Gentile Direttore,
prendo spunto dall’interessante articolo di Luigi Benevelli su SOS Sanità del 26.12.2024 “Dopo la II Conferenza nazionale autogestita per la Salute Mentale: una proposta di ricerca e di lavoro (DSM e Università)” perché si inserisce perfettamente in un contesto di rinnovamento della legislazione e delle pratiche relative alla Salute Mentale e dei Servizi Psichiatrici.
Benevelli cita Basaglia che afferma: “Il problema della formazione per me è uno dei problemi fondamentali per l’applicazione della legge, perché se avremo dei tecnici che sanno quello che fanno, potremo applicare la legge; se avremo dei tecnici che difendono la corporazione medica, la legge non potrà essere applicata, perché ai tecnici non importa nulla della sua applicazione (…)”.
Prosegue poi, denunciando la mancata presenza dell’Università alla Conferenza, la necessità di riprendere “il confronto, ovviando alle assenze alla Seconda Conferenza Nazionale, alimentando il dibattito per il riconoscimento dell’autonomia dei saperi della “salute mentale” rispetto a quelli della psichiatria, tutti saperi che vanno trasmessi alle generazioni di operatori in formazione. Senza timore, anche mettendo in conto polemiche aspre”.
I quattro DDL all'esame del Parlamento, relativi alla revisione e aggiornamento della legge 180/1978, appaiono condizionati dall'orientamento politico dei proponenti che, dettando le nuove norme che dovrebbero presiedere alla riorganizzazione dei Servizi di Salute Mentale e ancorando la revisione alla conservazione sostanziale della L. 180 nel suo impianto generale, si sforzano di mantenere immodificati i principi ispiratori della legge. In realtà da più parti viene rilevato che mentre i DDL proposti dall’opposizione (PD) effettivamente mantengono e ampliano le competenze dei servizi di salute mentale e, avendo riguardo al rispetto della persona nella sua integrità, si sforzano di portare compimento alcune premesse contenute nella 180 (apertura al territorio dei servizi nelle 24 ore, raccordo e integrazione fra servizi per adulti e quelli per l’infanzia e adolescenza, …), nelle proposte governative (Lega e FdI) prevalgono le istanze securitarie e sembrano, in talune formulazioni, rinverdire posizioni e soluzioni d’antan: prolungamento TSO con minori garanzie, TSO in carcere, previsione di un “decreto del Ministero dell’Interno” (sic!) per l’individuazione delle misure necessarie al contenimento della violenza contro il personale sanitario …
“La visione olistica One Health, è un modello sanitario basato sull'integrazione di discipline diverse, è antica e al contempo attuale. Si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema siano legate indissolubilmente” (Istituto Superiore di Sanità, ISS, 2019, modificato 30.12.2024).
È riconosciuta ufficialmente dal Ministero della Salute italiano, dalla Commissione Europea e da tutte le organizzazioni internazionali quale strategia rilevante in tutti i settori che beneficiano della collaborazione tra diverse discipline (medici, veterinari, ambientalisti, economisti, sociologi etc.).
Ritengo che si possa prendere spunto da tale modello di una visione olistica della salute umana per applicarlo anche nella salute mentale. La stessa OMS ha proposto il noto motto there is no health without mental health (non c’è salute senza salute mentale) che, per l’OMS, giova ribadirlo, è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia.
Pertanto a me sembra che la strada da percorrere comporti il superamento di antichi steccati (psichiatria, psicologia, filosofia, neuroscienze, sociologia, antropologia…) che tendono a rinchiudere saperi e competenze all’interno di consolidati apparati conoscitivi che dialogano con difficoltà per le diverse premesse epistemologiche e per la storia di ogni disciplina che li ha costituiti assegnando a ognuno di questi saperi ben identificati campi di ricerca e di interpretazione della realtà umana.
Essendo stato invitato a far parte del Comitato Promotore del Progetto di Legge sulla Rete Psicologica Nazionale, PdlPop e avendo avuto modo di partecipare in vari contesti, all’approfondimento dei DDL sulla riorganizzazione dei servizi di salute mentale mi sono chiesto se non sia questa l’occasione per dare corpo a una legislazione che sia ispirata ai principi dell'OMS sopra ricordati e non sia una mera riproposizione, seppure aggiornata, della L 180. Tali principi, nel campo della salute mentale, si declinano, sempre seguendo i documenti dell’OMS, nella rivalutazione del modello bio-psico-sociale di Engel, che è di grande interesse ma che richiede, nel singolo contesto, una necessaria gerarchizzazione e contestualizzazione eziopatogenetica delle cause di disagio; Il rischio infatti è di falsamente omogeneizzare le varie componenti che sottostanno al disturbo mentale della singola persona e della peculiare condizione (psicosociale) nella quale si trova a vivere il proprio disagio.
Su Quotidiano Sanità, Antonello D’Elia afferma: “Anche la psicologia e la psichiatria sono chiamate a colmare le lacune del sistema sociale, e rischiano di perdere la loro funzione originaria e di trasformarsi in strumenti impropri per affrontare disagi che avrebbero bisogno di soluzioni sociali più che terapeutiche”…Conclude affermando: “Di fronte a proposte di riforma che sembrano privilegiare la gestione sintomatica a discapito di una visione olistica, mi chiedo se non stiamo tradendo davvero l’ispirazione basagliana che nel dialogo costate tra prassi e teoria vede la sua cifra rivoluzionaria. La vera sfida non dovrebbe essere solo “gestire” la sofferenza, ma comprendere e sostenere l’individuo nella sua interezza, riconoscendo il disagio psichico come parte integrante di un contesto sociale e culturale”.
Di qui la necessità di trovare i modi, anche a livello legislativo, per integrare realmente la formazione degli operatori della salute mentale nei contesti universitari o nelle varie dimensioni operative (i Servizi di salute mentale e gli altri ambiti operativi descritti nel Progetto di legge di una Rete Psicologica Nazionale inserita nel SSN: ospedale e territorio, scuola, disabilità, emergenze, lavoro, sport, carceri) delle pratiche medico psichiatriche e psicologiche. Le scienze umane possono effettivamente costituire una base condivisa di conoscenze. Ma la formazione di tali conoscenze spetta precipuamente all’Università che appare, vedi Benevelli, assente nel dibattito sulla salute mentale.
Nella pratica clinica risulta infatti oltremodo problematico molto spesso avere una visione unitaria dei problemi che affliggono l’individuo e la società (e il territorio ove è radicata la persona sofferente) e valorizzare anche le figure ausiliarie che fanno parte a pieno titolo dei Servizi Psichiatrici: infermieri, educatori, tecnici della riabilitazione psichiatrica, assistenti sociali…. Tali figure sono spesso più presenti, e con maggiore continuità, all'interno delle relazioni con le persone con problemi di disturbo mentale ma faticano a collocarsi all'interno dell'équipe per ragioni di formazione culturale, di malintesa gerarchizzazione dei saperi e di poteri dei “chierici”.
Nella parte introduttiva del documento presentato dal Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale in occasione dell’ultima Giornata Mondiale della Salute Mentale, si dice esplicitamente: “la chiara distinzione fra psichiatria, disciplina medica specialistica e salute mentale non è soltanto un salto terminologico, ma un preciso contenuto operativo che valorizza le risorse della comunità ed esalta l'autonomia e le competenze professionali che concorrono all'organizzazione del dipartimento”.
Pur apprezzando lo sforzo di fornire un quadro di riferimento operativo più in linea con le attuali esigenze mi sembra che il documento confermi l’assenza di una visione della salute mentale che renda effettivo quanto dichiarato quando, accennando alle Case di Comunità, afferma la necessità di “valorizzare le risorse della comunità…attraverso la creazione di reti che coinvolgano l’associazionismo, gli enti locali, i servizi sanitari, i settori produttivi.” Ecco che il concetto di “rete” fa timidamente capolino: forse verrà dato spazio alla Proposta di legge di una Rete Psicologica Nazionale che si propone di “garantire il benessere psicologico come diritto fondamentale e come elemento centrale tanto della prevenzione del disagio psicologico quanto della crescita del capitale umano individuale e collettivo, sostenendo l’accesso universale e gratuito ai servizi di psicologia”?
Mi pare ugualmente importante l’accenno alle Case di Comunità che sempre più mi appaiono la sede ove concentrare le risorse per una medicina integrata a livello del territorio e dove potrebbero trovare la sede più idonea (e più integrata) i CSM e i Servizi Psicologici Territoriali (SPT) previsti nel Pdl Pop.
L’inclusione della Psicologia in una Rete Psicologica Nazionale potrebbe rappresentare effettivamente la possibilità di quel cambio di paradigma in salute mentale da molti auspicato. Si tratterebbe infatti di introdurre in salute mentale, a pieno titolo e con forze fresche (ancorché, forse da gradualmente preparare a nuovi compiti e funzioni con opportuna integrazione, soprattutto a livello formativo universitario, delle competenze psicologiche con quelle più squisitamente psicopatologiche e psicoterapeutiche), un nutrito gruppo di psicologi organizzati, in forma di servizio autonomo, integrato nel SSN, al pari dei servizi psichiatrici.
Si dice che Freud, sulla nave che lo portava in America per tenere le conferenze sulla psicoanalisi avesse detto: “portiamo la peste e loro non lo sanno ancora” alludendo alla dimensione sovversiva e rivoluzionaria della sua teoria. Speriamo che i giovani psicologi possano essere i monatti che, facendo deperire e morire vecchie pratiche diagnostiche neo-kreapeliniane (ben rappresentate dal manuale DSM) e di psichiatria riduttivamente biologica (neuro-psicofarmacologica), facilitino una visione alternativa (non sostitutiva) di quella medico-biologica del disturbo mentale che valorizzi la dimensione relazionale e sociale integrata. Quanto alla dimensione sociale (e ai c.d. determinanti sociali) credo che il problema sia di politica (sanitaria e non solo) e che la possibilità di allargare alla psicologia e ad altri saperi l’interpretazione e la cura della sofferenza mentale non ne possa prescindere…ma per affrontare questa dimensione della sofferenza psichica “mala tempora currunt”.
Dott. Renato Ventura
Già presidente La Tartavela (Associazione Familiari per la Salute Mentale)