La politica della Giunta Zingaretti e l'allungamento delle liste d'attesa
di Stefano Canitano
09 OTT -
Gentile Direttore,
leggiamo quotidianamente degli sforzi profusi dalla Giunta regionale del Lazio in molti campi quali il risanamento del bilancio, la trasparenza delle fatture e le altre iniziative più o meno innovative che frequentemente vengono descritte dai media delle quali poco ci intendiamo.
Constatiamo però con dispiacere (il plurale non è majestatis ma è riferito a chiunque abbia anche una rudimentale competenza in materia sanitaria) che nella voce più gravosa per le esangui casse regionali, cioè la spesa sanitaria, la Regione continui a saltabeccare fra scelte demagogiche, manifesta attenzione verso gruppi privati ed evidenti tentativi di destrutturazione del sistema, come abbiamo già rilevato in occasione dell’approvazione dei Piani operativi, apparentemente senza una idea organica che possa salvare il servizio pubblico di tutela della salute dall’asfissia alla quale sembra ormai inevitabilmente destinato.
Abbiamo di recente assistito alla proliferazione mediatica sulla lungimiranza del Presidente Zingaretti nell’affrontare con piglio deciso (e certamente non risolvere) il problema delle liste di attesa stanziando ben sette milioni per aumentare la produzione di indagini diagnostiche, in specie TC e RM, ma anche ecografie. Queste ulteriori preziose risorse verranno utilizzate per far lavorare le macchine (e anche il personale, già in ampio deficit e superlavoro) anche di notte, e persino nei festivi.
Dopo la tanto sospirata ventata di consenso da parte dell’opinione pubblica vorremmo, anche se non gradito, interporre un parere di tipo più tecnico e più lontano dalle esigenze di compiacimento, che purtroppo la fanno ancora da padrone nelle scelte organizzative della politica locale.
Le attuali scelte del Governatore della Regione Lazio su cosa e chi potenziare e sostenere con i propri finanziamenti sono naturalmente libere, e non è certamente prioritario per noi attualmente discutere, come altri fanno, quanti denari finiranno nelle casse della famosa struttura religiosa coinvolta, certamente molti, rispetto a quelli che finiranno nelle magre casse delle aziende pubbliche ormai quasi tutte allo stremo delle risorse.
Né ci interessa discutere delle ricadute politiche, cioè se e quanto conti l’appoggio riconoscente di una organizzazione certamente potente.
Ci sta invece a cuore, perché spia e apparentemente figlia minore di una più preoccupante mancanza di informazioni basate sulle migliori evidenze (come si usa dire in medicina), la gestione delle liste di attesa. Sentiamo l’esigenza di spiegare al colto e all’inclita perché questo provvedimento non solo non risolverà questo annoso problema , da tempo usato come cavallo di battaglia politica, ma con molta probabilità lo aggraverà contribuendo al lievitare della spesa pubblica con altri inutili aggravi per i cittadini (le c.d. spese “off pocket” ). E tutto questo varrebbe anche se il 100% delle prestazioni ulteriori fossero state affidate alle strutture pubbliche.
Qualche informazione in più può risultare utile a capire: l’Italia è il paese che, dopo la Grecia e gli Stati Uniti, esegue il maggior numero di esami diagnostici pro-capite del mondo occidentale. Più della Francia, più della Germania e di altri paesi dove certo le liste di attesa non sono un problema né cogente né emergente. E il Lazio è la regione con il maggior numero di esami pro-capite d’Italia. Quindi, non è difficile comprendere che siamo già in una regione con il maggior numero proporzionale di esami diagnostici al mondo.
Il nostro problema non è certo quello di aumentare la produzione di esami diagnostici; anche per i non addetti ai lavori ormai è noto che in sanità l’aumento dell’offerta determina l’aumento della domanda. Studi internazionali hanno dimostrato da decenni che con l’incremento delle prestazioni non si riducono le liste. Dopo un iniziale effetto apparentemente positivo, si verifica un notevole effetto rimbalzo che fa saltare l’equilibrio del sistema. A tutto ciò si associa anche il problema culturale derivante, ovvero viene recepito il messaggio salute=esami, costringendo nel lungo periodo i cittadini a mettere mano al portafoglio per procacciarsi gli stessi esami (privi di utilità) ricevuti in precedenza dal Ssn.
