Gentile Direttore,
il 27 ottobre 2021 abbiamo pubblicato Mammografia 3D, siamo sicuri che sia sempre necessaria? in cui si evidenziavano le forti contraddizioni di un indirizzo – comunque tutt’ora ampiamente perseguito – di generalizzato utilizzo della tomosintesi mammaria 3d in soggetti sani in luogo della ugualmente esaustiva metodica 2d, ove la differenza tra le due metodiche risiede nel carico di dose: nella seconda è almeno dimezzata o addirittura trimezzata, nel caso alla tomosintesi si associno ancora ulteriori altre proiezioni, che alcuni radiologi senologi comunque richiedono, stante un generalizzato e purtroppo indiscusso fenomeno – in cui grande ed unica responsabilità è storicamente imputabile agli establishments rappresentativi dei TSRM – di autentica “normata” dominanza medica riguardante i processi di giustificazione ed ottimizzazione introdotti con il d. lgs. 187/2000.
Nello stesso anno un’associazione nazionale che si occupa della prevenzione e della diagnosi precoce in ambito oncologico ha intentato un’azione giudiziaria successivamente giudicata dal giudice «improcedibile» contro lo scrivente e la redazione di altra testata online, per aver egli con doviziosa accortezza argomentato che non fosse corretto indicare in opuscoli diffusi al livello nazionale che «il rischio di sviluppare un tumore indotto dalle radiazioni provocate dalla mammografia è solo ipotetico», espressione peraltro solo di punta all’interno di un pool di affermazioni che sembravano non tener nella migliore considerazione le raccomandazioni della vigente legge sulla radioprotezione.
In ambo i casi le posizioni da allora restano persistentemente le stesse, malgrado la novella a quel decreto, il d. lgs. 101/2020 non abbia minimamente attenuato l’attenzione a richiamare grande cautela ed attenzione sull’utilizzo delle radiazioni ionizzanti in ambito diagnostico.
Oggi il nuovo “fiocco rosa” nella diagnostica radiologica è la TC volumetrica cone beam (CBCT), ulteriore elaborazione tecnologica dell’effetto tomografico concepito per la prima volta nel lontano 1930 dall’Italiano Alessandro Vallebona, ed evoluta dagli anni ’90 per merito di ricercatori Veronesi, con la sostanziale differenza dell’utilizzo di un fascio radiante di forma conica, invece che uno “a pennello” come nei tomografi TC.
Analogamente all’ambivalente propaganda sulla tomosintesi, il cui obiettivo è di “corsa agli allestimenti”, la tc cone beam viene da più fonti indicata come la tecnica maggiormente all’avanguardia, addirittura additata quale metodo d’elezione nel campo dento-maxillo-facciale, anche per la valutazione pre-chirurgica, esaltando gli effettivi aspetti positivi della metodica, sostanzialmente consistenti nella riduzione fino a 5 volte la dose di radiazioni (dovuta ad una emissione “pulsata” e non continua delle radiazioni), l’alta risoluzione spaziale, la bassa suscettibilità agli artefatti metallici ed una significativa maggiore sensibilità nella diagnosi della malattia parodontale e della carie dentale; per gli altri aspetti tecnici di imaging tridimensionale, possibilità di rielaborare i dati, etc. la metodica è sostanzialmente sovrapponibile alla dental scan della spiral tc.
Purtroppo scarsa enfasi viene data ai limiti ed ai rischi della nuova tecnologia.
Quanto ai primi il principale consiste nella formazione delle immagini, ove i detettori flat panel garantiscono sì performance e risultati qualitativamente maggiori rispetto ai tubi a vuoto, ma sono caratterizzati da un alto costo, per cui è difficile poter disporre di campi di vista (fov) sempre adeguati (si pensi che per l’intera regione cranio-facciale ne servirebbe uno superiore ai 15 cm). Per ovviare a questo limite alcune apparecchiature dispongono di un software che raddoppia il fov con due giri del tubo radiogeno, raddoppiando però anche l’esposizione, così come anche per il “frame rate”, da cui dipende la qualità dell’immagine finale, cioè il numero di proiezioni acquisite per secondo, non sempre regolabile automaticamente, che va quindi moltiplicato per l’effettivo tempo di scansione.
Un ulteriore limite della metodica rispetto alla dental scan riguarda la determinazione delle densità dei tessuti analizzati: il minor rapporto segnale/rumore, unitamente ai metodi di correzione dell’intensità del segnale e le dimensioni e forma del fascio, che rappresentano i punti di forza della tecnologia, mostrano anche il loro lato rovescio: non consentono di fornire la medesima correlazione della dental scan tra livelli di grigio e valori assoluti di densità dei tessuti; correlazione molto importante in implantologia.
Ma il limite più considerevole è indotto proprio da una assenza di regolamentazione di implementazione, ove obiettivi in chiave “spending review” di utilizzo di campi di vista più piccoli possibile, con dimensioni dei voxel più piccole, la più bassa impostazione dei mA ed il tempo di esposizione più breve (indirizzo gold standard USA), rischiano di rendere la metodica non così affidabile, segnatamente nei casi in cui per rappresentare volumi anatomici più ampi si debba ricorrere ad esposizioni successive, oppure nei casi in cui anche la stessa classica impostazione del paziente in piedi, che certamente risulta di più celere disbrigo – nelle pure distorte logiche di mercato di tempistiche forse troppo risicate, comunque trattandosi di accertamenti clinici – può determinare instabilità o inaccuratezza del posizionamento, con elevati rischi di ripetizione delle acquisizioni, al punto da vanificare l’iniziale vantaggio della CBCT sulla dental scan, che in ogni caso – vale la pena sottolinearlo – rimane il gold standard per i casi più complessi.
Quanto ai rischi, sono collegati alle limitazioni tecniche cui sopra ed alla scarsa sensibilizzazione dell’opinione pubblica, forse dovuta proprio a campagne informative assai dubbie, che semplicemente favoriscono l’esecuzione di esami inappropriati e/o non ottimizzati, soprattutto se in assenza di prescrizione medica.
Lo sviluppo della tomografia computerizzata cone beam è promettente in diversi campi e consentirà forse di superare alcuni limiti della attuale tecnologia spiral tc o forse di realizzare una tecnologia ibrida; tuttavia si deve anzitutto stabilizzare l’innovazione tecnologica con processi di ricerca associata a valutazioni di health technology assessment; in secondo luogo si deve intervenire normativamente affinché non vi siano storture di tipo economico che consentano l’immissione sul mercato di macchine con requisiti al di sotto di standard minimi in chiave radioproteximetrica.
Come già nel 2021 sia in senologia ma anche in generale lo scrivente voleva sensibilizzare, le Raccomandazioni Ministeriali del 2010 per l’impiego corretto delle apparecchiature TC volumetriche [2] non a caso recitano testualmente: «non potendo in nessun caso essere minimizzati i rischi di esposizione alle radiazioni ionizzanti prodotti da tali sistemi, prendendo erroneamente a presupposto che la dose da essi impartita possa essere considerata trascurabile».
Tale dettato va certamente contro certi fenomeni modaioli, che pur di vendere l’invendibile, sono capaci di mutare l’impossibile per un “ampiamente possibile” che potrebbe però in prospettiva rivelarsi oltreché non proprio utile, anche meramente dannoso.