La stabilizzazione dei precari del Covid. Chimera o realtà?
di Pierino Di Silverio
05 NOV -
Gentile Direttore,
il Consiglio dei ministri, secondo notizie che si sono rincorse negli ultimi giorni, ha dato il via libera alle Aziende per la stabilizzazione del personale sanitario assunto durante la pandemia COVID. Se da un lato la notizia non può che rallegrarci in quanto primo chiaro segnale di riconoscenza per gli operatori sanitari coinvolti in questa lunga e faticosa pandemia, dall’altro desta alcuni interrogativi non di poco conto.
Tra gli oltre 33.000 operatori sanitari coinvolti durante il COVID ben 21.414 erano medici. Il 70% di questi assunti con contratti atipici e sforando le dotazioni organiche.
Non esistendo a oggi una norma che renda possibile un percorso lineare di stabilizzazione, ci chiediamo come verranno stabilizzati i colleghi? Inoltre, a carico di chi saranno i costi di eventuali stabilizzazioni? È vero che per il fondo sanitario sono stati stanziati 2 miliardi annui per i prossimi tre anni, ma basteranno a sopperire alle esigenze di un sistema sanitario che oggi, dopo la lunga guerra non ancora terminata, è alle prese con ferite molto profonde?
Speriamo che si trovi il metodo giusto non solo per riconoscere ai colleghi il lavoro svolto, ma anche per porre fine a un precariato che, prima del COVID era limitato a sparute sacche, e che la pandemia ha riportato prepotentemente alla ribalta.
La sanità, ormai almeno questo è diventato un mantra comune, non può essere precaria, non può essere considerata un costo, ma necessita di investimenti consistenti e soprattutto di lungo termine.
Lo stanziamento economico di 2543 milioni di euro complessivi per la formazione assicurerà in maniera strutturale 12000 contratti di formazione specialistica all’anno che, se porranno fine all’imbuto formativo combattuto da anni non sono esenti da negativi effetti collaterali.
Senza una corretta programmazione delle esigenze del territorio e delle strutture ospedaliere, senza una attenta rivalutazione delle dotazioni organiche, regaleremo specialisti formati all’estero o, ancor peggio, vedremo il formarsi di un imbuto lavorativo. Il rischio è quello di creare dei disoccupati di lusso, mentre al contempo, molte borse di specialità vanno già oggi perse in quanto relative a discipline poco attrattive per i colleghi ma molto ricercate dal sistema.
Pensiamo alla medicina d’urgenza in cui il 30% dei contratti oggi non trova un assegnatario, o all’anestesia e rianimazione, o alla patologia clinica.
Occorre in definitiva saper interpretare i segni che il nostro sistema formativo e sanitario ci invia quotidianamente.
La carenza di medici d’urgenza, il crollo vocazionale verso settori una volta allettanti e ricercati come la chirurgia o l’anestesia, ci deve far riflettere sulle condizioni di lavoro e sulle possibilità di carriera che oggi non soddisfano più molti colleghi.
Probabilmente l’inquadramento stesso del medico di oggi rappresenta un vulnus per chi questa professione è convinto di scegliere in giovane età e magari ci ripensa mentre cresce e conosce la professione in Italia.
Ricordiamo che solo negli ultimi due anni ben 1500 colleghi hanno scelto di abbandonare il nostro paese per le condizioni di lavoro disastrose, per la scarsa sicurezza personale e professionale, per la scarsa gratificazione economica.
È urgente rivalutare le condizioni di lavoro, le piante organiche, i luoghi di lavoro, le condizioni economiche e le condizioni legislative del medico in Italia.
Tutti fattori che contribuiscono a determinare ed esacerbare la crisi vocazionale e la scarsa appetibilità del sistema pubblico di cure da parte degli operatori.
È tempo di scelte coraggiose, e francamente una minima rivisitazione del DM 70/2015, che ha contribuito a una preoccupante e pericolosa contrazione della erogazione di cure, non può essere la risposta.
È di assoluta necessità aprire la discussione del nuovo contratto, per il quale andranno ricercati finanziamenti aggiuntivi per rendere certo un miglioramento delle condizioni di lavoro, e continui con la modifica dell’impianto legislativo con la previsione concreta di aumento della occupazione.
Chiediamo con forza rispetto del ruolo e autonomia professionale e non ci fermeremo di fronte a un diniego per ragioni economicistiche. Perchè … ‘la sconfitta non è un’alternativa per il medico. Per fare il nostro lavoro non possiamo credere che la sconfitta sia un’opzione’.
Pierino Di Silverio
Responsabile Nazionale Anaao Giovani
05 novembre 2021
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