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La libera professione per tutti non fa bene al Ssn

di Marco Geddes De Filicaia

13 DIC -

Gentile Direttore,
ho letto con interesse la lettera (QS, 11 dicembre) della deputata del Pd Ilenia Malavasi con la quale si propone di generalizzare a tutte le professioni sanitarie del SSN la libera professione fuori, ovviamente (ci mancherebbe!), dall’orario di lavoro.

Mi sembra un’ottima iniziativa, per dare un ulteriore, sostanziale contributo, alla distruzione del nostro Servizio sanitario nazionale!

La proposta pare prendere le mosse o “scimmiottare” la vexata quaestio della Libera professione intramoenia (ALPI) che fu introdotta per i medici, fin dal 1992, con il Decreto n.502 predisposto dall’allora Ministro della Sanità Francesco De Lorenzo.

È noto che il ricorso delle persone alla intramoenia è dovuto, in limitati casi, alla volontà di scegliere il professionista, come documenta in varie Aziende sanitarie la lista di attesa per l’ALPI , ad esempio in ortopedia o ginecologia, che risulta più lunga di quella in attività istituzionale. Nella stragrande maggioranza invece chi può permetterselo ricorre a tale opzione proprio a causa della lunghezza delle attese o del fatto che le prenotazioni sono – contro ogni disposizione normativa – “momentaneamente sospese”.

Conseguentemente gli “ignoranti” (nel senso etimologico della parola) ritengono che le liste di attesa siano causate dalla libera professione intramoenia. La correlazione fra le due variabili (a un valore della prima corrisponde un valore della seconda), non determina un rapporto causale, come peraltro chi, in caso di pioggia, si procura (e chi gli vende) l’ombrello per evitare di bagnarsi, non causa tale evento atmosferico.

Il “liberi tutti” proposto dalla deputata Pd, dando seguito fin da ora a una norma emergenziale che scade a fine anno 2025, non intende evidentemente combattere le liste di attesa e tanto meno “distorsioni” nell’uso dell’ALPI da parte dei sanitari, per cui esistono molti correttivi inapplicati o aboliti: equilibrio fra attesa per intramoenia e attività istituzionale; diritto al ricorso alla intramoenia con il solo pagamento del ticket se l’attesa in istituzionale è eccessiva; incompatibilità fra ALPI e direzione di struttura ecc.

Intende, di fatto, riversare nella Sanità privata o direttamente sui pazienti (out of pocket), la disponibilità lavorativa tutto il personale del SSN attraverso lavoro occasionale, prestazioni con partita Iva, attività da gettonisti ecc...

L’effetto sarà ovviamente questo, introducendo peraltro evidenti, ulteriori, disuguaglianze fra il personale.

Non so se l’onorevole Malavasi abbia mai preso conoscenza del lavoro negli ospedali, visitato un Centro ustioni, quale quello di Cesena nella sua regione, o l’oncoematolgia pediatrica, la terapia intensiva, la psichiatria ospedaliera e un pronto soccorso, luoghi dove le aggressioni sono più frequenti. Pensa veramente che la non attrattività di tali ambiti di lavoro infermieristico, il burn out legato a funzioni così complesse e stressanti, a salari non corrispondenti alla professionalità del personale e al loro impegno, al lavoro notturno e a turnazioni aggiuntive per mancanza di personale, si superi con una potenziale aggiunta di libera professione? Per chi ha sulle spalle un pendolarismo sempre più oneroso, dato il costo degli alloggi e il livello di funzionamento del trasposto pubblico (in particolare ferroviario) si tratta di una possibilità concreta? Tale opzione lavorativa aggiuntiva è perseguibile per coloro, in larghissima prevalenza donne, che hanno un onere ulteriore di impegno familiare?

Questa normativa privilegerà, ovviamente, un po’ di personale di alcuni settori ambulatoriali, di livelli tecnici meno impegnativi, introducendo ulteriori disparità e problematiche nell’assegnazione di funzioni e nella formazione delle equipe.

La finalità dichiarata – o la foglia di fico – di tale iniziativa è di incrementare l’attrattiva delle professioni sanitarie, ma in realtà l’effetto è di riversare nel privato un po’ di mano d’opera, rendendo ancor meno attraenti gli ambiti professionali più impegnativi, come già accade per i medici, consentendo inoltre una continuità lavorativa dopo un turno di guardia, una notte trascorsa in servizio, senza tenere conto dei criteri di riposo e di carico di lavoro che, nel corso di questi decenni, la normativa contrattuale ha conquistato per il benessere dei lavoratori e, in primo luogo, per la sicurezza dei pazienti.

L’iniziativa inoltre offre un assit a chi non intende aumentare il finanziamento per il SSN e incrementare gli stipendi del personale dipendente, ma che potrà affermare, con vieta retorica: “il personale sanitario guadagna di più grazie alla possibilità di fare attività libero professionale senza mettere le mani nelle tasche degli italiani!”

Vi sono, indubbiamente, associazioni, ordini professionali e sindacati di settore che possono essere comprensibilmente favorevoli, in una situazione di contrazione salariale, come si è verificato in questi anni, a qualche facilitazione che consenta un maggior reddito per alcuni.

Ma una forza politica e una normativa nazionale dovrebbero farsi carico prioritariamente dell’interesse complessivo della popolazione.

Io avevo – ingenuamente – capito che si dovevano incentivare le professioni sanitarie rivedendo e innalzando le mansioni in considerazione della progressiva qualificazione del personale, assicurando ambienti di lavoro più adeguati e sicuri, ridisegnando una progressione di carriera che è stata sostanzialmente appiattita.

Una iniziativa fondamentale, come proposto da Partito democratico, sarebbe quella di incrementare il finanziamento del Servizio sanitario nazionale portandolo nel giro di un quadriennio fino al 7,5% del Pil, per destinare tale incremento di spesa prioritariamente alle risorse umane, facendosi così carico delle aspirazioni di tutto il personale e non solo di quelli che per tipologia di mansioni o situazioni familiari e personali potranno trovare un’ulteriore fonte di reddito.

Inoltre il partito, di cui la deputata fa parte, ha qualche parziale e lontana radice in quello in cui vigeva, con alcuni difetti e qualche indubbio pregio, il “centralismo democratico”, che Lenin definiva come "libertà di discussione, unità d'azione".

Su questo argomento mi pare esserci invece una “assenza di discussione e libertà di azione”.

Marco Geddes da Filicaia



13 dicembre 2024
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