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Competenze infermieristiche. Quanto tempo perso per non voler accettare la sfida del cambiamento

di Elio Drigo

13 GEN - Gentile direttore,
il dibattito che si va sviluppando (o avviluppando?) sul tema aperto dalla iniziativa di ridefinire le competenze infermieristiche si sta dilatando in maniera abnorme ed assumendo e inglobando posizioni ed opinioni a volte aprioristiche, quando non strumentali.
Risulta perfino difficile riuscire a stare dietro alle innumerevoli azioni e reazioni sulla vicenda; e citare qui nomi di chi interviene è sicuramente parziale, anche perché diverse opinioni sono ricorrenti. Un tentativo per alcune puntualizzazioni comunque, mi pare opportuno.
Polillo (ma veramente, citando un nome solo per iniziare …) in uno degli ultimi interventi, con una disamina sull’evoluzione delle professioni, legge il tutto esclusivamente in termini di interesse di categoria tipicamente “capitalistici”. La storia è certo lotta per il potere, per il controllo sociale, lotta “dei saperi istituzionalizzati a piegare a proprio vantaggio le regole del gioco per acquisire fette crescenti di mercato”; ma non solo. Non è solo questo! La storia ha anche “risvolti etici e di servizio per la tutela dei cittadini”. Se così non fosse, saremmo alla barbarie (ed infatti, visto l’attuale prevalere delle forze autocentrate, constatiamo tutti un imbarbarimento della nostra “società”). La storia è anche altro.

Gli infermieri – sembreranno ingenui, ma non intendono venir meno alla propria responsabilità verso la società – hanno sempre dichiarato che le istituzioni ed il loro funzionamento devono essere concepiti in funzione del bene comune, non dell’interesse particolare; di chiunque questo fosse ed hanno tentato di essere conseguenti. Certo, da questa posizione non può derivarsi che essi e solo essi, rinunciano a priori al proprio giusto ed equilibrato riconoscimento nell’insieme di un sistema così concepito, come la nostra Costituzione indicherebbe. Certe originali considerazioni di opinionisti più o meno improvvisati o interessati in materia di infermieri e di assistenza, sembrerebbero dare per scontata o suggerire tale rinuncia, magari rimandando a tempi migliori. Altri, non leggendo nemmeno nei fatti l’evoluzione, imperterriti, considerano scontata la propria invarianza, mentre pretendono l’adattamento di tutti i “non-essi stessi” ai loro determinismi ed ai loro ipertrofici confini (un esempio: la definizione stilata di “atto medico”, ancorché in sé fuori dal tempo, è inutile, perché indica praticamente tutto…).

La questione della definizione delle competenze degli infermieri in prima istanza, non è stata voluta dagli infermieri: ci sarebbero già norme – a volerle accettare – che guidano una interazione fra le professioni.
Sembra perfino umiliante dover qui continuare a ripetere che agli infermieri non interessa fare i medici bonsai (a parte qualche frangia fisiologica non ben collocata e comunque analogamente ben presente e distribuita in tutte le professioni…).
Non sembra invece per nulla inutile ribadire – magari qualcuno capirà, che agli infermieri interessa riuscire a garantire un “assistere” soprattutto nelle situazioni di malattia (ma anche in prevenzione e riabilitazione) degno delle esigenze dei sistemi e delle persone di “oggi”. Il che significa anche riuscire a fornire risposte organizzative complessive per la vita quotidiana delle persone in ambito sanitario e significa integrare tutti i processi di “diagnosi e cura”, che, se non adeguatamente presi in carico nella continuità, diverrebbero inutili o pericolosi.
E questa specificità può derivare solo da una formazione profonda, diversificata e complessa, che metta in grado di affrontare la complessità, che si integri con le altre discipline. A che serve disquisire oggi per ridurre (sic!) la formazione dell’infermiere? A che serve la polemica solo strumentale di richiamare gli infermieri al loro dovere di provvedere all’igiene dei malati “abbandonata agli OSS” (…come se già non tamponassero in mostruosa carenza di risorse, a volte colpevolmente) ed insistere a non voler capire (prima di parlare!) che l’assistere oggi è molto di più e ben al di là dell’igiene del malato! Come intellighenzia italiana siamo ancora lì?
E gli infermieri non rivendicano riconoscimento giusto, “perché hanno fatto tot anni in università”; la motivazione sarebbe – come per tutti – di scarso spessore. Il riconoscimento dovrebbe essere, sarebbe, una valutazione/valorizzazione sociale del ruolo e del servizio oggettivamente reso, stanti i risultati di salute che il sistema italiano ottiene.

Giova inoltre ricordare il tema stucchevole ma ricorrente, della “centralità” di uno o dell’altro dei professionisti, con tutte indistintamente le organizzazioni mediche che non transigono sulla esclusiva responsabilità globale sempre e comunque del medico. Non ha senso.
Non ha senso se si riconosce l’evoluzione oggettiva delle capacità professionali altre acquisite. Si guardino i fatti: anche quelli difficilmente misurabili in numeri, quando ad esempio, si parla di assistenza alle persone e non solo di interventi curativi riusciti/non riusciti.
Non ha senso se decideremo di imboccare un’altra strada! Perché questa strada fatta di polemiche e di rivendicazioni, di immutabilità ed intoccabilità porterà il sistema al baratro e farà solo l’interesse di qualcuno. O, è proprio questo che si vuole? Il dubbio è pienamente lecito in questi tempi abbastanza bui e osservando le tendenze.

La soluzione delle conflittualità dunque, starebbe nella reale volontà a) di porre le premesse per far interagire i professionisti e b) nella reale volontà di interazione di questi.
Questo dovrebbe implicare la reciproca stima e fiducia. Perché mai non si dovrebbe avere stima e fiducia anche di coloro che si affacciano, formalmente, quasi per la prima volta a responsabilità in campi nuovi e dopo averne constatato più volte i livelli di responsabilità oggettiva assunta in assenza di altre? Al di là della formazione istituzionalizzata - che in questa circostanza sarebbe una garanzia in più - forse che possiamo dire che a quanti è stata data finora stima e fiducia in passato, tutti l’abbiano pienamente meritata? E allora?

Gli infermieri sono consapevoli della propria limitata storia e dei propri limiti individuali e collettivi: è umano ma vale per tutti. Sono però, anche consapevoli della propria responsabilità di affermare la necessità, l’urgenza, l’improrogabilità di stabilire nuovi equilibri dentro un sistema come quello per la salute, essenziale per la costruzione di una convivenza degna di questo nome.
Ed è in nome di questa responsabilità, che la rappresentanza istituzionale degli infermieri, mantiene una posizione ferma, giustamente, a nome dei cittadini soprattutto. Potrà sembrare strano e non piacere ad alcuni. Ma questo gli infermieri italiani sosterranno. Ed è una posizione condivisa ed assunta dall’intera professione istituzionalmente rappresentata. Si sappia.
A nulla ed a nessuno giova anche tentare di screditare la professione stessa sollevando la polemica della incongruenza dell’essere anche senatore, della Presidente della Federazione dei Collegi IPASVI, Annalisa Silvestro. A parte la considerazione di fondo, per cui si vorrebbe capire da chi dovrebbe essere costituito un Parlamento: che siano persone non configurabili in una qualche identità e dunque (maliziosamente ed aprioristicamente etichettate come) portatori di “interessi” (si legga Amarthya Sen a proposito di identità di tutti noi). Ad essere precisi, la prossima volta, vogliamo votare degli angeli ultraterreni? E poi, si fa questa predica agli infermieri, per la prima volta in Parlamento (in 13 su quasi 1000! non proprio truppe camellate) conoscendo la storia sconcia degli ultimi decenni della nostra Italietta?

E ancora, l’insinuazione, sempre verso la Presidente degli infermieri, di una smodata rincorsa ai titoli per il fatto di far parte di istituti dello Stato (appartenenza dovuta proprio in funzione della propria carica), o l’argomento della supposta lotta interna alla professione per il mantenimento del puro potere da parte della Silvestro. A che pro tutto questo? Chi può dire di conoscere Annalisa Silvestro, può garantire che non di ricerca di interessi personali o di categoria è fatto il suo essere in Senato, né è di una collezionista di titoli il suo far parte di istituti dello Stato e nemmeno di lotta per il potere si tratta quando affronta la normale dialettica interna alla professione.
Naturalmente, ciascuno può continuare a pensarla a proprio modo. Si noti però almeno, la precisa distinzione che c’è fra rappresentanza istituzionale e rappresentanza sindacale nella professione infermieristica, a differenza di altre ricerche di interessi di categoria.... Mi pare un aspetto non disprezzabile di correttezza verso i cittadini soprattutto.

Quello che colpisce è la smisurata discussione e mole di ostacoli che si stanno sollevando solo verso l’evoluzione degli infermieri. E’ singolare che non si sollevino le stesse obiezioni verso altre categorie ben più condizionanti, da ben altri tempi e che dichiarano esplicitamente ben minore flessibilità. E’ una mirata finalità di contenimento degli infermieri soltanto? … non va bene. Quanto non gioverebbe a tutti concentrarsi di più sull’urgenza di cambiare tutti e tutto? “Cambiare”, non “far prevalere”. Provare a cambiare modello di salute e di servizio di sanità. Farlo diventare, partendo dal di dentro, un modello per una società nuova, che ribalti anche la deriva efficientista ed esclusivamente economicistico-finanziaria che sta travolgendo tutto: senso della convivenza soprattutto, compreso.

Certo, non si intende nascondere qui la urgente necessità per gli infermieri e le loro varie rappresentanze, di impegnarsi a fondo a bruciare tappe nell’evoluzione del proprio pensiero, dei propri comportamenti e nell’assunzione di responsabilità a tutti i livelli. E’ la sfida del cambiamento, che non è imposto, ma è nei fatti e che rappresenta l’unica forma data per “vivere” l’oggi e non rinunciare al sé specifico.
Tutto si trasforma e certi rapporti non dovrebbero cambiare? Quanto tempo perderemo ancora?

Elio Drigo
Infermiere 

13 gennaio 2014
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