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Competenze infermieristiche. In tutto questo ‘bailamme’ non dimentichiamoci il paziente

di Francesco Petrosino

14 GEN - Gentile direttore,
in questi giorni si fa un gran parlare delle competenze specialistiche che si vorrebbero attribuire a noi Infermieri. Ho letto tanto, e tanti hanno scritto, soprattutto Medici preoccupati di questa cosa: questo mi ha fatto riflettere molto, ovvero sul come una professione voglia mettere bocca e mani su una professione che è diversa da essa. Come se un meccanico volesse dare ordini ad un elettrauto. Ognuno ha delle competenze specifiche e proprie, e su di queste solo coloro che le esercitano possono, secondo me, poter  giudicarne l'evoluzione. Come mai, allora mi chiedo, non si è creato un polverone tale all'emanazione della Legge 42/99? Forse i Signori Medici erano distratti o in altre faccende affaccendati? Senza voler entrare in sterili polemiche, credo che nel discorso che è in essere i Medici possano essere presenti, ma non avere un ruolo così preponderante: qualche collega ha infatti giustamente affermato che noi non siamo entrati nel merito dell'acquisizione del ruolo di Dirigente da parte dei colleghi Medici, nonostante molti di loro non dirigano nulla, proprio perché non era una questione inerente la nostra professione. 

In tutto questo bailamme ho purtroppo notato esclusivamente una cosa, il venir meno della considerazione di quella che è la centralità del nostro agire quotidiano, il paziente, il nostro cliente, colui che si rivolge a noi, colui che spesso per necessità arriva al nostro cospetto, ed è alla ricerca di un servizio; penso dunque che il nostro prodotto debba mirare ad essere il meglio di quello che si può trovare sul mercato. Ben venga la competenza specialistica, a mio avviso, se questa può portare alla qualità delle cure offerte. La classe medica, o parte di loro, ha portato l'esempio della durata dei corsi di studi di entrambe le professioni oggetto del contendere e la non sovrapponibilità degli stessi; ovvio che sia così, io aggiungerei, facciamo cose diverse che richiedono corsi di studi diversi con durate diverse, forse ci si è allontanati da quella che è la singola essenza delle professionalità, quella che gli anglosassoni distinguono nel 'to care' e nel 'to cure', differenza che noi Infermieri conosciamo bene. Non vogliamo certamente fare diagnosi di patologie, né tantomeno portare avanti un intervento di sostituzione valvolare, vogliamo solo essere parte integrante ed attiva, allo stesso piano degli altri professionisti della salute, nei PDTA e nella 'gestione' dei nostri clienti. Vogliamo che vengano previsti vari livelli di carriera anche per noi Infermieri, con una retribuzione correlata al livello che si ricoprono, senza ricercare il quotidiano appiattimento verso il basso che la classe medica attuale auspica.

Perché non prevedere anche per noi Infermieri la direzione di strutture semplici o complesse di servizi prettamente infermieristici? La questione fondamentale, il punto che ho individuato essere il cardine del problema, è la spendibilità dell'Infermiere nel SSN, che è assolutamente varia: vogliamo solamente 'certificare' ciò che facciamo quotidianamente, far vedere a tutti l'importanza del nostro agire, evitando di far passare ciò che facciamo come operato del Medico. Noi siamo ovunque, perché la nostra formazione di base è ‘multisfaccettata’, siamo utilizzati nei più disparati settori, per poi poterci specializzare in corso d'opera, raggiungendo alti livelli in tempi brevi: sempre e comunque rimanendo nell'ambito dell'assistenza. Forse è questo che fa paura oggi, chiarire le competenze specifiche dei singoli professionisti, il voler uscire dall'ombra della figura medica, ma senza assolutamente voler far nostre le loro competenze. Siamo cresciuti in questi anni, per nostra scelta, per nostra volontà e non per sottomissione allo scorrere degli eventi, abbiamo un percorso di studi universitario e formazione post-base. Abbiamo quindi tutte le carte in regola per crescere professionalmente. 

Non guardiamo ai nostri interessi, ma a quelli del sistema in cui operiamo. Perché non possiamo posizionare un PICC? Perché non ridurre i tempi di attesa per un accesso venoso centrale, ed i rischi ad esso connessi? Forse perché togliamo qualcosa ai Medici Rianimatori? Credo che si debba invece guardare la cosa da un punto di vista differente: non leviamo nulla loro, utilizziamo una evoluzione di una procedura nostra da anni, l'accesso venoso periferico, lasciando loro più tempo per quelle procedure di loro esclusiva competenza, come il posizionamento di un CVC ‘tunnellizzato’ o di un Port-a-cath. Sarebbe un lavorare insieme, e non un contenderci qualcosa.

Perché non potersi avvantaggiare di un Infermiere specialista in medicazioni avanzate? Forse perché togliamo qualcosa ai Chirurghi? Pensino alla chirurgia, il loro campo d'azione, e lascino a noi l'evoluzione di una procedura da anni pane quotidiano della nostra attività.

Perché non ottimizzare i tempi con un Infermiere sono grapher? Togliamo qualcosa ai Cardiologi? Non credo. Lasciamo semplicemente loro più tempo per la lettura e la diagnosi, sempre e comunque di loro competenza.

Ogni giorno noi Infermieri gestiamo NIV, respiratori, apparecchiature per ultrafiltrazione; diamo una lettura veloce ad un Holter alla ricerca di aritmie potenzialmente fatali, prima che un Medico possa trovare il tempo di farlo, diamo loro un aiuto, non facciamo certamente diagnosi di patologia. E potrei andare avanti per ore.

Negli ultimi anni ho la consapevolezza che il livello di inferiorità in cui vivevano gli Infermieri stia pian piano svanendo: vedo giovani studenti di Medicina al sesto anno che cercano di imparare ad eseguire un prelievo arterioso per EGA, mentre non riescono neanche a riconoscere un'acidosi da un'alcalosi. Questa è la mia preoccupazione, il contendersi di campi di azione che invece sono ben delineati; e chi ne soffrirà sarà solo ed esclusivamente colui che si rivolge al sistema Sanità.

Sono infine assolutamente d’accordo con la proposta "Cabina di regia", soprattutto quando si afferma che "Medici, Infermieri e gli altri professionisti della salute riconoscono i relativi e specifici campi di  intervento, autonomia e responsabilità e concorrono a garantire unitarietà del processo di cura e assistenza attraverso la definizione integrata di obiettivi, percorsi e criteri di verifica e valutazione degli esiti e dei risultati" e che "la responsabilità professionale sulle decisioni e gli atti compiuti nell'ambito dei processi di cui si è garanti, è personale e posta in  capo a colui che tali  decisioni e atti ha assunto e compiuto anche nell'esercizio di competenze avanzate o di tipo specialistico". Sagge parole, aggiungo. Proud to be a Nurse.
 
Francesco Petrosino
Infermiere clinico

14 gennaio 2014
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