Gli studi di safety cardiovascolare per i nuovi farmaci anti-diabete
di Maria Rita Montebelli
09 GIU - Il diabete aumenta il rischio di complicanze macrovascolari, in primo luogo di infarti e ictus, tanto che sono proprio gli eventi cardiovascolari la principale causa di mortalità tra le persone con diabete di tipo 2, in particolare tra i più anziani. Le persone con diabete di tipo 2 hanno un rischio di infarto paragonabile a quello di chi ha avuto un pregresso infarto e anche un aumentata incidenza di scompenso cardiaco: nelle donne il rischio aumenta di 5 volte, negli uomini di 2,4 volte.
Trattare il diabete per ottenere un buon compenso glicemico protegge nettamente dalle complicanze micro-vascolari (che possono portare alla dialisi, alla perdita della vista o all’amputazione degli arti inferiori), ma solo in maniera modesta quelle macrovascolari (ictus e infarto).
Nel passato recentetuttaviasono stati sollevati dubbi sulla
safety cardiovascolare di alcuni farmaci utilizzati per il trattamento del diabete di tipo 2.Per questo, a partire dal dicembre del 2008, le agenzie regolatorie internazionali FDA ed EMA richiedono alle aziende farmaceutiche di sottoporre i nuovi farmaci anti-diabete, in fase di
post-marketing, ad una sorta di collaudo di sicurezza, che va sotto il nome di
trial di
safety cardiovascolare. Attualmente sono circa 200 mila nel mondo i pazienti coinvolti in questi
trial di sicurezza cardiovascolare riguardanti i nuovi farmaci antidiabete.
Questi studi vengono realizzati con un disegno di non-inferiorità, con l’intento di dimostrare che la sicurezza cardiovascolare dei nuovi farmaci anti-iperglicemici sia sostanzialmente sovrapponibile a quella del placebo, che è per definizione ‘sicuro’, in quanto privo di qualunque attività.
“Il paziente con diabete – ricorda il professor
Agostino Consoli, ordinario di Endocrinologia all’Università di Chieti - presenta un rischio di eventi cardiovascolari più elevato dei pazienti non diabetici ed è dunque fondamentale che i farmaci anti-diabetici siano sicuri dal punto di vista cardiovascolare.
Dal 2008 la FDA richiede che i farmaci anti-diabete dimostrino nei trial registrativi un livello di sicurezza cardiovascolare particolarmente elevato. Ma per fortuna, all’interno di questi trial, gli eventi occorsi sono molto pochi. Quindi, anche inserendo i dati di tutti questi
trial in una metanalisi, si otterrà un numero di eventi talmente piccolo, che renderà difficile avere una sicurezza statistica sufficiente. Insomma si avrà una stima del rischio comparato (farmaco
comparator o placebo,
versus molecola attiva), ma con degli intervalli di confidenza estremamente ampi, perché la numerosità degli eventi è veramente esigua. Un ampio margine di confidenza lascia comunque statisticamente un ambito inesplorato, un margine di ‘non so’. Di conseguenza la FDA ha deciso che quando il margine superiore dell’intervallo di confidenza del rischio supera 1,3 (che significa che a livello puramente teorico potrebbe esserci un aumento del rischio superiore al 30% usando quel farmaco) viene concessa l’immissione del farmaco sul mercato (se dai dati preclinici e dagli studi clinici non si vede nulla che faccia pensare all’esistenza di un pericolo), ma viene posto l’obbligo nell’immediato
post-marketing di fare un
trial di
safety cardiovascolare, cioè un
trial specificato apposta per dimostrare che la
safety del sitagliptin non sia inferiore a quella del trattamento con placebo.
Per poter completare un
trial di questo tipo in un tempo ragionevole e con una popolazione ragionevole (TECOS - lo studio di sicurezza CV con sitagliptin - ha studiato oltre 14 mila pazienti, che sono tantissimi) è necessario scegliere pazienti che abbiano di base un rischio abbastanza importante di sviluppare eventi. Così ci si può aspettare che nel corso del
follow up (più di tre anni nel caso del sitagliptin) si possa avere un numero di eventi tale, da consentire di calcolare la non inferiorità”.
Maria Rita Montebelli
09 giugno 2015
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