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Lo sviluppo degli infermieri e dell’infermieristica. Dai buoni propositi ai fatti

di Marcello Bozzi

16 MAG - Gentile direttore,
è molto apprezzabile l’intervento del Sottosegretario alla Salute Dott. Vito De Filippo, pubblicato su QS il giorno 10 maggio, dove si riconosce l’alto impegno chiesto dai livelli governativi (centrale e regionali) agli Infermieri e il parallelo impegno e sacrificio dimostrato dagli stessi. La Giornata Internazionale dell’Infermiere e i contenuti della nota del Sottosegretario alla Salute possono essere un’importante occasione per realizzare riflessioni, approfondimenti e proposte.
 
Il Sottosegretario nel suo molto apprezzato articolo individua 5 punti fondamentali:
 
- ridare agli infermieri la speranza di un futuro professionale nel nostro Paese
un impegno degli infermieri da co-protagonisti nella nuova sanità
 
- l’impegno delle Aziende Sanitarie per la valorizzazione dei  laureati infermieri e delle loro competenze, evitando demansionamenti e deprofessionalizzazione
 
- il rinnovo contrattuale
 
- l’applicazione dell’articolo 6 della legge 43/06 che istituisce la posizione di “professionista specialista”  (con 10 anni di ritardo rispetto alla l. 43/2006 e con 22 anni di ritardo rispetto al DM 739/94)
 
1. Ridare agli infermieri la speranza di un futuro professionale nel nostro Paese
È sicuramente meritoria l’affermazione che è necessario “ridare la speranza di futuro professionale nel nostro Paese alle migliaia di giovani laureati degli ultimi anni” … ma forse è opportuno considerare che le difficoltà occupazionali del momento non sono da collegare ad errori di programmazione o ad importanti miglioramenti delle condizioni di salute delle persone, tali da richiedere un numero minore di Infermieri, ma esclusivamente al peggioramento delle condizioni economiche del Paese e alle scelte dei governi regionali, in ottemperamento agli indirizzi nazionali, di “riequilibrio dei bilanci”.  Tali azioni in troppi casi si sono concretizzate privilegiato i “tagli lineari” alle “riorganizzazioni del sistema”, contrariamente ai principi che avevano definito Brunetta con la L. 133/2008, Monti con la L. 135/2012 e Balduzzi con il D.L. 158/2012.
 
Tali scelte hanno gravato pesantemente sulle spalle degli infermieri e degli operatori di supporto e, in particolare, sui servizi offerti ai cittadini. Potrebbe essere di grande interesse uno studio finalizzato a stimare i costi di domani, conseguenza diretta dei servizi “tagliati” oggi  (con il rischio di prendere atto di un costo aumentato!).
 
Il Decreto 70/2015 (Lorenzin) arriva per sanare le mancate applicazioni (o applicazioni solo parziali) delle normative di cui sopra e consente alle Regioni di “ordinare” il sistema, nel rispetto di precisi criteri stabiliti (valore minimo e valore massimo), tenuto conto delle caratteristiche territoriali, della distribuzione dei centri urbani e della popolazione, delle vie di comunicazione, etc. etc..
 
L’utilizzo “improprio e sottopagato” degli infermieri è conseguenza diretta della situazione di cui sopra, dove, in tanti, hanno approfittato di una criticità del sistema per partecipare (e vincere) gare con ribassi improponibili in condizioni normali, e altri (gli infermieri) hanno accettato assunzioni di responsabilità molto elevate a remunerazioni pari ai “pulitori di scale” (ovviamente con tutto il rispetto per chi, con grande dignità, svolge tale attività).
 
2. Un impegno degli infermieri da co-protagonisti nella nuova sanità
Credo che alla “richiesta di un impegno da vero co-protagonista, rivestendo un ruolo di primo attore”  gli Infermieri abbiano già risposto, con professionalità e responsabilità, spesso al di sopra delle proprie forze.
 
Non servono nuove norme. Sono sufficienti quelle vigenti. Basta applicarle!
Quello che serve maggiormente è un grande cambiamento culturale, conseguenza diretta delle evoluzioni che hanno interessato il sistema formativo e l’assetto normativo,  nonchè lo sviluppo scientifico e tecnologico.
 
Il cambiamento deve riguardare tutti;  ognuno deve fare la propria analisi per comprendere il “gap” esistente tra “la realtà”  e  “l’atteso”, nel rispetto delle norme che regolamentano il funzionamento del sistema e delle norme che disciplinano le professioni sanitarie (spesso non note a troppi professionisti).
 
L’obiettivo non può e non deve essere quello di separare le famiglie professionali ma quello di favorire la massima integrazione (sistema “a matrice”), tenuto conto in particolare dei cambiamenti che hanno riguardato in primis la formazione e, a seguire, un diverso riconoscimento di status e ruolo, conseguente alle evoluzioni normative, con la necessità di ri-definire le collaborazioni, le interazioni, le comunicazioni, i ruoli e le responsabilità (senza nulla togliere al ruolo e alle responsabilità “primariali” – oggi “Direttori”, ma con la piena consapevolezza che oggi, sempre più, si parla di “corresponsabilità”).
 
E’ indubbio che il sistema deve cambiare per rispondere al meglio ai cambiamenti della domanda della popolazione, tenuto conto sia delle mutazioni demografiche, epidemiologiche e socio-economiche, sia delle evoluzioni scientifiche e tecnologiche, con adattamenti ed adeguamenti continui agli stessi cambiamenti.
 
Il sistema è “saltato” perché si è andati (giustamente) dietro allo sviluppo scientifico e tecnologico … ma si è mantenuto anche “il vecchio”, con i modelli in essere, le tradizioni, le consuetudini e la stessa “forma mentis”  ancorate ai primi del ‘900 (DPR 128/’69).
È necessario ri-pensare l’intero sistema, guardando all’Europa, all’esperienza di altri, al superamento delle culture “arcaiche” che hanno costituito una grande zavorra per tanti anni.
 
Gli “Ospedali per intensità”
La spinta generalizzata verso gli “ospedali per intensità” trova molte più resistenze nella componente medica, piuttosto che nella componente assistenziale infermieristica.
Sarebbe sufficiente sviluppare modelli organizzativi e progetti di cura e assistenza integrati, multi-professionali, per arrivare a risultati significativamente diversi rispetto a quelli attuali, con molta più soddisfazione  (e garanzia) per gli utenti e con una diversa motivazione, gratificazione e sicurezza per l’intera équipe clinico-assistenziale.
 
Gli “Ospedali di comunità”
La gestione infermieristica degli ospedali di comunità non è una cosa nuova.
Già oggi ci sono Infermieri che dirigono, con successo, Distretti Sanitari, Servizi Socio Sanitari, strutture post acuzie, etc. etc..
L’innovazione deve riguardare l’individuazione dei ruoli e delle responsabilità per ogni tipo di struttura (ospedale, residenza, servizi territoriali, etc.), privilegiando la specificità delle competenze dei professionisti coinvolti ed interessati, rispetto alle prevalenze e alle caratterizzazioni dei trattamenti sanitari da garantire (es. prevalenza clinica o prevalenza assistenziale e, sulla base di ciò decidere la dirigenza professionale da privilegiare ).
 
L’Infermiere “di famiglia”
L’infermiere di famiglia trova forte richiamo degli indirizzi dell’OMS e nel vigente Patto della Salute.
Siamo in spaventoso ritardo!!
 
Però continuiamo a mantenere modelli antichi (es. il finanziamento delle PPIP) e il coinvolgimento (remunerato) di MMG/PLS su progetti che, di fatto, hanno prodotto risultati tanto diversi da quelli sperati (es. la diminuzione dei codici bianchi ai pronto soccorso).
La riorganizzazione “Balduzziana” è di una chiarezza assoluta. Lo sviluppo delle cure primarie deve concretizzarsi con l’attivazione delle UCCP e delle AFT.
 
In tali contesti dovrà trovare occupazione l’Infermiere di Famiglia (con il mantenimento della dipendenza dal SSN/R). 
 
Certamente va rivista l’organizzazione, probabilmente anche con una “rivisitazione” dei massimali al momento in essere (una aggregazione di MMG può prendersi in carico un numero maggiore di utenti, rispetto al singolo professionista), con la possibilità di offrire un servizio migliore, sia a livello ambulatoriale (una fascia oraria più ampia), sia a livello domiciliare (con la “presa in carico” e una continuità assistenziale assicurata dagli infermieri).
Una rimodulazione “pilotata”  (riorganizzazioni e pensionamenti) potrebbe consentire un importante miglioramento del servizio all’utenza e l’attivazione dell’Infermiere di Famiglia (in linea con gli indirizzi dell’OMS e con i principi fissati dal Patto per la Salute), ad iso-costi, con il mantenimento dell’equilibrio di bilancio.
 
3. L’impegno delle Aziende Sanitarie per la valorizzazione dei  laureati infermieri e delle loro competenze, evitando demansionamenti e deprofessionalizzazione
Il ri-disegno del sistema da parte delle Aziende Sanitarie (e, prima ancora, da parte delle Regioni) deve tenere conto di alcune importanti variabili quali:
 
- i cambiamenti che hanno interessato la formazione degli operatori afferenti alle 22 professioni sanitarie;
 
- i nuovi riconoscimenti di status e ruolo;
 
- i principi normativi di riferimento che regolamentano e disciplinano le professioni di cui sopra;
 
- le necessità di intervenire (e rivedere) i modelli organizzativi ed i sistemi di cura e assistenza;
 
- la necessità di favorire al più alto livello possibile le integrazioni professionali e multi-professionali, tenuto conto della nuova articolazione organizzativa (L. 43/2006) che prevede uno sviluppo su 4 livelli, comprendente: - il professionista generalista, il professionista specialista, il professionista coordinatore e il professionista dirigente.  Ovviamente ognuno di questi livelli deve interagire con la parallela articolazione organizzativa riguardante la “filiera” della componente medica, nel pieno rispetto delle specificità, ruoli, caratterizzazioni, e responsabilità individuali.  Vanno rivisti sia gli Atti Aziendali, sia gli organigrammi, al fine di consentire la chiarezza dei ruoli e la giusta valorizzazione delle professioni e dei professionisti interessati. 
 
4. Il rinnovo contrattuale
Solitamente si abbina il rinnovo contrattuale ai benefit economici.
Prima ancora la riflessione dovrebbe riguardare altri aspetti, quali:
 
- la categoria “D” in tutta la pubblica Amministrazione è il primo livello dei Laureati, con significativi cambiamenti nei ruoli e nelle responsabilità individuali;
 
- le 22 Professioni Sanitarie si caratterizzano per un pari riconoscimento di autonomia e responsabilità individuale, espressi dai singoli Profili Professionali, dalla L. 42/99, dalla L. 251/2000 e dalla L. 43/2006;
 
- la “progettualità”, che significa la capacità (per conoscenza e competenza propria) e la possibilità (giuridicamente prevista) di essere parte integrante nella definizione del progetto di cura e assistenza (governo clinico – es. Infermieri, Ostetriche, Fisioterapisti, Logopedisti, etc.), deve avere giusto riconoscimento contrattuale (rispetto a chi, pur agendo in autonomia e responsabilità propria, deve fare obbligatoriamente riferimento ad altri operatori con responsabilità decisoria/prescrittiva);
 
- ogni livello dell’articolazione organizzativa deve avere precisi percorsi curricolari e precise modalità per l’accesso, cui deve far riscontro un inquadramento contrattuale/economico adeguato, rispettoso delle responsabilità e della dignità (personale e professionale) di ognuno.
 
La riflessione e l’approfondimento di questi punti potrà essere di aiuto per la definizione e la strutturazione di tabelle significativamente diverse rispetto a quelle oggi presenti.
 
5. L’applicazione dell’articolo 6 della legge 43/06 che istituisce la posizione di “professionista specialista”
E’ sicuramente un importante riconoscimento e un grande passo avanti per lo sviluppo degli Infermieri e dell’Infermieristica.
 
Fermo restando il ruolo e la responsabilità ordinistica (e il pieno rispetto delle decisioni che seguiranno) alcune riflessioni, considerazioni e quesiti potrebbero essere di aiuto per un migliore inquadramento del progetto, in particolare:
 
- l’infermiere specialiste era già istituzionalizzato (e contrattualizzato) all’inizio degli anni ’70;
oggi andiamo a rendere operativo qualcosa che era già definito nel DM 739/’94 e nella L. 43/’06, rispettivamente a distanza di 22 e di 10 anni;
 
- mutuiamo un’esperienza già presente nella professione medica, non sempre garantista rispetto al sapere specialistico (teorico e pratico - certo) del professionista;
 
- vale la pena domandarsi quale significato può avere una formazione specialistica “generalista” quando le specializzazioni hanno la caratterizzazione della specificità  (es., relativamente all’Area Critica, le Terapie Intensive post operatorie, la Sala Operatoria, il Pronto Soccorso, il 118, etc. hanno specificità e caratterizzazioni proprie, difficilmente pensabili nello stesso percorso formativo;
 
- un’altra importante variabile è data dal  “contesto”.  La caratterizzazione di una  unità operativa di T.I. (es. un centro regionale di trapiantologia) rende inutile una formazione specialistica “di area” quando gli unici interessati sono gli operatori assegnati a quella struttura;
 
- potrebbe  essere preferibile seguire la linea definita dalla Commissione Nazionale ECM, relativamente alla strutturazione del “Dossier Formativo” (saperi necessari ai singoli e ai gruppi per operare in quel dato contesto), in modo da favorire l’acquisizione di competenze avanzate, la definizione e lo sviluppo di progetti, percorsi e processi, nonché l’integrazione multi professionale, in linea con quanto definito nell’allegato al Decreto 70/2015, riguardante 8 criteri fondamentali per l’autorizzazione e l’accreditamento.
 
La speranza è che il tavolo tecnico attivato per il 25 maggio p.v., e successivamente l’ARAN, possano affrontare – con serenità – le pesanti questioni che riguardano la riorganizzazione del sistema sanitario e la tornata contrattuale (di difficile sostenibilità economica) e ridare agli Infermieri (e alle altre professioni) un nuovo entusiasmo e una nuova possibilità di immaginare e di sognare, come avvenne 22 anni fa!
 
Marcello Bozzi
Infermiere - Pescara

16 maggio 2016
© Riproduzione riservata

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