Gentile Direttore,
ho letto quanto ha dichiarato il Ministro Schillaci, intervenendo alle celebrazioni per il trentesimo anniversario di Agenas. Ancora una volta, come già avvenuto precedentemente, la carenza di infermieri – ormai grave, gravissima in alcuni settori- è richiamata, e viene indicato il ricorso a personale di formazione e cittadinanza estera per superare la crisi.
Non è certo colpa dell’attuale Ministro se ci siamo trovati, dopo un ventennio di scarsissima attenzione politica sulla questione infermieristica, in questa situazione e credo personalmente che, vista la scarsa richiesta di partecipazione al corso di laurea, non resti purtroppo molto altro da fare nell’emergenza (cfr Angelo Mastrillo, ‘’Dati sull’accesso ai corsi e programmazione dei posti nell’ A.A. 2022-23’’ : numerose sedi ricevono domande inferiori ai numeri messi a disposizione).
Le varie proposte alternative (maggiore riconoscimento agli infermieri, di carriera ed economici) per restituire attrattività alla professione restano ben poco raccolte, ed eccoci quindi a varare provvedimenti d’emergenza assoluta.
Quello che però ritorno – ancora una volta- a ricordare è che questo Paese, dopo un difficile inizio, si era già dotato di regole di sicurezza per ‘’verificare’’ le possibilità dell’esercizio in Italia, per un professionista di formazione straniera: in particolare, due erano i passaggi fondamentali, oggi rimossi, visti i Decreti emergenziali prodotti dal Governo Conte II.
Il primo, era il riconoscimento del titolo straniero da parte dei competenti uffici del Ministero della Salute (https://www.salute.gov.it/
Dunque, quell’ ufficio da anni verifica la congruità del titolo proposto, e lo ammette all’esercizio nazionale, oppure indica al titolare quale percorso di studi integrativi deve effettuare, per poter arrivare al criterio di ‘’riconoscimento’’.
A questo punto, riconosciuto il titolo, l’Ordine provinciale competente per territorio esamina la conoscenza della lingua, in particolare: questo perché lavorare in un Paese senza conoscere bene la lingua del posto sinceramente è un problema serio (ho personalmente vissuto questa esperienza da cooperante internazionale, in una missione sanitaria in Egitto, qui già ricordata mesi fa).
Ora: chiunque si trovi a produrre un parere scientifico sul Rischio Clinico indica la comunicazione come la prima causa di insorgenza degli errori in sanità: riusciamo, finalmente, a capire che la sicurezza non è di destra, di sinistra, di centro, anarchica, ma è una esigenza che va ben oltre il Covid, e oltre la carenza di figure professionali?
Riusciamo a comprendere che chiedere di verificare se un sanitario straniero ha i requisiti per esercitare la propria professione in Italia non è razzismo, ma ricerca di sicurezza e di professionalità?
Nel marzo 2020 il Governo Conte II , siccome siamo in piena pandemia, vara il decreto che elimina queste due verifiche (del titolo, e della lingua) per incorporare nel nostro servizio sanitario (ma non nel Pubblico…) questi operatori stranieri: i Governi seguenti (Draghi, e Meloni) hanno confermato tale disposto, e oggi questa eccezione vale fino a fine 2025; sinceramente, è giunto il momento di tornare adesso alle origini, verificando e i titoli in possesso, e la conoscenza della lingua, quella stessa che parla il malato quando chiede assistenza, e che usa l’assistito quando spiega un problema.
Aggiungo, e chiudo, che a tutti i professionisti sanitari (italiani e non) oggi iscritti agli Ordini professionali si chiede il rispetto di numerose normative nell'interesse dei cittadini: dagli aspetti deontologici all’obbligo del domicilio digitale, dalla partecipazione alla formazione continua (programma nazionale ECM), alla rintracciabilità (cfr L.3/2018 e altre).
Tutte questioni del tutto ignote , ed ignorate, per quel personale straniero non iscritto ad alcun Ordine, che sovente lavora fianco a fianco con i colleghi iscritti, chiamati al rispetto di queste norme che esistono per tutelare i cittadini: quindi, come tutelare il cittadino di fronte a queste eccezioni?
Nell’interesse di tutti, anche di questi operatori esteri, va considerata nell’arrivo di personale straniero prima di tutto la sicurezza, attraverso quelle condizioni – semplici, logiche- che esistevano da anni: verifica del titolo e della conoscenza della lingua; come peraltro proseguono a fare gli altri Paesi sovrani, anche verso i nostri professionisti.
Francesco Falli