbe essere ricostruito in questa maniera. Ma il campo della diabetologia offre, rispetto ad altri tessuti dei vantaggi e quindi sarà uno dei primi campi nei quali verranno testate. Il vantaggio sostanziale è infatti che in diabetologia la correzione della funzione persa non necessita del network della struttura originale. Da qualunque parte del corpo vengano impiantate le isole pancreatiche (sottocute, omento, fegato o midollo) si mettono a svolgere la loro funzione endocrina, cioè rilasciano insulina in risposta ad elevate concentrazioni di zucchero nel sangue. Ci sono differenze, tra una sede d’impianto e l’altra, ma nel complesso il risultato finale è quello di rendere normoglicemico il soggetto trattato. Questo rende il diabete un campo di applicazione privilegiata per le terapie sostitutive”.
Ci sono molti metodi di riprogrammare le cellule e numerosi sono in questo momento gli sforzi a livello internazionale per arrivare ad ottenere delle Good Medical Practice (GMP) cioè delle cellule utilizzabili in clinica. Ancora non è stata individuata la strategia migliore. Il San Raffaele se ne sta occupando in collaborazione con il Roslin Institute (lo stesso dove è stata ‘fabbricata’ la pecora Dolly) scozzese. “Il punto delicato adesso, entrando in ballo aspetti regolatori e di brevettabilità – spiega Piemonti – è riuscire a fare tutto questo processo in maniera tale che sia compatibile con l’utilizzo nell’uomo. Il nostro istituto ha finanziato in proposito un programma quinquennale per arrivare ad avere una first in human, cioè per riuscire ad ottenere cellule di questo tipo utilizzabili nell’uomo. In questa corsa siamo in pole position a livello mondiale insieme al gruppo che fa capo a Daniel Pipeleers del Diabetes Research Center, Vrije Universiteit di Bruxelles”.
20 ottobre 2015
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