Non possono essere dimenticati anche altri meccanismi, sui quali non intendiamo tediarLa nel dettaglio, quali la medicina difensiva, oppure la diffusa convinzione che la “prevenzione” consista in una serie di esami diagnostici (come il “check-up” - vecchio mostro della medicina), e persino gli screening, che cominciano, addirittura, a essere messi in discussione. Meccanismi che, contro ogni “evidenza” scientifica , moltiplicano le richieste di esami inutili fuori da ogni criterio logico su cosa è necessario e appropriato, e cosa non lo è.
Tutto questo purtroppo porta ad allungare le liste di attesa che divengono così un grande circo di persone sane che ostacolano, inconsapevolmente, l’accesso ai malati. L’esame inutile, ovvero quello non determinato da una scelta clinica, per definizione, è quello che non conduce a una decisione diagnostica o a una scelta terapeutica. Ma gli esami inutili purtroppo si continuano a eseguire, a dispetto di tutta la letteratura scientifica e di linee guida e norme già esistenti, basti pensare alla Legge 423/2006, del Lazio stesso, che circoscrive le indicazioni alla esecuzione degli esami, al pari delle note AIFA per i farmaci.
La Legge 502/92 per le strutture pubbliche, che ha introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio per le Aziende sanitarie, e la necessità del profitto imprenditoriale per le accreditate e classificate, finisce per imporre a enti virtuosi e non virtuosi di riempire le sale di persone che in molti casi avrebbero bisogno semplicemente di una spiegazione sull’inutilità di quell’esame diagnostico. Oltretutto troppo spesso ci si dimentica della violazione, nel caso delle TC, di una legge dello Stato (187/2000) che configura quale reato l’esposizione inutile a radiazioni ionizzanti per i cittadini che non ne abbiano necessità.
In Italia, lo ribadiamo, produciamo oltre 100 milioni di esami diagnostici ogni anno. Non disponiamo di alcun progetto di gestione delle liste di attesa secondo priorità, nessun filtro agli esami non necessari è stato messo in cantiere, nessuna società scientifica o referente competente in materia è stato consultato dalla regione; dal Ministero della Salute sì, ma non dalla Regione Lazio, che preferisce , chissà perché, evitare società scientifiche e sindacati.
Nel frattempo società private di caporali, mascherate da moderne start up, emanazione di grandi assicurazioni o da cooperative partecipanti a progetti di “ricerca” sull’appropriatezza, sfruttano - con compensi da miserabili - giovani radiologi, tenendoli al guinzaglio e dietro continua minaccia di licenziamento alla minima pretesa di rispetto e dignità. È per queste articolazioni schiavistiche che è stata inclusa nei piani operativi, fra le gare effettuabili dalla centrale acquisti per beni e servizi, anche quella per “servizi sanitari”?
Questo pozzo senza fondo appena scavato dove finiranno inutilmente questi 7 milioni di euro, che molto più utilmente avrebbero consentito di sanare i precari e aiutare gli altri colleghi arruolati con i cosiddetti contratti atipici, produrrà ancora altri esami ed interventi inutili e dannosi come le dilatazioni coronariche non necessarie che così spsso seguono alle Cardio TC e alle cardioRM, senza giustificazione funzionale.
Mentre in tutta Italia si affronta il nodo della prioritarizzazione degli esami, i Raggruppamenti Omogenei per le liste di Attesa, i percorsi diagnostico-terapeutici per limitare il ricorso alle sole prestazioni davvero utili, nel Lazio in via di ‘Lombardizzazione’ si butta sul panno verde un inutile azzardo, e la storia continua…
Stefano Canitano (segretario regionale Lazio Snr Fassid e medico Istituto Tumori Regina Elena)
09 ottobre 2014
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