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La sentenza del Tribunale di Milano sulla responsabilità del medico: facciamo chiarezza

di Francesco Lauri

14 OTT - Gentile direttore,
ieri mattina alcune testate giornalistiche, tra le quali Quotidiano Sanità, riportavano una notizia destinata a cambiare definitivamente il corso del contenzioso civile in materia di malpractice medica. Secondo una recentissima sentenza del Tribunale di Milano, infatti, la colpa del medico deve essere provata dal paziente che ha solo cinque anni per agire e non più dieci. Alla base di una simile “rivoluzione” vi sarebbe la diversa qualificazione giuridica della colpa medica, non più contrattuale ma extracontrattuale in linea con quanto previsto dalla CD legge Balduzzi.

La sua pregiata testata, poi, ospitava il commento alla sentenza del Presidente OMCEO di Milano, Roberto Carlo Rossi il quale ha parlato di “sentenza storica” destinata, tra l’altro, a far “venir meno alcune delle ragioni della cosiddetta medicina difensiva”.
Due ordini di motivi mi portano a dove rettificare simili interpretazioni: il primo è legato al mio ruolo di Presidente di Osservatorio Sanità, associazione da sempre convinta che alla base di un errore medico vi sia – quasi sempre – un errore di sistema il che dovrebbe limitare, prevalentemente, il contenzioso alle sole strutture sanitarie, salvi i casi di errore umano.
Il secondo motivo, è che la sentenza de qua ha definito qualche mese fa un giudizio introdotto proprio dal mio studio legale, il che mi spinge e rendere pubbliche le riflessioni su un provvedimento di sicuro interesse giuridico e, verosimilmente, destinato – almeno a Milano – a fare precedente.

A mio modo di vedere, lungi dal voler cancellare con un colpo di spugna “un ventennio di giurisprudenza italiana” come ampollosamente riferito da qualche cronista, la pronuncia ha invece il pregio di fare chiarezza sulla portata dell’art 3 della L.189/2012 (Legge Balduzzi) precisando che:
1) Se un paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in “contatto” presso la struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto, la responsabilità di quel medico andrà ritenuta di natura extracontrattuale, ciò comportando un onere probatorio a carico del paziente ed un lasso temprale per agire ridotto a cinque anni;
2) Se nel caso suddetto, oltre al medico è convenuta dall’attore anche la struttura sanitaria presso la quale l’autore del fatto illecito (il medico) ha operato la disciplina andrà distinta (extracontrattuale per il medico e contrattuale per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell’onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento;
3) Tale diversa qualificazione, nasce dal fatto che l’articolo in esame – e la Balduzzi in generale – non ha alcuna incidenza sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) che risponderà in via contrattuale nei confronti del danneggiato anche per colpa dei suoi dipendenti o ausiliari.

Come interpretare, in concreto, la portata di una simile pronuncia? A mio parere in maniera assai semplice: se il cittadino non è in grado di allegare un “contratto” (concetto su cui si dovrà molto discutere in futuro essendo lecito ipotizzare, soprattutto in ambito ambulatoriale, la conclusione di un contratto per “fatti concludenti”) e/o di dimostrare che il medico non abbia rispettato i protocolli, le linee guida e la buona prassi, meglio che desista dal coinvolgerlo in giudizio e limitare la sua azione, da esperirsi entro dieci anni dal verificarsi del fatto dannoso, alla struttura sanitaria (pubblica o privata è indifferente) al cui interno si è verificato l’evento.

Spetterà a quest’ultima fornire la prova positiva che i danni patiti dall’attore non siano imputabili all’operato dei suoi dipendenti e/o ausiliari, rispondendo, in difetto, di inadempimento contrattuale ai sensi dell’art 1228 C.C.
Quindi, lungi dal rappresentare un freno alla cd medicina difensiva - che, per molti aspetti, rappresenta invece l’altra faccia della medaglia di una corretta diagnosi differenziale – l’illuminata sentenza del Tribunale di Milano ha il pregio di voler riequilibrare un rapporto tra medici e strutture fino ad oggi sproporzionato, veicolando le azioni giudiziarie verso l’accertamento delle responsabilità non già del singolo medico (destinato, per definizione, nell’arco della sua carriera a commettere un errore) ma della struttura sanitaria all’interno della quale – spesso per disfunzioni organizzative – l’errore si è verificato.

Un simile orientamento dovrebbe condurre ad un’implementazione radicale dei sistemi di prevenzione del rischio, giacché se gli errori non diminuiranno e le strutture sanitarie italiane(la maggior parte delle quali NON assicurate) saranno le uniche a doverne rispondere, i cittadini vittime di errate prestazioni mediche rischieranno di trovarsi tra le mani sentenze di condanna perfettamente inutili, stante l’insolvenza cronica di ASL e Aziende Ospedaliera.

Avv. Francesco Lauri
Presidente di Osservatorio Sanità  

14 ottobre 2014
© Riproduzione riservata

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