Alcuni spunti di riflessione sulla Sindrome da sensibilità chimica multipla
di Gesualdo M. Zucco
17 MAG -
Gentile Direttore,
ho letto con interesse l’articolo apparso recentemente sulla rivista da Lei diretta, relativo alla
Multiple Chemical Sensitivity (ovvero, l’intolleranza a sostanze chimiche ambientali, nota anche come Idiopathic Environmental Intolerance e più recentemente come Toxicant induced Loss of Tolerance nella ampia letteratura anglosassone).
Concordo con quanto argutamente espresso dall’autore dell’articolo e mi piacerebbe aggiungere alcuni spunti di riflessione oltre che presentare sinteticamente i risultati di un mio studio sul questo tema, condotto in collaborazione con due colleghi rispettivamente dell’Università di Padova (Professor
Carmelo Militello, Dipartimento di Chirurgia e Gastroenterologia) e dell’Università della Pennsylvania (Professor
Richard Doty, Centro per lo studio dei disturbi olfattivi e gustativi).
La MCS è un disturbo di certo controverso e fortemente invalidante. Il paziente riporta un’ ampia gamma di sintomi (come se un vaso di Pandora si fosse aperto) che spaziano da quelli più squisitamente neurovegetativi (e.g., tremolio, sudorazione, tachicardia, tensione muscolare), a quelli fisici (e.g., nausea, capogiri, cefalee, vomito, disturbi alle vie aeree superiori, irritazioni a occhi, naso, gola) e cognitivi ed emotivi (e.g., ansia, depressione, difficoltà di concentrazione e nello svolgere compiti che richiedono memoria e attenzione).
Vi sono, comunque, dei criteri operativi che consentono di definire al meglio la sindrome e sono quelli inizialmente proposti da Cullen nel 1987.
Aggiungerei a quanto correttamente riportato nel vostro contributo, che Cullen oltre agli aspetti già menzionati (i.e., disturbo acquisito, più di un organo bersaglio della sindrome, risposta sproporzionata rispetto alla concentrazione reale delle sostanze cui i pazienti sono esposti), anche l’assenza di una correlazione tra i sintomi esperiti e i risultati ai test obiettivi clinici utilizzati, e che (Ross et al, 1999) due fasi sembrano caratterizzare l’evolversi della sindrome: una iniziale detta di sensibilizzazione (sensitization) in cui i sintomi si manifestano in seguito a una esposizione accidentale ad agenti chimici ad elevata concentrazione (e.g., pesticidi, solventi organici, ) e una seconda definita triggering in cui i sintomi iniziali si generalizzano a un più ampio set di sostanze odorose (e.g., innocui profumi o a anche ad alimenti).
E’ importante altresì sottolineare che sebbene l’etiologia della sindrome non sia chiara, sono comunque state avanzate nel tempo ipotesi sia fisiche che psicologiche sulle potenziali cause. Tra le prime, allergie, immunotossicità, neurotossicità, cause genetiche, elevati livelli di ossido nitrico nell’organismo, danni all’epitelio olfattivo, alterazione della soglia di detezione degli odoranti (quindi ipersensibilità); tra le seconde, un’aumentata sensibilità agli odoranti secondaria a disturbi cognitivi, un’alterazione nei meccanismi dell’attenzione e possibili legami associativi tra eventi stressanti e sostanze odorose presenti nell’ambiente.
Preciso che esistono test olfattivi che possono essere utilizzati per valutare oggettivamente talune caratteristiche delle capacità olfattive dei pazienti e di riflesso del disturbo (test purtroppo poco noti alla comunità scientifica medica). Questi consentono una valutazione della sensibilità agli odori (prova di detezione) e delle funzioni cognitive (memoria, discriminazione e identificazione di odoranti) e fanno parte della mi attività sperimentale di routine. Il gruppo di lavoro istituito presso l’ISS, da quanto sin qui sostenuto e della vasta gamma di studi sperimentali (la maggior parte rigorosi) condotti su questo tema, potrebbe trarre uno spunto di riflessione.
Per quanto concerne il nostro studio (apparso sulla rivista Neurocase nel 2008), questo ha riguardato l’esame di una paziente che riferiva di essere afflitta da diversi anni dalla sindrome e i cui disturbi soddisfacevano i criteri stabiliti da Cullen e quanto suggerito da Ross et al, 1999. Essendo complesso effettuare una diagnosi differenziale tra cause organiche e psicologiche del disturbo si è qui proposto un paradigma sperimentale (una procedura standard) che ne favorisse la comprensione.
La paziente è stata, quindi, esaminata in due sessioni. In entrambe si è provveduto alla costante rilevazione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Nella prima sessione le sono stati somministrati i test olfattivi standardizzati già descritti. L’esame non solo non ha evidenziato deficit di natura olfattiva, ma ha anche permesso di rilevare una soglia di detezione delle sostanze molto alta (quindi una scarsa sensibilità olfattiva; l’opposto di quanto riportato e esperito soggettivamente).
Nella seconda sessione alla paziente sono stati presentati in ordine casuale delle sostanze da lei ritenute innocue o molto dannose, assieme a stimoli inodore. Il compito consisteva nel valutare l’intensità soggettiva di ciascun odorante (da 0 a 100) e di comunicare qualsiasi sintomo, correlato alla sindrome MCS, esperito. Tuttavia, le sostanze ritenute innocue o dannose dalla paziente potevano essere presentate quali tali (situazione sperimentale di “informazione vera”: “Lei sta annusando la cioccolata che ha definito sostanzialmente piacevole e innocua”; oppure, “Lei sta annusando della crema solare al cocco che ha definito molto dannosa e sgradevole”) o invertite (quindi, condizione sperimentale di “informazione falsa” in cui le sostanze definite innocue venivano presentate quali dannose e viceversa).
Identica procedura avveniva nel caso di presentazione degli stimoli inodore (condizione di “informazione positiva o negativa”). In tale circostanza si comunicava alla paziente che quanto presentato era così scarsamente concentrato da essere quasi difficilmente percepibile, ma che di certo sarebbe stato inalato. I risultati hanno evidenziato con chiarezza la natura psicologica (per lo meno in questo caso) della sindrome.
La paziente infatti, nelle condizioni cruciali di falsa informazione giudicava gli odori per lei dannosi presentati come innocui significativamente quali meno intensi e in grado di indurre un minor numero di sintomi (oltre che meno debilitanti) e viceversa nella condizione in cui odori per lei innocui venivano presentati come dannosi.
A ciò si aggiunga che in seguito all’esposizione a stimoli inodore, quelli presentati come dannosi inducevano un maggior numero di sintomi e più alte valutazioni di intensità rispetto alla situazione inversa. Fenomeni questi non presenti nel gruppo di controllo. I
l paradigma ci ha quindi permesso di stabilire che i sintomi manifestati dalla paziente erano strettamente psicologici e si è rilevato particolarmente idoneo quale strumento di utilità clinica nelle diagnosi differenziali. Alla paziente è stato quindi suggerito un trattamento psicoterapico (comprendente anche sessioni di desensibilizzazioni alle sostanze odorose per lei nocive) che si è rivelato efficace.
Gesualdo M. Zucco
Professore ordinario presso l’Università di Padova
Riferimenti bibliografici:
Zucco G.M., Militello C., Doty R. (2008), Multiple Chemical Sensitivity: A Case Study Report. Neurocase, 14, 6, pp. 485-493.
17 maggio 2018
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore