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Appropriatezza e linee guida. L’esperienza del Veneto

di Alessandro Camerotto e Vincenza Truppa

24 MAR - Gentile Direttore,
con grande interesse abbiamo letto le pubblicazioni su Quotidiano Sanità, a firma di Ivan Cavicchi, di Alberto Donzelli, del Comitato Scientifico della Fondazione Allineare Sanità e Salute e del Centro Studi Consorzio Sanità, su appropriatezza e lineaguidari. Questo nostro intervento intende portare un contributo al dibattito illustrando una soluzione informatica della Regione Veneto che fornisce risposte concrete alle complesse problematiche poste dai colleghi e garantisce – già oggi - compossibilità tra clinica, economia ed etica.
 
Noi, medici ospedalieri in trincea, non ce la facevamo più di aspettare una nuova formazione professionale dalla Fnomceo o i tempi biblici delle decisioni politiche. Ci siamo fatti carico di trovare una soluzione strutturale (non contingente) ed aggiornabile ad horas. Non vuole essere una panacea ma traccia una via.
 
Partendo dall’affermazione citata di Sackett, fondatore dell’EBM, “il medico dopo aver identificato e valutato le migliori prove disponibili e averle integrate con la sua esperienza decide nel rispetto di aspettative, valori e preferenze del paziente”, crediamo si possa tutti convenire che per decidere è necessario, in primis, conoscere (identificare e valutare le migliori prove disponibili).
 
Senza conoscenza l’assunto di Sackett perde automaticamente significato. D’altro canto, alla base dell’appropriatezza, trasversalmente alle 6 concezioni citate da Ivan Cavicchi, c’è una decisione consapevole, frutto di conoscenza e di esperienza.
Noi, infatti, siamo fermamente convinti che la conoscenza sia alla base dell’appropriatezza e da questa discenda la possibilità della riqualificazione della spesa senza riduzione dei capitali impegnati. In ultima analisi l’obiettivo di Choosing Wiseley caro a Slow Medicine.
 
Se questa base è ragionevolmente condivisibile, la chiave del problema è: il medico può possedere “sempre” un livello di conoscenza adeguato per un’azione appropriata nel momento esatto in cui agisce? La domanda non è retorica, considerato la velocità esponenziale d’innovazione e obsolescenza in medicina e la mole di informazioni consolidate, teoricamente già possedute, frutto del bagaglio di studi universitari istituzionali. Questa conoscenza, in un approccio epistemologico, è insidiata dai noti limiti dei processi cognitivi (bias cognitivi) che espongono ad errori ricorrenti, pervasivi, sistematici, non intenzionali e inconsapevoli di giudizio nel ragionamento clinico (abitudini, automatismi, lapsus, autoconvalida, percezione selettiva, categorizzazione…e, non ultimi, i limiti strutturali di memoria e di elaborazione).
 
E necessario poi garantire una sanità appropriata (cioè aggiornata, quindi infusa di conoscenza) a tutti i cittadini in un contesto a risorse limitate, dove, ricordiamolo, il singolo atto medico impegna una goccia dei 111 miliardi del fondo SSN.
 
Per quest’ultimo motivo, il Decreto sull’appropriatezza a quali medici si rivolge?
Ai medici sottoscrittori di un contratto di lavoro con il SSN e che quindi dovrebbero essere sottoposti all’accountability, cioè l’'obbligo di rendere conto delle proprie decisioni e responsabili per i risultati conseguiti. Non è ovviamente prerogativa specifica medica ma applicabile a soggetti pubblici che hanno responsabilità verso la collettività. L’accountability rimanda al dovere - dei decision makers - di rendere conto delle loro scelte, azioni, politiche e di rispondere delle conseguenze. Riconosce alla collettività il diritto di essere informata di tali decisioni, di criticarle e di avere risposte. Oltre agli aspetti di rendicontazione, l'accountability presuppone dunque anche trasparenza (i decision-makers devono rendere pubbliche le loro decisioni e motivazioni) e partecipazione (devono esistere spazi pubblici per la comunicazione, la critica, il contraddittorio).
 
D’altro canto, un medico, che non intenda limitare la propria autonomia professionale e sottostare a regole di accountability, può scegliere liberamente di operare al di fuori del SSN.
In quest’ottica, con Cavicchi, possiamo dire che il decreto Lorenzin, ha obiettivi condivisibili ma non il modo come si intende raggiungerli.
Siamo convinti infatti si possa trovare uno strumento che nell’autonomia professionale permetta il continuo aggiornamento delle conoscenze per rendere i medici promotori e attori di appropriatezza, modulando la verità di ragione (delle EBM e linee guida) alla verità di fatto della clinica, contingente, empirica e singolare.
 
A nostro avviso, il problema centrale non è, come scrive Cavicchi, tra il cosa fare e il chi fa, bensì è come fare, perché cosa fare, lo sappiamo (EBM, linee guida ed esperienza) e chi lo deve fare anche (il medico autore nella sua autonomia professionale). Ma non sappiamo ancora come fare a “linkare” questi due aspetti raggiungendo un livello di appropriatezza adeguato alle necessità cliniche dello stakeholder finale per il quale è stato istituito il SSN: il cittadino.
 
Il singolo medico, nell’esercizio quotidiano della sua funzione, è in grado di soddisfare tutti i requisiti per raggiungere un’adeguata appropriatezza, quando si trova con il paziente davanti, la fila fuori della porta e la necessità di applicare il metodo Cochrane per cercare le migliori linee guida (convenzionali ex ante) per quel peculiare caso in esame (fattuale ad oculum)?
Da solo evidentemente non ce la farà mai per limiti strutturali fisici, di capacità cognitiva e di tempo.
E’ necessario quindi fornire al professionista un supporto nel momento esatto del bisogno, che sia user friendly, lean, in equilibrio tra autonomia professionale, accountability e aggiornamento continuo hic et nunc.
 
Esiste questa soluzione?
I lineaguidari direbbero di no perché, a nostro avviso, nel loro habitus mentale con un’idea autoritaria di scienza, è avvenuto uno switch lessicale: hanno assunto la linea guida come dogma contravvenendo all’etimologia stessa della parola e al vericazionismo falsificazionista di Popper.
Per loro la metodologia è solo rigorosa, ma con risultati non certo brillanti .
Sono infatti passati almeno 20 anni dai primi studi che evidenziavano una inappropriatezza nella prescrizione di esami di laboratorio intorno al 33% e, dopo 20 anni di produzione di linee guida, protocolli, convegni, corsi ECM ect. gli studi ci dimostrano che l’inappropriatezza è ancora praticamente agli stessi livelli.
E’ ovvio che così la politica e l’opinione pubblica perdano la fiducia nella capacità della classe medica di “raddrizzare il tiro” e assumano iniziative, sbagliate nel modo, che provano a mettere un argine.
 
Ci dobbiamo rassegnare?
Noi diciamo assolutamente no, perché crediamo che la soluzione ci sia, già pronta per la Medicina di Laboratorio, ma applicabile ad altri ambiti.
E’ il Sistema Ermete, in fase di avvio nella Regione Veneto curato da Arsenàl.IT- Centro Veneto Ricerca e Innovazione per la Sanità Digitale.
In sintesi, il sistema, utilizza le opportunità dell’Information Comunication Technology (ICT), all’interno del fascicolo sanitario elettronico e del flusso della prescrizione della ricetta dematerializzata.
Nella pratica, il medico, all’atto della prescrizione, utilizzerà il proprio consueto applicativo gestionale. Nel momento in cui inserirà un esame, la congruità della prescrizione SSN sarà verificata sotto due punti di vista: aspetti formali amministrativi (codice fiscale ed esenzioni) e conoscenza: apparirà sullo schermo un indirizzo di prescrivibilità (IP), che gli fornirà la conoscenza essenziale per una prescrizione appropriata. Il medico potrà valutare l’IP a fronte del suo caso specifico, avendo anche la possibilità di approfondire i concetti espressi nel sintetico IP con i riferimenti bibliografi che puntualmente seguono l’indicazione.
 
A questo punto il medico potrà decidere se aderire o meno al suggerimento.
Il sistema esperto, infatti, proporrà e traccerà 4 motivi di non adesione alle indicazioni proposte:
1. per situazione clinica non prevista nell’indicazione
2. per prescrizione indotta specialistica
3. per disaccordo sull’indicazione
4. per altra motivazione
 
Il medico quindi è assolutamente libero di scegliere o meno l’adesione al suggerimento ed ha come unico vincolo l’assunzione di responsabilità.
La tracciabilità è prevista non certo per una medicina amministrata /ispettiva ma come valore aggiunto che permette al sistema di “aggiustare continuamente e mantenere la rotta” sulla mission statement di Ermete: fornire uno strumento per la trasmissione della conoscenza che aiuti il medico nella prescrizione di prestazioni utili/appropriate per il paziente.
 
Chi redige e approva gli IP?
Gli IP sono redatti e approvati da un board scientifico costituito da tutti gli stakeholders (società scientifiche, medici di medicina generale, ospedalieri, universitari, rappresentati delle istituzioni e rappresentanti dei cittadini).
I componenti del board sono figure universalmente riconosciute come autorevoli/rappresentativi nei singoli campi, di provata esperienza e competenza , con ruoli istituzionali negli Ospedali, nelle Cliniche Universitarie e nel Territorio. Essi redigono e approvano gli IP secondo principi di scienza e coscienza, principi che quotidianamente applicano nell’esercizio delle loro funzioni professionali e sui quali hanno “giurato” all’atto dell’iscrizione agli ordini. La scienza/conoscenza, trasferita dai membri del board negli IP, è frutto della peculiare esperienza professionale individuale, nonché della pratica clinica sul campo, del bagaglio di studi accademici ed extra accademici, delle relazioni scientifiche interpersonali nei vari ambiti specialistici, dell’insegnamento e della formazione continua, EBM e linee guida.
 
Ogni professionista del board, in altre parole, “ci mette la faccia” e gli è riconosciuto il diritto morale di auto-re. Per di più, tutti i colleghi (extra board) possono interagire con il board stesso, diventando autori, attraverso mailing list dove gli IP possono essere valutati, criticati e migliorati nella loro forma, contenuto e nella concreta applicabilità quotidiana. Si passa quindi da un sistema metodologicamente rigoroso e a valore dogmatico di produzione di linee guida e con un medico mero esecutore trivial machine a una medicina della scelta basata sulla fiducia professionale tra pari.
Ermete è quindi costruito dai medici per i medici, dove tutti sono attori e responsabili delle scelte compiute.
 
Come si costruiscono gli IP?
Nella loro redazione il board si ispira ad alcune regole tra cui :
-Costruire indicazioni utili nella fase di prescrizione, nel preciso momento del bisogno, cioè “davanti al paziente”, quando è poco il tempo a disposizione e nella difficoltà di consultare fonti scientifiche. La domanda fondamentale che guida la stesura degli IP è “di quali informazioni il prescrittore ha bisogno?”
- Tendere a una sintesi del sapere, riportando all’essenziale la conoscenza, con frasi brevi, chiare, d’immediata comprensione e inequivocabili.
 
Naturalmente gli IP non intendono esaurire tutte le possibilità diagnostiche esistenti, chiudere il processo conoscitivo e cristallizzare la complessità in ricette preconfezionate all’interno di uno schema. Al contrario, con un aggiornamento in tempo reale attraverso la rete, suggeriscono e orientano verso ciò che è sotteso sotto un’ipotetica curva gaussiana e che rappresenta statisticamente il maggior numero di eventi/possibilità. Poiché la medicina non è sempre a distribuzione normale, il sistema prevede, di conseguenza, la violabilità del suggerimento.
 
In sintesi, la strutturazione degli IP avrà la finalità di:
- essenzializzare la conoscenza, fornendo al medico, ex novo, un’informazione non posseduta;
- o rimandare, istantaneamente, a un universo concettuale di conoscenza, già posseduto, ma disorganizzato e sotto l’inevitabile azione di bias.
Lascia quindi libertà e autonomia professionale al medico, all’interno di una complessità irriducibile.
 
Quali sono i tempi di redazione, approvazione e revisione degli IP?
I medici hanno ben presente cosa significhi cercare inutilmente nel nomenclatore prestazioni LEA ritenute utili, e trovare invece nell’elenco prestazioni obsolete e superate.
I tempi “ministeriali” infatti di aggiornamento del nomenclatore non sono certo adeguati alla velocità di innovazione (ed obsolescenza) della medicina.
 
E questo è un altro importante fattore di inappropriatezza.
In Ermete la redazione degli IP avviene in revisione 0 (rev.0) da parte di esperti della materia per singoli capitoli nosologici (neoplasie, rischio trombotico, rischio emorragico, terapia estroprogestinica etc..). Questa è inviata in rete in pubblic comment ai componenti del board che hanno un tempo definito (generalmente 15 giorni) per correzioni, critiche o contributi (rev.1). Alla fine di questo periodo il board si riunisce con un incontro de visu per l’approvazione finale (rev. 2).
 
Le successive revisioni (2.1 etc.) saranno prodotte al bisogno, a seguito di novità scientifiche o con il contributo dei medici prescrittori come sopra descritto.
 
In conclusione lo sforzo di Ermete è implementare una soluzione ICT, lean, basata sulla fiducia, in equilibrio tra autonomia professionale, accountability e aggiornamento continuo, aggiornabile e modificabile in tempo reale.
Un sistema quindi, ci auguriamo, invocato (e non subìto) dai medici, quale strumento utile a supporto della professione e a beneficio della collettività.
 
Dott. Alessandro Camerotto
Direttore ff UOC Medicina di Laboratorio ULSS 18 Rovigo
Responsabile Scientifico Progetto Ermete Regione Veneto

 
Dott.ssa Vincenza Truppo
Dirigente medico Medicina di Laboratorio ULSS 18 Rovigo
Ricercatrice Progetto Ermete Regione Veneto


24 marzo 2016
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