Tempi massimi per garantire le prestazioni di ricovero e ambulatoriali che se non verranno rispettati daranno la possibilità al cittadino di ottenere la prestazione in intramoenia pagando solo il ticket. E poi il rispetto dei tempi di attesa sarà tra gli obiettivi dei Dg che se non li raggiungeranno rischieranno la perdita del posto. Inoltre, in caso di superamento del rapporto tra l’attività in libera professione e in istituzionale sulle prestazioni erogate e/o di sforamento dei tempi di attesa massimi già individuati dalla Regione, si attua il blocco dell’attività libero professionale, fatta salva l’esecuzione delle prestazioni già prenotate. E ancora, agende trasparenti, potenziamento dei Cup e un Osservatorio a vigilare. Il tutto finanziato con 350 mln nei prossimi tre anni.
Sono questi i capisaldi del Piano nazionale delle Liste d'attesa 2019-2021 approvato oggi dalla Conferenza Stato Regioni dopo l'ok dei Presidenti questa mattina (
vedi sintesi completa in altro articolo). Nell'ultima versione approvata dai presidenti sono state accolte alcune modifiche tecniche richieste dalle Regioni evisione di alcuni codici di prestazione e maggiore discrezionalità nell’adozione di differenti modelli di governo clinico oltre al modello dei “Raggruppamenti di Attesa Omogenei –RAO).Ok dai presidenti delle Regioni al nuovo Piano nazionale delle Liste d’attesa e nel pomeriggio via libera in Stato Regioni.
E se il ministro
Giulia Grillo è entusiasta: “Finalmente adesso avremo regole più semplici e tempi certi per le prestazioni che riportano il diritto alla Salute e quindi il cittadino al centro del sistema”, (
vedi articolo a parte), i medici alzano le barricate: “Il (nuovo?) Piano Nazionale liste di attesa che oggi è all’esame della conferenza stato Regioni rappresenta un festival dell’ipocrisia”, commenta
Carlo Palermo, Segretario Nazionale Anaao Assomed.
“Regioni e Governo si autoassolvono dalla responsabilità politica e gestionale del mantenimento e dell’allungamento delle attese, sempre più lunghe, per le prestazioni sanitarie indicando, di comune accordo, nei medici dipendenti il capro espiatorio ideale e nella loro attività libero professionale intramoenia la causa da rimuovere nel caso, non improbabile, che non si rispetti il piano delle illusioni che hanno stilato, pretendendo di definire il fabbisogno di prestazioni a prescindere dalle risorse disponibili”.
“Insofferenti delle proteste dei cittadini, Governo e Regioni si auto-prescrivono la terapia miracolosa del blocco (sine die?) della attività libero professionale dei medici dipendenti in caso di sforamento (di quanto?) dei tempi di attesa massimi che hanno individuato. Contraddicendo se stessi, prevedono percorsi di tutela con il ricorso, in caso di mancato rispetto della tempistica, ad erogatori privati mentre bloccano, con la stessa motivazione, la attività libero professionale dei medici pubblici”.
“Perché, si sa, - prosegue Palermo - sono i medici pubblici a creare e mantenere le liste di attesa, per il proprio tornaconto. Non la carenza ormai strutturale di personale, che ha svuotato le corsie di 100000 medici negli ultimi 5 anni, non il taglio lineare di posti letto, che tra i 70000 evaporati ha fatto scomparire in primis quelli per i ricoveri in elezione, non il mancato acquisto di dispositivi medici per la attività chirurgica, fino alla chiusura programmata di interi reparti a fine anno, non la vetustà delle macchine diagnostiche che le tiene a lungo ferme per frequenti riparazioni. In questo modo le Regioni sottraggono alle loro asfittiche casse introiti pari a 1 miliardo e mezzo negli ultimi 5 anni ed ammettono il proprio fallimento organizzativo, cattivo viatico per una crescita delle autonomie. Il governo viola il suo contratto di nascita che al capitolo sanità indica la soluzione al problema in un piano assunzioni, di cui non c’è traccia in alcuno dei provvedimenti assunti. San contratto vale, evidentemente, per la Tav e le autonomie, non per le attese dei cittadini, cui si preferisce additare colpevoli piuttosto che soluzioni. Lo stesso finanziamento della legge di bilancio si rivelerà illusorio perché destinato a soggetti che, notoriamente, non eseguono prestazioni”.
