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Il futuro del medico non è poi così a tinte fosche

di Rosario Carulli

03 FEB - Gentile direttore,
a proposito dell’articolo ‘Com’è cambiata la professione del medico. Le riflessioni di due internisti americani sul Nejm’non sono molto d'accordo con questa visione d'insieme dei 2 colleghi americani. E' un quadro a tinte fosche che non dà ragione allo sviluppo di tutta una nuova tecnologia strumentale che aiuta il medico e di riflesso il paziente nell'accertamento della diagnosi e quindi nella corretta cura. Chi scrive ha iniziato la propria attività ospedaliera all'inizio degli anni '70.
 
Non esistevano l'ecografia, la TAC, la RMN, la PET, il saturimetro, i monitor cardiaci (quando c'erano) erano analogici, la pressione arteriosa si misurava con manicotto gonfiabile a mano e il manometro non era sempre preciso, per non parlare della moltiplicazioni degli esami di Laboratorio e ricerche genetiche, e via ancora.
 
L'informatica applicata alle esigenze mediche ha permesso nuove e più accurate valutazioni d'insieme. Certo, le pratiche burocratiche sono aumentate, ma questo è anche indice di maggiore e più attenta cura nella stesura di una cartella clinica, mentre prima con le calligrafie dei medici le cartelle cliniche erano poco leggibili e incomplete.
 
Il "burn out" da stress ripetuto avviene tuttora, ma le cause vanno ricercate altrove: carenze di organico, riduzione posti letto, ricerca di efficienza piuttosto che di efficacia, pressioni sociali (salute tutta e subito), pressioni dalle direzioni amministrative, ecc., ecc.
 
Prima gli errori dei medici non erano evidenziati, adesso la tecnologia permette di non sbagliare e, se si sbaglia, l'errore è lì in bella evidenza.
 
Il rapporto umano medico-paziente, se lo si vuole veramente, lo si può mantenere senza perdersi in chiacchiere inutili davanti ad un computer, ma utilizzandolo per il tempo strettamente necessario.
 
Dott. Rosario Carulli
Anestesia e Rianimazione
Provincia di Bergamo

03 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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