Se non c’è accordo sul fine vita, ci sia almeno sul doveroso controllo della sofferenza
di Marco Ceresa
28 SET -
Gentile direttore,
la sofferenza incontrollata può divenire intollerabile e porta di per sé spesso al pensiero di suicidio come rimedio (purchè “finisca ciò che è intollerabile”), anche quando non è in corso una malattia inguaribile e/o in fase terminale. Ciascun malato, anzitutto, dovrebbe e potrebbe effettuare le proprie scelte, piccole o grandi che siano, il più possibile libero dall’afflizione di una sofferenza totalizzante.
Credo quindi che, al di là delle travagliate vicende italiane, sia auspicabile per ciascuno, ma in particolare per coloro che si trovano ad essere pazienti sofferenti, per i loro familiari ed anche per gli operatori sanitari a loro vicini, che si sappia presto affrontare concretamente, senza pretestuose divisioni, la tematica dell’effettivo sollievo della sofferenza all'interno delle strutture sanitarie (e non solo).
Tale tematica, che dovrebbe essere scevra da divisioni di parte, andrebbe però risolta dapprima a livello normativo,
dando finalmente dignità regolamentare fattiva ed attuativa a quel grande atto di civiltà che è stato il porla quale Livello Essenziale di Assistenza, grazie soprattutto all'art 38 comma 2 del dpcm 21.01.2017 (secondo il quale la Terapia del Dolore e le Cure Palliative devono essere garantite anche durante il ricovero ospedaliero, momento fondamentale in cui il sofferente può essere inizialmente intercettato e trattato per poi essere seguito con rinvio ai centri specialistici).
Il sollievo della sofferenza dovrebbe davvero interessare tutti, anche perché, purtroppo, prima o poi nella vita potrebbe accadere a chiunque di incorrervi, essendo comune a molti eventi patologici diversi, non per forza vicini alla fine della vita. Eppure questa problematica è spesso largamente disattesa, mentre dovrebbe trovare facilmente accordo comune a differenza di tematiche maggiormente divisive quali quelle attinenti al fine vita, che pur necessariamente da affrontare, riconoscono posizioni diverse nella società e nelle parti politiche.
Il grande problema del dolore, ma anche della sofferenza in generale, consta certamente nell’essere correlati a percezioni strettamente individuali nei livelli di intensità ritenuti accettabili o meno, risultando di fatto ancora impossibile una oggettivazione indipendente dal vissuto personale,
come invece accade per larga parte degli altri eventi patologici, ben quantificabili con analisi oggettive e quindi indubitabilmente riconosciuti ed affrontati dalla medicina; ciò può produrre come intuibile un significativo misconoscimento della problematica in sé e della sua reale diffusione.
Tale misconoscimento in effetti si riflette nella scarsa disponibilità di dati relativi ai trattamenti antalgici. Ricerche risalenti ad alcuni anni or sono evidenziavano la presenza di dolore rilevante nel 40% dei pazienti ricoverati (
la ricerca FADOI), eppure la relazione al parlamento nel 2018 sullo stato d’attuazione della legge 38/2010 ha dovuto ammettere: “al momento attuale, è assai difficile fornire evidenze in merito all’effettiva attuazione della legge n. 38/2010 in materia di terapia del dolore” (
pag 46).
Ciò è indicativo quanto meno di scarsa od incostante attenzione effettiva alla problematica, nonostante il fatto che sin dal 2001 sia stata impostata dall’allora ministro Veronesi la “
normativa sull'Ospedale Senza Dolore”, quindi dal 2010 la legge 38 abbia reso obbligatoria la rilevazione del dolore e la sua annotazione, unitamente ai trattamenti attuati, in documentazione clinica ed infine i LEA del 2017 ne abbiano sancito l’essenzialità del trattamento anche durante i ricoveri ospedalieri.
Ad essere incompleto però è lo stesso processo normativo, infatti sarebbe necessaria almeno la corretta ricaduta regolamentare del principio sancito dall’art 38 comma 2 dei LEA, ottenibile con quello che dovrebbe essere semplicemente un atto dovuto ancora incompiuto, ovvero l’aggiornamento del Regolamento degli Standard Ospedalieri, ora fermo ancora al DM 70/2015 attualmente incongruente appunto con i LEA citati, anzitutto per l’omessa presenza delle Cure Palliative fra le discipline ospedaliere.
Si ricorda che in relazione a questi temi risultavano presentate nella passata legislatura numerose mozioni parlamentari, da parte di gruppi politici diversi, a testimonianza dell’interesse ubiquitario della tematica, fra le quali dapprima quella a firma dell’on Vargiu, quando era presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, quindi quelle a firma dell’On Brignone e Civati ed infine quella a firma dell’On Pollastrini e Miotto.
Ci si augura quindi che si voglia affrontare concretamente questa tematica che attiene in modo preminente al miglioramento della Qualità di Vita dei malati e dei loro familiari, essendo la sofferenza, al di là del tipo e della fase di malattia, uno dei maggiori elementi disturbanti che potrebbe essere certamente trattabile peraltro senza significativi aggravi di spesa, ma anzi anche con intuibili risparmi diretti ed indiretti, sia nella spesa sanitaria che di sistema (ad es. evitamento di successivi ricoveri correlati a stati di sofferenza recidivante non controllata, riduzione delle assenze dalla attività lavorativa, ecc. ).
La speranza è che si voglia attuare una sanità aderente anzitutto ai bisogni fondamentali dei malati, fra i quali vi è senz’altro la necessità di risoluzione celere degli stati algici.
Marco Ceresa
Medico operante in Cure Palliative e Terapia del Dolore
28 settembre 2019
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore