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Sperimentazione animale. I risultati? Davanti ai nostri occhi

di Marco Delli Zotti

30 DIC - Gentile direttore,
desidero scriverle una lettera in risposta alle affermazioni fatte dalla collega Dott.ssa Errico sulla Sperimentazione Animale e che mi hanno lasciato abbastanza perplesso. La Dott.ssa afferma che la Sperimentazione Animale, soprattutto per quel che concerne la farmacologia, ha contribuito ben poco all’avanzamento delle conoscenze cliniche ma le sue parole non rispecchiano affatto la realtà dei fatti, ossia che in pratica quasi tutte le nostre conoscenze (sia teoriche che pratiche) in ambito derivano anche da studi sul modello animale.
 
Grazie anche a quest’ultimo infatti attualmente la Medicina Moderna può fare cose che solo cento anni fa erano impensabili: abbiamo la possibilità di fare trapianti d’organo come reni, cuore o polmoni senza il rischio di incorrere in reazioni di rigetto dell’organo stesso utilizzando farmaci come la Ciclosporina o il Tacrolimus, possiamo sconfiggere malattie infettive terribili che una volta significavano una sentenza di morte come la Tubercolosi o la Difterite e siamo vicini a sconfiggerne altre come l’HIV, possiamo combattere molte neoplasie come le Leucemie Infantili o il Linfomi di Hodgkin o cambiarne in modo significativo la storia clinica e la prognosi grazie alla chemioterapia adiuvante e neoadiuvante o possiamo anche sottoporci ad interventi chirurgici senza particolari preoccupazioni e senza vedere il chirurgo porci una bottiglia di Brandy o Whisky come “analgesico”, cosa che succedeva in un passato non troppo remoto tutto sommato; insomma possiamo fare tante cose, anche nell’ambito di competenza della Dott.ssa.
 
La stessa Cardiologia Pediatrica dove lavora la Dott.ssa utilizza tecniche sviluppate anche grazie allo studio sul modello animale, basti solo fare qualche esempio:
- l’ecografia, tecnica oramai fondamentale nella pratica medica quotidiana, è stata sviluppata grazie agli studi di Spallanzani sui pipistrelli compiuti circa 200 anni fa, studi che hanno portato non solo allo sviluppo dell’ecografo ma anche del sonar e del radar; questa tecnica permette di fare diagnosi prenatale di molte patologie quali malformazioni cardiache o malattie genetiche;
- l’indometacina è un farmaco, appartenente alla stessa famiglia dell’aspirina, che si utilizza in pratica clinica per facilitare la chiusura del Dotto Di Botallo, condizione che spesso si osserva nei bambini prematuri; un ruolo fondamentale nella chiusura dello stesso infatti lo giocano le prostaglandine, bersaglio su cui va ad agire il farmaco indirettamente, inibendone la produzione e permettendo al dotto di chiudersi spontaneamente e questo dato è stato confermato anche sul modello animale in studi come questo http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20083684o come questo http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/807955.
 
Ora, mi chiedo: come potrebbe lavorare la Dott.ssa nel Suo Reparto senza questi due semplici presidi? E gli esempi potrebbero andare avanti, dalle tecniche chirurgiche per la tetralogia di Fallot ai difetti valvolari, dai farmaci antiaritmici ai beta-bloccanti.
 
Gli esempi di studi che porta a supporto della sua posizione poi sono discutibili:
- lo studio sui modelli animali per le malattie infiammatorie riguarda in realtà un solo modello animale, il topoC57BL/6J;
 
- il lavoro di Van der Woop non critica il modello animale in se’ ma la ridotta capacità traslazionale di studi sul modello animale in ambito cardiologico (in particolare si concentra sugli infarti) a causa di bias quali la scarsa qualità di alcuni studi, la non riproducibilità di alcune condizioni importanti nella pratica clinica (per esempio l’utilizzo di topi “giovani” per patologie che interessano soggetti anziani), etc; si criticano quindi le modalità con cui vengono fatti gli esperimenti e non l’uso dell’animale stesso; l’altro lavoro di Greener, sempre sulla stessa rivista, non pone critiche al modello animale ma si limita ad evidenziare le caratteristiche, in particolare per quanto riguarda i canali ionici, del tessuto miocardico umano e sinceramente portare uno studio del genere come prova della presunta “non-validità” del modello animale lascia il tempo che trova;
 
- lo studio di Van Meera, se da una parte critica la capacità di osservare effetti collaterali seri (su un campione ridotto peraltro rispetto alla totalità dei farmaci noti e usati) dall’altra elogia il modello animale per quanto riguarda lo studio delle dosi terapeutiche e gli effetti legati alla farmacodinamica, ossia al meccanismo d’azione del farmaco, causa del 90% degli eventi avversi a farmaci osservati nei ricoveri ospedalieri in uno studio del BMJ:
( http://www.bmj.com/content/329/7456/15);
 
- infine lo studio di Pound sul BMJ non è esente da critiche in quanto tende a prendere ad esempio solo determinati risultati e si dimentica di riportare anche frasi come “There were no differences between the results of the animal experiments and clinical studies” presente nello studio sulla Nimodipina o “In fact, there were no differences between the results of these experiments (animals) and clinical trials” nel lavoro di Lucas sulla laserterapia.
 
Lo studio stesso di Hackman su JAMA parla di scarsa qualità di come vengono impostati certi studi sul modello animale e non critica lo stesso, consiglia di migliorarne la qualità metodologica e soprattutto prende in considerazione un numero limitato di studi (76) in un arco di tempo limitato (20 anni, dal 1980 al 2000); decisamente pochi e decisamente un arco di tempo ridotto per vedere le conseguenze di uno studio in ambito clinico.
Quindi, leggendo gli studi o articoli che vengono citati dalla Dott.ssa, ci si chiede: ma si sta criticando il modo di fare gli studi sul modello animale o il modello stesso? Perché la prima impressione è che gli autori critichino molto come viene utilizzato il modello animale e la qualità degli studi stessa, non il fatto di utilizzare topi, ratti o altri animali per questi studi.

Concordo infine in parte con la Dott.ssa sulla questione della Prevenzione; determinate patologie quali la malattie cardiovascolari, alcuni tumori o il diabete possono essere evitate con un corretto stile di vita, comprendente attività fisica ed una dieta adeguata senza eccessi di alcun genere e possono aiutare allo Stato a risparmiare tantissimi soldi. Ma se da una parte la prevenzione può molto, in altri casi non può esserci d’aiuto: nelle malattie genetiche, nelle patologie autoimmuni (il diabete di tipo 1 o la tiroidite di Hashimoto), nei tumori non legati a fattori di rischio (per esempio l’adenocarcinoma polmonare) e così via. Lo stesso aumento dell’età media (dovuto al progresso medico) ha come conseguenza un aumento di determinate categorie di patologie, come i tumori e le malattie cardiovascolari, e questo non lo possiamo prevenire purtroppo.
 
Usare argomenti di questo tipo è abbastanza rischioso perché si rischia di tralasciare una categoria di pazienti, gli stessi che la Dott.ssa probabilmente vede nella sua pratica quotidiana in reparto, ossia i bambini con malattie rare: purtroppo per loro la prevenzione non sempre può essere utile, pur avendo i test genetici che ci aiutano a capire quale sia il rischio di una coppia di avere figli malati.

La Ricerca sicuramente sta facendo passi da gigante, già all’orizzonte si possono vedere le radici di quelle che saranno le vere alternative in un futuro (non troppo lontano spero) e condivido in parte l’invito ad indirizzare una parte dei fondi anche verso i cosiddetti metodi complementari; ma rigettare i risultati che ci ha dato, e continua a darci, anche il modello animale nella pratica clinica è un po’ come mettere il paraocchi e non vedere cosa ci circonda, cosa assurda soprattutto da parte di chi utilizza questi risultati ogni giorno.

Dott. Marco Delli Zotti
Medico Chirurgo
Comitato Scientifico Pro-Test Italia

30 dicembre 2013
© Riproduzione riservata

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