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Chi ha paura delle professioni sanitarie?

di Dilva Drago

05 OTT - Gentile direttore,
non più di quindici giorni fa dalle pagine del vostro giornale giudicavo come una svista involontaria alcune affermazioni rese dal presidente SOI ed irrispettose della storia, dell’evoluzione e della normativa delle professioni sanitarie nel nostro Paese.
 
A distanza di quindici giorni, sembrerebbe che quelle affermazioni siano state ribadite – a questo punto con convinzione e, dunque, non possono che essere intenzionali – e giustificate in ossequio ad una asseritamente corretta interpretazione della legge.
 
Si è appreso, infatti, da partecipanti al XVIII congresso ‘Low Vision Academy’ di Roma del 30 settembre scorso che, in occasione di un dibattito di oftalmologia medico-legale, il Dr Piovella avrebbe negato il valore della Legge 251 e della Legge 42/99, subordinandole alla normativa sull’abuso della professione medica al cui fondamento vi è la diagnosi e la prescrizione come atto medico. In ragione di questa norma di riferimento, ritenuta di rango superiore qualsiasi altro atto normativo verrebbe ridimensionato (se non addirittura considerato illegittimo).
 
Ammesso che le informazioni apprese si confermino veritiere (ed in attesa, quindi, di conoscere in merito la posizione del diretto interessato), nella prospettiva del Dr Piovella, tutto quello che ha a che vedere con la diagnosi (non solo ovviamentedi patologia ma anche quella funzionale, che è alla base di qualsiasi lavoro riabilitativo) dovrebbe necessariamente far capo al medico; parimenti, in qualsiasi trattamento non vi sarebbe spazio alcuno per l’autonomia decisionale del professionista della riabilitazione.
 
Ma se così fosse, dovrebbe spiegarsi come mai vi siano colleghi (professionisti sanitari) che hanno vissuto sulla loro pelle una condanna per avere eseguito una terapia prescritta dal medico, ma non appropriata per il caso, avendo omesso di eseguire una propria valutazione funzionale preventiva.
 
Sempre a condizione che quanto espresso dal Dr Piovella durante il dibattito sopra menzionato venga confermato, lo stesso sembrerebbe interpretare il lavoro ‘su prescrizione’ come sinonimo del lavoro ‘in presenza / supervisione’ del medico, giungendo, così, a negare qualsiasi ambito di legittimità alla libera professione gli esercenti le professioni sanitarie.
 
Se qualsiasi forma di diagnosi, ossia di ragionamento clinico, viene negata, cosa dovrebbe restituire al medico il professionista sanitario, da lui interpellato al termine della valutazione del paziente? Non scordiamoci che le professioni sanitarie sono professioni intellettuali.
 
Se l’abuso si compirebbe ogni qual volta si esegue in autonomia  attività di prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione che per la Legge 43/2006 compongono la definizione di professioni sanitarie, ci chiediamo allora che valore abbia inteso dare il legislatore nell’individuare i profili professionali delle professioni sanitarie e nell’abolire l’ausiliarità delle stesse e quindi, perfino l’invio da parte del medico (…lavora su prescrizione del medico) ad una valutazione e/o trattamento ad un altro professionista sanitario non medico non avrebbe più senso.
 
AIOrAO ha sempre tenuto ed incentivato atteggiamenti rispettosi dei diversi ruoli professionali, ed è pronta ad agire anche nei confronti dei propri associati in caso di condotta deontologicamente scorretta, come nell’ipotesi dell’abuso professionale; tuttavia, nessuna segnalazione di tal genere è mai pervenuta dalla SOI in merito. A maggior ragione, se (e quando) verranno a costituirsi gli Ordini, la professione sarà dotata di un controllo contro l’abusivismo, non solo esterno ma anche interno, che coprirà tutti gli ortottisti esercenti la professione.
 
Tuttavia, il rispetto della sfera  di competenza medica è cosa ben diversa da chiedere all’ortottista di accettare che tutte le attività in campo oftalmologico siano in capo all’oculista. Una simile impostazione, laddove fosse confermata, avrebbe un sapore antico di restaurazione, costituendo un inaccettabile passo indietro rispetto allo stadio di sviluppo della normativa e della evoluzione delle competenze professionali degli esercenti le professioni sanitarie legate alla prevenzione, diagnosi e cura dei difetti della vista.
 
AIOrAO, a suo tempo, non ha commentato i Master in ortottica creati da SOI (master che pretendono di certificare competenze d’eccellenza dopo sole 4 ore di corso si commentano da soli!) con la finalità dichiarata pubblicamente in video di dimostrare che l’oculista può fare anche a meno dell’ortottista. Questi Master presentavano una contraddizione intrinseca in quanto, per dimostrare l’autosufficienza dell’oculista, si utilizzavano ortottisti come docenti. In questo caso varrebbe la pena di ricordare che la sentenza della Cassazione n. 5080/2015, ha sancito che la professione medica non è assorbente delle attività per il cui espletamento è richiesto uno specifico diploma.
 
La professione di ortottista è nata in Italia dalla volontà degli oculisti nel 1955, tuttavia essa, parimenti a tutte le altre professioni sanitarie col passare del tempo è cresciuta. Il mutato contesto socio-politico-economico ha reso le professioni sanitarie protagoniste di un importante processo di trasformazione all’interno dei rispettivi ambiti culturali, di ricerca e di studio. E’ cambiata la società ed è cambiata la sanità, e una professione sanitaria, al giorno d’oggi, non nasce più per necessità di ausiliarità alla professione medica (l’ausiliarietà è morta con la legge 42/99), bensì  in risposta  ai bisogni di tutela della salute della popolazione.
 
La professione di ortottista gode di un ampio profilo checomprende nel proprio ambito competenze diverse (ortottica e riabilitazione, diagnostica strumentale, assistenza oftalmica) tutte a pari dignità. Sono i luoghi di lavoro che specializzano maggiormente un ortottista in un ambito piuttosto che in un altro, parimenti a quanto succede ad un medico specializzato in oculistica. Qualsiasi adattamento a nuove esigenze di salute dei cittadini può avvenire solo attraverso un aumento di competenze e non una perdita delle stesse.
 
Ancora, in riferimento alla definizione, utilizzata spesso negli ultimi tempi, dal dr. Piovella che la prevenzione “atto medico”, si dovrebbe anzitutto controbattere che essa è, in primo luogo, un atto politico. La prevenzione non si compone solo di prestazioni sanitarie, ma di tutta una serie di attività di prevenzione e sanità pubblica che coinvolgono anche chi svolge funzioni educative, comunicative, di sorveglianza, di valutazione ambientale, fino a chi attua misure tese a modificare i fattori determinati della salute (condizioni economiche e ambientali). Ma anche se ci si focalizza sulle prestazioni sanitarie di prevenzione individuale, l’atto di prevenzione non è sinonimo di visita medica.
 
Ad esempio, gli interventi base di prevenzione sanitaria secondaria che sono gli screening, sono esami condotti a tappeto su una fascia della popolazione allo scopo di individuare una malattia o i suoi precursori prima che si manifesti attraverso dei sintomi.Un test di screening è, quindi, un esame che permette di identificare, in una popolazione considerata a rischio per una determinata malattia, quei soggetti che hanno maggiori probabilità di soffrirne, indirizzandoli a specifici esami diagnostici che, in caso di positività, permettono di adottare strategie terapeutiche precoci e per questo efficaci o addirittura preventive. L’esecuzione di questi esami di screening può essere attuata dal professionista sanitario nel cui ambito di competenza rientra.
 
Chi ha paura dell’ortottista?
L’ortottista lavora su prescrizione del medico, non ha conflitti di interesse come altri aspiranti all’area sanitaria oftalmologica, non opera sostituendosi alla figura del medico oculista riconoscendone sempre il ruolo di riferimento in ordine a diagnosi e cura.
I medici oculisti non dovrebbero temere questa figura con cui da sempre hanno stretto una collaborazione e una alleanza professionale, ancor più ora che i medici oculisti sono previsti in calo nel prossimo decennio. Non avrebbero nulla da temere nemmeno da un eventuale avanzamento di competenze. Come si giustifica allora questo immeritato atteggiamento ostile nei confronti degli ortottisti che sembrerebbe svilupparsi tra le fila degli oculisti. Mi auspico che il presidente SOI non abbia alcun ruolo di facilitatore in questo ma al contrario chiarisca l’assenza di motivazioni  razionali a questo sentimento che è stato seminato tra i propri associati.
 
Mi è difficile, inoltre, capire il perché di questa opposizione, oculisti contro il “resto del mondo”, dove ora nel resto del mondo si mettono assieme professioni riconosciute come l’ortottista, le arti ausiliarie e le professioni non riconosciute. O forse si tratta di una strategia che non sono in grado di cogliere?
 
Il cuore della questione sembrerebbe, in realtà, la volontà di depontenziare il valore della legge n. 251 del 2000: si tratterebbe di un’offesa grave per tutte le professioni sanitarie.
 
I caratteri peculiari delle professioni sanitarie sono infatti riassumibili nei concetti ,espressi nella 251, di : AUTONOMIA , PROFESSIONALITA’, RESPONSABILITA’. Il concetto di autonomiaha insito in sé la discrezionalità delle scelte operative e la relativa assunzione di responsabilità, la competenza nella valutazione dei bisogni, la capacità di pianificare gli interventi e di verificarne i risultati.
Ci attendiamo dal rappresentante SOI che il riconoscimento della titolarità e dell’autonomia della professione di ortottista parimenti alle altre professioni sanitarie attribuitaci dalla legge 251 venga recepita come legittima e non  in contrapposizione con il ruolo del medico.
 
#Salviamola251
nella sanità che  vorremmo potrebbe essere#oltrela251…..è ora!

Dilva Drago
Presidente Nazionale AIOrAO 


05 ottobre 2017
© Riproduzione riservata

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