Aggressioni al personale. Risposta istituzionale sia focalizzata sulla tutela della sanità territoriale
di Angelo Giovanni Mazzali
18 SET -
Gentile Direttore,in un momento in cui il tema della violenza contro i professionisti sanitari assume una rilevanza crescente nella cronaca e nel dibattito pubblico, sento il dovere di contribuire alla riflessione con ulteriori spunti, nella speranza di arricchire il confronto su questo grave fenomeno. Mi associo, in particolare, alle considerazioni espresse dalla nostra Federazione durante l'incontro del 16 settembre con il Ministero della Salute, occasione in cui si è ribadita l'urgenza di intervenire su diversi aspetti critici legati alla violenza subita dai professionisti del settore.
Tra le figure sanitarie più esposte troviamo i fisioterapisti, che sempre più frequentemente esercitano la loro attività a domicilio, in linea con l’evoluzione del sistema sanitario verso una "sanità di prossimità", che pone la casa del paziente al centro del percorso di cura. Questo cambiamento, se da un lato risponde a un bisogno crescente della sanità territoriale, dall’altro solleva la necessità di ripensare le modalità di tutela per i professionisti che operano in un contesto così particolare e complesso.
Il domicilio, infatti, rappresenta un setting di cura profondamente diverso dall'ambiente organizzato di una struttura sanitaria. Qui, il fisioterapista si trova spesso solo, in un contesto che non è il proprio, ma quello del paziente, dove la violenza può manifestarsi come espressione di disagio o fragilità del paziente stesso o del contesto familiare. Questa situazione è particolarmente delicata per i giovani professionisti, che spesso lavorano in regime di libera professione, talvolta con contratti precari o "obbligati". Mentre il libero professionista che non afferisce a un servizio pubblico può, in teoria, rifiutare un incarico per tutelare la propria sicurezza, coloro che operano nell’ambito dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) o in altre forme di assistenza domiciliare, non hanno questa possibilità e si trovano esposti a contesti sociali potenzialmente pericolosi, senza la rete di supporto che si avrebbe in un ospedale o in una clinica.
Va sottolineato, inoltre, che la nostra professione è fortemente rappresentata da donne, il che rende ancor più urgente una riflessione mirata sulle specifiche misure di tutela da adottare per chi lavora in ambito domiciliare. È fondamentale che la dimensione domestica rientri a pieno titolo nella pianificazione delle misure di protezione che il Governo e le Federazioni stanno sviluppando con grande impegno.
La raccolta di dati relativi agli episodi di violenza in ambito domiciliare risulta spesso difficoltosa, e ciò rende la rappresentazione di questo fenomeno frammentaria e meno chiara. Tuttavia, è essenziale che la risposta istituzionale sia focalizzata sulla tutela della sanità territoriale, che è destinata a crescere, così come il numero di pazienti cronici e l'invecchiamento demografico della nostra professione. Tutti questi elementi rappresentano “fattori di rischio” che, se non affrontati adeguatamente, potrebbero compromettere la sostenibilità del sistema e tradursi in comportamenti violenti o disfunzionali a livello sociale.
Confido nel fatto che il mondo delle professioni sanitarie saprà, ancora una volta, unirsi e offrire risposte collettive, all’altezza delle sfide che ci attendono.
Angelo Giovanni Mazzali Presidente dell'Ordine Interprovinciale della Professione Sanitaria di Fisioterapista di Milano, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Monza Brianza, Sondrio e Varese
18 settembre 2024
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore