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Epatite C: ora tutti pazienti potranno essere curati. Ma non tutti hanno voglia di festeggiare

di Ivan Gardini

14 APR - Gentile Direttore,
con determina 500/2017, pubblicata in GU n.75 del 30-3-2017, l’Agenzia del Farmaco ha stabilito che tutti i pazienti possono avere accesso ai farmaci innovatici per l’epatite C. Una tale decisione, assolutamente epocale, colloca il nostro Paese tra le prime 10 nazioni al mondo che hanno optato per un accesso universale ai farmaci innovativi anti HCV, nonostante la prevalenza dell’infezione sia più elevata rispetto ad altri Paesi occidentali.
 
Chi più e chi meno, tutti gli stakeholders hanno collaborato: il Ministero della Salute che ha voluto fortemente questo risultato, l’Agenzia del Farmaco, le Società Scientifiche, le Associazioni di pazienti, le aziende farmaceutiche e tutti coloro che indistintamente hanno contribuito al dibattito attraverso critiche costruttive.
 
Ma, evidentemente, non tutti hanno voglia di festeggiare.
Forse perché nessuno si aspettava una tale decisione in tempi così rapidi.
Forse perché certe persone attingono a fonti informative sbagliate.
Oppure, forse, perché l’epatite C è diventata una ghiotta occasione per continuare a fare un certo tipo di lotta politica e strumentalizzata attraverso la diffusione di informazioni non corrette.
 
Ad esempio:
il Senatore Lucio Barani, in una nota del 11 Aprile, afferma
"Pensare che con una politica differente si sarebbero potuti salvaguardare parte dei circa 17000 italiani annualmente deceduti per cirrosi epatica è aberrante, specialmente se si considera che la cura, riservata in Italia esclusivamente ai ricchi, costa in Egitto soli 600 euro", conclude Barani.
 
I dati ISTAT 2014 (ultime disponibili) sulle cause di morte dicono questo
 
· Decessi per cirrosi: 6035
· Decessi per tumore del fegato: 9915
· Decessi per Epatite Virale: 2820
 
Secondo alcuni calcoli bastati sulla letteratura scientifica è possibile ipotizzare che siano circa 10.000 i decessi attribuili all’epatite C (e solo per cirrosi circa 3.500).
Sono dati che riguardano il 2014, quindi prima dell’introduzione del primo dei farmaci che è avvenuta formalmente a novembre 2014 ma la somministrazione delle terapie è iniziata massicciamente nei primi mesi del 2015.
 
Da gennaio 2015, i nuovi farmaci sono stati resi disponibili per tutti i pazienti più gravi che sono stati curati a ritmi molto elevati (oltre 70.000 sinora).
Questo significa che molti pazienti che sono stati curati hanno già avuto una regressione della malattia ma, purtroppo, alcuni pazienti con malattia avanzatissima, benché curati, sono comunque deceduti (o trapiantati)non certo per mancanza di farmaci ma perché rimuovere l’infezione non può garantire un miglioramento in presenza di una malattia avanzatissima.
 
Traduco: ancora per qualche anno, avremo decessi per malattia di fegato HCV correlata di pazienti curati e guariti in presenza di malattia molto avanzata, le cui aspettative di vita non possono cambiare di molto anche rimuovendo l’infezione.
 
E se per caso, qualche paziente grave ha subito ritardi nella cura, non può essere solo responsabilità del Ministero o di AIFA ma imputabili a questioni amministrative che abbiamo rilevato a livello regionale o di singoli ospedali, situazioni che abbiamo sempre prontamente segnalato al Ministero ed ai NAS (oltre 100 segnalazioni nel biennio 2015-2016).
 
E’ quantomeno discutibile affermare che si tratta di una cura per ricchi, così come tecnicamente scorretto parlare di 17.000 italiani annualmente deceduti per cirrosi epatica, perché non sono quelli i numeri dei decessi attribuibili a cirrosi, ovvero a cirrosi HCV correlata, e perché sono numeri relativi a un periodo nel quale i farmaci innovativi non erano ancora in commercio.
Pertanto l’affermazione di cui sopra è sostanzialmente errata e fuorviante.
 
E ancora:
la Senatrice Paola Taverna afferma in una nota dell’11 Aprile 2017:
 “Ad oggi gli italiani affetti da epatite C sono circa 2 milioni…”
 
Fortunatamente, questa è una prevalenza obsoleta, che non corrisponde alla realtà, e spesso riproposta anche da altri parlamentari che non approfondiscono questo argomento fondamentale.
Attualmente non esiste alcuna ricerca scientifica aggiornata al 2017, né esiste un registro per i casi di epatite C diagnosticati. Figuriamoci come si possano calcolare anche i casi non diagnosticati.
 
Una nostra recente indagine effettuata raccogliendo le esenzioni per patologia di tutte le regioni italiane, ha stimato circa 200/300.000 pazienti diagnosticati di cui 70.000 già messi in terapia.
Altre ricerche, non ancora ufficializzate, suggeriscono 100/150.000 pazienti diagnosticati in più rispetto alla nostra ricerca, e un 20% circa di pazienti non ancora diagnosticati. Le nostre ricerche sul non diagnosticato, suggeriscono numeri ancora più bassi.
 
Esiste una spiegazione: il nostro paese ha una coorte di pazienti infetti decisamente “vecchia” ed è sufficiente leggere i più recenti studi clinici per capire che l’età media dei curati è molto vicina ai 60 anni. Poichè molti pazienti sono già deceduti e molti altri già guariti, i pazienti ancora non diagnosticati sono molti di meno di quelli ipotizzati e per gran parte sopra i 60 anni.
 
Piuttosto, maggiore attenzione va posta a gruppi ristretti ma particolari con prevalenza decisamente più alta (di diagnosticato e non diagnosticato), ovvero i detenuti e chi utilizza droghe per via endovenosa.
In ogni caso, i nostri monitoraggi nei centri autorizzati rilevano, dopo due anni dall’introduzione dei nuovi farmaci, meno di 100.000 pazienti in attesa di essere curati.
 
Anche questa affermazione dell'on. Taverna merita un commento: “E questo a causa della trattativa scellerata che l’Aifa ha condotto con la società che produce il farmaco, oggi venduto a 41.400 euro + iva per l’intera cura”.
Riteniamo ci sia un po’ di confusione tra il prezzo di listino, ed il prezzo al netto degli sconti. Oltretutto non si capisce perché si continui a parlare di una sola azienda e di un solo farmaco.
 
A noi risulta che le terapie di Abbvie, Merck Sharp & Dohme e Bristol Myers Squibb sono tutte acquistate dal SSN al di sotto dei 10.000 Euro e, probabilmente – ma non ne abbiamo la certezza – i contratti prevedono ulteriori sconti sul volume.
 
Ci risulta anche che Sovaldi e Harvoni di Gilead, sono ceduti temporaneamente ad un prezzo medio di 15.000 Euro (lo stesso del contratto scaduto) in attesa del farmaco Pangenotipico Epclusa, trattativa che ci risulta essere molto vicina alla sua conclusione formale. E, immaginiamo, il prezzo di cessione al netto sarà certamente compatibile con il piano di eradicazione indicato da AIFA. Non potrebbe essere diversamente.
 
Sicuramente si può sempre fare meglio, e sicuramente gli stimoli del M5S hanno aiutato ma, attualmente, godiamo di prezzi di acquisto – al netto degli sconti – tra i migliori al mondo (occidentale) se non i migliori. Lo posso affermare perché abbiamo la possibilità di interagire con numerose altre associazioni di pazienti in tutto il mondo e conosciamo quanto vengono pagati questi farmaci.
 
E lo stesso vale per il “periodo Luca Pani” che non intendo certo difendere perché sa farlo benissimo da solo, ma solo per rispolverare una sequenza di fatti e di situazioni non semplici da gestire, per nessuno.
 
Ho seguito personalmente e quotidianamente il periodo di quella trattativa. Vorrei ricordare che nel 2014 esistevano solo farmaci Gilead, i concorrenti sono arrivati  dopo molto tempo e non esistevano le versioni genericate. La trattativa è durata 9 mesi, tra le nostre proteste, anche di piazza: peccato che non c’era nessun parlamentare, nessun medico, ma solo pazienti.
Eravamo al limite: andare oltre significava morte e sofferenza per molti pazienti.
 
AIFA, nel 2014, per quanto ne sappiamo noi, è riuscito a strappare uno dei 3 migliori prezzi di cessione al mondo (occidentale) con tutte le difficoltà del caso.
Il prezzo da pagare era la segretezza dell’accordo. Ma è stato ed è così in tutto il mondo occidentale.
 
Solo l’Australia è riuscita a fare meglio, considerati i loro 220.000 pazienti, ma hanno dovuto prolungare la trattativa per 1 anno e mezzo, ovvero hanno sacrificato la vita di numerosi pazienti sull’altare della “sostenibilità”.
 
Noi, questo, non lo abbiamo permesso. Da noi nessun paziente è morto per fare spazio alla sostenibilità o al prezzo stracciato.
Potrei continuare, ma spero il concetto sia chiaro.
 
Su questa partita dell’epatite C, stiamo mostrando al mondo intero grandi capacità di gestire un fenomeno che incontreremo ancora, i costi elevati dei farmaci innovativi, e allo stesso tempo (con un po’ di ritardo) garantire l’accesso a tutti i pazienti.
Ora, preso atto che abbiamo i fondi, abbiamo i farmaci, li abbiamo a prezzi accettabili, e soprattutto abbiamo un accesso universale, ci aspettiamo che tutti le forze parlamentari - di Governo e opposizione, puntino i riflettori sulle Regioni - e si chieda come intendono organizzarsi per rinforzare/ampliare le reti di cura per curare 80.000 pazienti / anno, obiettivo molto ambizioso ma teoricamente raggiungibile.
 
E, magari, finanziare e avviare il PNEV, Piano Nazionale sulle epatiti virali, fermo da diversi anni, ormai obsoleto anche quello.
Se non si fa questo, una parte degli sforzi fatti saranno vanificati.
 
Tutti gli interventi in quel senso, aiuterebbero a curare migliaia di pazienti in più ogni anno e, in tutta sincerità, questo ci aspettiamo da tutti i parlamentari, indistintamente: aiutarci a rimuovere le barriere di accesso, quelle reali e qualunque esse siano.
Se qualcuno vuole conoscere le vere necessità, quelle che stanno rallentando la cura dei numerosi pazienti che aspettano, siamo a disposizione.
 
Ivan Gardini
Presidente EpaC onlus

14 aprile 2017
© Riproduzione riservata

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