Covid. Noi, case di cura e ospedali regligiosi, ci siamo
di Virginio Bebber
06 NOV -
Gentile Direttore,
vorremmo esserci. Vorremmo poter far parte di quell’esercito schierato per fronteggiare il nemico comune che, mai scomparso dalla linea di fuoco, sta sferrando un nuovo drammatico assalto e miete, ogni giorno che passa, sempre più vite umane. Ma abbiamo paura di non poterlo fare perché chi muove le fila strategiche per un’efficace risposta sul campo, va avanti come se non esistessimo. Il mio vuole essere un grido d’allarme sulla tenuta delle strutture socio-sanitarie private no profit di fronte all’impatto con la nuova ondata pandemica.
Giustamente si stanno dando un gran da fare per riaprire ospedali improvvisati, allestire tendoni per accogliere pazienti, assumere altro personale medico e paramedico, dotare le strutture pubbliche di nuovo materiale tecnologico e quant’altro. Continuano a parlare di miliardi di euro messi sul tavolo per la sanità e certo da qualche parte questi soldi arrivano e finiscono.
C’è da chiedersi, fino a che siamo in tempo per farlo, se questi soldi vengano impiegati per coprire effettivamente il fabbisogno di tutto il territorio. I dubbi nascono da quel clima di “demonizzazione del privato” che sembra diffondersi nel Paese ogni volta che si cerca di porsi su un piano paritario di diritti e doveri tra due componenti importanti quanto reali nella dinamica societaria di un Paese, il pubblico e il privato.
L’esperienza ci ha mostrato spesso e proprio in momenti come questo, come l’uno abbia bisogno dell’altro per servire nel miglior modo possibile la causa comune. Eppure si stanno dimenticando, ancora una volta, della potenzialità che potrebbero rappresentare le decine e decine di migliaia di posti letto disponibili nella sanità privata accreditata. Solo le nostre strutture ARIS contano ben oltre 30 mila posti letto in circa 270 strutture, molte delle quali riconosciute eccellenze a livello nazionale ed internazionale.
Basta pensare alla Fondazione Policlinico Agostino Gemelli, nostro associato, oggi seriamente in difficoltà davanti alla necessità di offrire nuovamente al servizio sanitario pubblico il riconosciuto prezioso contributo dato in occasione della prima ondata. E se va in sofferenza un gigante simile figuriamoci cosa può accadere in realtà diverse. Siamo stati tutti in prima linea nei mesi difficili e ci è costato tantissimo; eppure, a parte qualche laconico riconoscimento, ci siamo dovuti subire gogne mediatiche, esposti come belve affamate pronte a succhiare denaro pubblico in cambio di nulla”.
Come tutto il Paese abbiamo sofferto e pagato prezzi altissimi in termini di vite umane sacrificate; ma a nessuno è venuto in mente di pensare che alle spalle non abbiamo avuto altri se non le nostre congregazioni, i nostri enti religiosi che non hanno esitato a rispondere “pronti” ai pur tardivi appelli. Ci hanno messo del loro, di quello che hanno potuto realizzare con il lavoro quotidiano di migliaia di persone; poi quel lavoro quotidiano ce lo hanno bloccato, chiudendo così l’unica fonte di sostentamento.
Abbiamo messo a disposizione, strutture, posti letto, medici, personale paramedico, persino volontari. Ancora non abbiamo ricevuto un benchè minimo compensamento. Per di più ci hanno indotto al rinnovo del contratto per il nostro personale, lecito e giustissimo ma difficilmente sostenibile in questo momento di crisi profonda, illudendoci con una compartecipazione al 50% delle regioni, cosa che, per molte regioni, è ancora al di là da venire. Abbiamo chiesto spiegazioni e aiuto a tutti, dal Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute, al Presidente della Conferenza delle Regioni. Siamo ancora in attesa.
Come potremmo essere ora in grado di sostenere questa seconda ondata dell’emergenza sanitaria al fianco e in supporto al pubblico? Dove sono i fondi messi a disposizione per riconvertire strutture o anche solo reparti covid per terapie subintensive, per terapie intensive, rianimazione? Come difendere le Rsa? E dove sono i ristori stabiliti, le funzioni covid riconosciute, i drg covid concordati? Sono promesse che non ci riguardano?
Noi vorremmo esserci. Ma è chiaro che non ce la possiamo fare se continuano ad ignorarci. E a rimetterci saranno purtroppo ancora una volta i malati. Già si parla di “selezione” tra gli infettati da salvare e non è detto che questa pratica inumana non sia già subdolamante entrata in qualche protocollo assistenziale.
Vorremmo esserci e ci saremo. Ma alla fine il prezzo da pagare sarà alto, molto alto se qualcuno non si accorgerà finalmente che esistiamo e che abbiamo, con i doveri, almeno gli stessi diritti del servizio pubblico che supportiamo. In fondo cerchiamo solo di essere ascoltati, senza pregiudizi, e di essere messi nelle condizioni di poter essere utili al Paese.
Virginio Bebber
Presidente ARIS
06 novembre 2020
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