Medici e infermieri in Emilia Romagna. Le colpe della Regione
di Salvatore Lumia
30 DIC -
Gentile Direttore,
concordo con l’
invito della Presidente IPASVI: “basta polemiche sterili... tra medici ed infermieri”, mi sembra del tutto condivisibile. La Dott.sa Simoncini, in una
precedente lettera, correttamente precisava che esistono Scuole di Specializzazioni mediche e Master che danno ai laureati in medicina e chirurgia le specifiche competenze manageriali e gestionali che servono per la organizzazione e direzione di strutture complesse, confutando l’argomento, da altri sostenuto, circa il fatto che i medici non avrebbero studi di carattere gestionale e manageriale che invece avrebbero gli infermieri.
Detto ciò, proprio per non avviare polemiche sterili nel momento in cui si afferma di volerle cessare, una lettura ed un approccio privo di riserve mentali al documento dell’OdM Bologna relativo alla Delibera della Regione Emilia Romagna sulle Case della Salute non può che escluderne il carattere sterilmente oppositivo tout court, ma quello che oggettivamente è, un documento di rilievo e di critica, che vorrebbe essere costruttiva, ad una proposta riorganizzativa che – preme sottolineare - anche per chi scrive è sicuramente da condividere.
Ci sono indubbiamente dei modelli di riorganizzazione della Sanità Pubblica, proposti da alcuni anni, quali i “Reparti per intensità di Cure”, le “Case della Salute”, che sono da perseguire e da istituire, modelli riorganizzativi che avrebbero un senso logico per una evoluzione di un Sistema Sanitario Pubblico più attuale incentrato in primis sui bisogni dei pazienti/utenti/cittadini, ma che tenga conto sia della razionalizzazione dei costi che delle richieste di salute nonché dei recenti progressi della medicina.
Il problema vero è che dietro a questi “titoli” di puro carattere denominativo (“Reparti per intensità di Cure”, “Case della Salute”), non c’è stata fino ad ora una declinazione in termini pratici valida, adeguate e condivisa.
In parole povere: chi ha approntato queste delibere e formulato questi progetti lo ha fatto, in maniera confusa ed imprecisa, senza descrivere in maniera corretta e puntuale come debbano essere ben organizzate ed allestite queste realtà, per funzionare adeguatamente e rispondere efficacemente ai bisogni e finalità prefissati.
Parlando di Case della Salute, l’operare una analisi pur critica di quanto è scritto nel documento regionale non significa negare queste riorganizzazioni, né compiere un attentato di lesa maestà, ma – per converso - cercare di dare un contributo fattivo alla realizzazione di queste.
Nella costruzione di queste nuove strutture, complesse per loro stessa definizione, in cui dovranno essere compresi e risolti i bisogni a 360°, occorre tenere presente, in primo luogo che le stesse dovranno poi essere “accreditate”, cioè avere una certificazione di qualità (secondo le norme della Qualità in uso); e perché questo sia possibile occorre definire i Processi e le attività in maniera puntuale, con appositi documenti che definiscano i percorsi (Procedure, Istruzioni operative, Tabelle, logigrammi), occorre definire le Responsabilità dei diversi attori con opportuni documenti di Responsabilità e autorità, tutto ciò come definito nel “gergo” qualitatese.
Nel Documento regionale tutto questo manca completamente.
Se poi mancano anche dei riferimenti legislativi nazionali, allora ancor di più si avverte l’esigenza di un percorso in cui questi nuovi modelli organizzativi, proprio perché privi di quei riferimenti legittimanti, devono essere prima di tutto sperimentati e, dopo la verifica della sperimentazione, approvati, condivisi e solo successivamente deliberati ed applicati nelle forme che evitino, proprio per questo, reattività di chiunque possa ritenersi considerato anche solo “pretermesso” o bypassato nel procedimento valutativo e formativo del percorso, sia esso soggetto singolo, associativo, “categoriale” o istituzionale che dir si voglia.

Ma la sperimentazione non è quella del laboratorio con gli alambicchi a cui qualcuno vuole spegnere la fiamma (cito quanto scritto da un Consigliere IPASVI di Firenze, che forse ha una visione un po’ medievale e alchimistica della sperimentazione); la sperimentazione moderna passa dal disegno di un modello preciso, dalla valutazione della letteratura scientifica già presente sull’argomento, dall’analisi della popolazione su cui la si vuole applicare, dall’acquisizione del consenso informato da parte di chi partecipa alla sperimentazione e non ultimo da un ponderato parere di un Comitato Etico.
Ma se oggi non è possibile, in un’Azienda Sanitaria o Ospedaliera, introdurre un nuovo “device” anche se simile ad altri già utilizzati e/o già regolarmente in commercio, senza un adeguato parere di un Comitato Etico, di una CADM e un Health Tecnology Assessment, un nuovo modello organizzativo può essere applicato così superficialmente? Solo perché qualcuno in un Assessorato ha scritto delle pagine un po’ confuse?
Un conto è scrivere su intenti, finalità, desiderata, ecc..., un conto è declinare in maniera precisa come realizzare quegli intenti, quelle buone idee.
Chi scrive è innanzi tutto un Medico che espone il proprio sentire da Medico coinvolto nel processo di cura del cittadino paziente.
Un sentire che va al di là delle appartenenze associative, sindacali, politiche, rappresentative, istituzionali e non, e Medici - Medici di Medicina Generale, Specialisti Ambulatoriali, Specialisti Ospedalieri – coinvolti nel processo di cura dei cittadini pazienti sono anche i componenti degli Ordini dei Medici, quale quello bolognese di cui mi onoro di far parte, così come mi onoro di far parte dell’associazione sindacale o politica cui appartengo, senza dimenticare per questo innanzi tutto l’essere ed il sentirsi Medico, ogni giorno in prima linea nel pubblico processo e sistema di cura ed assistenza del cittadino.
Nelle fattispecie, come quella di cui stiamo trattando, la prima intenzione del Medico operante volontariamente in strutture associative istituzionali – e non credo di parlare solo per me – è quella di porsi a disposizione delle istituzioni, in questo caso dell’Assessorato Regionale, per costruire una proposta che sia condivisibile ed attuabile nell’interesse dell’efficienza del sistema di cura a beneficio del paziente.
Purtroppo l’Assessorato Regionale, come in altre occasioni, non pare aver tenuto in debito conto l’apporto di questi Professionisti che dovrebbero poi essere necessariamente coinvolti nel fornire le loro prestazioni, nonché anche essere possibili utenti.
Le domande con proposte di collaborazione sono state avanzate varie volte ed in più occasioni (anche per Reparti ad Intensità di Cure, Servizio di Emergenza Urgenza 118), ma risposte concrete ancora non se ne sono avute.
Questo è il punto della questione, non le sterili polemiche se i medici abbiano o no paura degli infermieri, argomento che, a ben vedere, ben potrebbe essere considerato come un fattore specificamente funzionale e da usarsi proprio ad evitare il confronto sia istituzionale che sindacale con le realtà collettive esponenziali che ogni giorno sono impegnate sul campo, ben potendosi più agevolmente ricorrere alle singole soggettività mediche “organiche” al sistema, assicuranti incontrastato consenso conformativo alle progettualità prefissate a livello centralistico regionale.
Salvatore Lumia
Consigliere OMCeO Bologna
30 dicembre 2016
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