“Si tradisce così – conclude Palermo - il senso e lo spirito del patto che i medici avevano siglato con lo stato attraverso la L.229/99, spingendoli ad uscire dagli ospedali per recuperare autonomia professionale e reddito. Dopo avere messo in naftalina il rinnovo del CCNL, Governo e Regioni sferrano un altro attacco a medici e dirigenti sanitari dipendenti. Un film già visto. Non c’era proprio bisogno del governo del cambiamento per riproiettarlo. Nessuno si illuda, però, che noi rinunciamo a difendere un diritto dei medici e dei cittadini”.
Critiche anche dalla Cimo. “L’approvazione del nuovo Piano nazionale di governo delle liste d’attesa (PNGLA) – si legge in una nota - prevista oggi a valle del parere favorevole espresso dalla Commissione Salute delle Regioni, cerca di dare risposte concrete ai bisogni dei cittadini maè l’ennesimo sforzo di pura teoria che non affronta il nodo reale della questione e che, se si blocca la libera professione, aumenterà i tempi per le prestazioni”.
“Le liste di attesa - ricorda CIMO - nascono a causa dei ridotti finanziamenti sulla sanità e sul personale, che alimenta la carenza di medici specialisti a disposizione, e il concomitante aumento del fabbisogno di cure, che andrà crescendo stante il trend di invecchiamento della popolazione e l’evoluzione delle tecnologie diagnostiche. Anche se la libera professione verrà concessa come opzione straordinaria, è prevedibile che la stessa diventi cronica. Considerare che le prestazioni libero professionali a favore dell’Azienda rappresentino – come cita il PNGLA - uno strumento “eccezionale e temporaneo per il governo e il contenimento dei tempi d’attesa”, appare del tutto irrealistico sia per la mancanza delle necessarie risorse economiche ma, soprattutto, per l’attuale grave carenza di personale medico”.
“Se – prosegue il sindacato - , come richiede il PNGLA, l’obiettivo è allo stesso tempo di garantire tutte le prestazioni sanitarie (in tempi accettabili) e di contenere gli oneri a carico dei bilanci delle Asl”. Come CIMO “ci domandiamo come possa riuscire un tale gioco di prestigio dato che l’attuale finanziamento dei LEA è del tutto insufficiente al reale fabbisogno di cure. E dato che il PNGLA prevede che ciascuna Azienda possa provvedere alla definizione di eventuali fabbisogni di personale e di tecnologie in relazione all’obiettivo della riduzione dei tempi di attesa, come potrà farlo se il limite per la spesa del personale rimane non solo bloccato a quello del 2004, ma decurtato di un ulteriore 1,4%?”
“A questo interrogativo – conclude la nota - si aggiunge quello sulla effettiva destinazione d’uso dei proventi aziendali ricavati dalla libera professione, il cui utilizzo doveva già da tempo essere funzionale a interventi per la riduzione dei tempi di attesa e non certamente a generici risparmi aziendali. Solo tra il 2010 e il 2016 le aziende hanno incassato per sé dall’esercizio della libera professione ben oltre 1,2 mld, un vero e proprio “tesoretto” con cui si sarebbe dovuto e potuto mettere seriamente mano ai problemi che l’attuale PNGLA cerca di risolvere. Eppure (guardacaso!), ad oggi non sempre si ha la rendicontazione trasparente circa l’utilizzo di tali proventi da parte delle aziende”.